Hitoshi’s pov
<<Cazzo>> borbottai, cercando in ogni tasca del mio jeans e del giubbotto. Non riuscivo a trovare il cellulare da nessuna parte; erano ormai circa venti minuti che camminavo e non ci avevo fatto caso... probabilmente l'avevo lasciato a casa di Kaminari. Non potevo neanche avvertirlo che stavo tornando, purtroppo.
Sbuffai, veramente seccato, girai su me stesso e tornai sui miei passi.
Casa di Kaminari era una di quelle villette alle quali si accedeva da un cancelletto che, per fortuna mia, non si era chiuso bene. Quando fui nel suo giardino, suonai al campanello, ma lui non sembrò sentirlo. Le finestre di casa erano aperte, quindi probabilmente non era uscito; forse era sotto la doccia o stava ascoltando la musica con le cuffie. Provai anche ad urlare il suo nome, ma non ottenni risposta. <<KAMINARIIII, KAMINARI-KUUUN! OIIII!>>
Fu inutile.
Dato che senza telefono non potevo sopravvivere a lungo, decisi di trovare un modo alternativo per entrare in casa. Avrei avvertito Denki che stavo entrando e sicuramente lui non si sarebbe fatto problemi ad aiutarmi a cercare il telefono.
Mi guardai intorno, cercando un modo per entrare. Fissai lo zerbino, che aveva una forma stranamente rialzata al centro. "Sarebbe troppo scontato e banale nasconderci le chiavi di riserva sotto", pensai, alzandolo lo stesso per sicurezza.
Sotto c'era un mazzo di chiavi di riserva.
Era stato molto più facile del previsto.
Provai le chiavi una ad una, finché non trovai quella giusta e la porta si aprì. <<Kaminari-kun! Sono Shinsou, non ti spaventare! Ho dimenticato il telefono!>> strillai. Al piano di sopra, qualcosa cadde a terra.
<<Ehi, a posto?>>
Salii le scale ad arrivai di fronte alla porta di camera sua. Bussai. <<Kaminari-kun, posso entrare?>>
<<Emh... no?>> disse Kaminari. Aveva una voce più roca di prima, e non capii se avesse detto di no o se se lo fosse domandato. O forse aveva detto di sì. Non avevo capito bene, aveva parlato a voce bassa, e le parole "sì" e "no" in giapponese differivano di una sola lettera (i termini giapponesi per esprimere assenso e dissenso sono vari, ma tra i più comuni troviamo ええ”ee” per “sí” eいいえ “iie” per “no”. È ancor più probabile che Kaminari abbia detto ええと、”eeto”, espressione che io ritengo sia vicina al nostro “Ehm… ecco… allora…”, confondibilissima col giàcitato sì). Se non si sentiva bene, era facile confonderle.
<<Vabbè, non preoccuparti, io sto entrando.>> annunciai.
Aprii la porta, e venni investito non dal profumo di vaniglia di un'ora prima, ma da un'inaspettata nube di fumo dall'odore dolce ma tossico insieme. Kaminari era seduto sulla sedia con i piedi sopra la scrivania. E mi fissava con due occhi dannatamente arrossati.
<<Ka-... Kaminari-kun?!>> balbettai incredulo, incapace di metabolizzare ciò che stavo vedendo. <<Ma che cazzo stai facendo, amico mio?!>>
Il mio sguardo cadde più in basso, tra le sue dita. <<Che cos'hai in mano?>>
<<Il tuo... telefono>> disse, alzando la mano sinistra e porgendomelo. I suoi occhi, spalancati dalla paura, parlavano per lui. Erano rossi, tremanti, come quelli di un coniglietto che è stato appena catturato da un gatto.
<<Nell'altra mano>> precisai; non che servisse che me lo dicesse, cosa avesse in mano era ovvio, ma non ci avrei creduto finché non me lo avesse detto lui stesso. O meglio, mi sarei rifiutato di crederci finché avessi potuto farlo.
Kaminari abbassò lo sguardo, e per la prima volta lo vidi con un'espressione triste e colpevole in volto. Alcune lacrime minacciarono di ridargli il viso, ma si fece forza e rispose comunque. <<Erba.>>
<<E quest'odore...>> aggiunse, con voce roca e ora spezzata, muovendo confusamente un braccio per indicare l'aria circostante. Balbettava per il pianto imminente, e aveva difficoltà a dire più di quattro parole di fila. <<... è quel che resta di... di un paio di canne.>>
<<Mi dispiace Shinsou-kun, non volevo che lo sapessi>> mormorò. <<Mi sento uno schifo.>>
Deglutii a fatica. <<Oh, io non...>>
Kaminari, che ancora probabilmente non aveva toccato la terza che aveva in mano ma solo le due canne ormai bruciate, era abbastanza lucido da fare un discorso sensato. Mi passò il telefono. <<Tieni, se è questo che cerchi… e per favore, ho bisogno di stare solo.>>
<<L'ho visto sul letto, mentre mi chiamavi dal giardino.>>
Mi avvicinai, presi il telefono e me lo misi in tasca molto lentamente. Ancora stentavo a credere che Kaminari Denki, quel ragazzo che sembrava un raggio di sole, potesse ridursi così di sua spontanea volontà. Anzi, era proprio difficile riconoscerlo. Quel volto, senza il solito sorriso, non sembrava nemmeno il suo. No, mi dissi, quello non era Kaminari Denki, quella era un versione spenta, scolorita, quasi maledetta di lui, ma tristemente molto più autentica di quella che ero solito incontrare.
Una pugnalata dritta al cuore avrebbe fatto meno male; quantomeno mi avrebbe ucciso, come si stava uccidendo Kaminari in quel momento. Uccidere, si, questo il termine giusto. Kaminari stava morendo davanti ai miei occhi nel peggiore dei modi, ovvero uccidendosi piano senza smettere di respirare. Stava distruggendo il proprio essere, la propria coscienza, fino a restare ciò che i suoi poveri occhi mostravano: un contenitore vuoto, privo emozioni positive, di aspirazioni e speranze, senza neanche una singola ragione che lo spingesse ad esistere. E quelle sensazioni credevo di capirle, dato che le provavo giornalmente sulla mia pelle. Ma non avevo idea, allora, di che fardello si portasse su quelle fragili spalle.
Era un mix di male, depressione e solitudine che nel tempo ti laceravano dall'interno, lasciandoti cicatrici e ferite nello spirito che, probabilmente, non sarebbero mai guarite del tutto.
<<Se l'avessi visto prima, mi sarei fatto trovare...>> la sua voce mi riportò alla realtà senza il mio consenso. Il biondo pensò a quello che fosse meglio dire, ma non trovando parole strinse con rabbia il sacchetto di cocaina. <<...insomma, non così. Mi dispiace.>>
Kaminari fece un respiro profondo, prendendosi le tempie con le dita, mentre cercava chiaramente di non piangere. Tirò su col naso. <<Shinsou-kun, per favore... potresti andartene?>>
Rimasi come paralizzato. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarlo solo non era certo un'opzione che il mio cervello volesse accettare, ma restare in compagnia era ciò che lui non voleva.
Annuii, e mi girai per uscire dalla stanza. Avrebbe preferito restare da solo e forse avrei dovuto assecondarlo... ma era davvero questa la cosa più giusta? Dovevo seguire la sua volontà, per quanto la sua mente fosse annebbiata?
Chiusi la porta, e mi lasciai scivolare contro di essa fino a sedermi sul pavimento, indeciso se rientrare o meno. Mi strinsi le ginocchia, e per un attimo mi sembrò di essere tornato a quando avevo appena iniziato le medie ed ero la vittima preferita dei bulli. Ad una certa, dopo un tempo che a me sembrò infinito, lo sentii prendere diversi respiri profondi, forse per calmarsi. E poi, sentii distintamente il rumore della fiamma di un accendino.
Non potevo andarmene, non così. Se mi fossi tirato indietro adesso non avrei più avuto il coraggio di guardare il biondino in faccia, e l'ultima cosa che volevo, in quel momento, era perderlo.
Lo conoscevo da forse due mesi, ed era già la persona più importante che avevo. Rientrai nella stanza senza avvisarlo, ma lui non mi sembrò particolarmente sorpreso.
<<Kaminari, non ti lascio da solo. Non posso, perdonami.>>
Kaminari mi guardò. I suoi occhi, sempre così pieni di allegria, sempre così luminosi, erano privi di qualunque emozione; l'unica cosa che quelle iridi gialle come piccoli soli lasciavano intravedere era un profondo vuoto e, forse, una muta ma frenetica lotta interiore. Per un attimo mi sembrò di guardarmi allo specchio: quegli occhi vitrei, quello sguardo, andavano bene su di me, che ero morto dentro, ma non su di lui.
Mi sedetti sul letto di fronte a lui, e gli misi una mano sulla spalla, cercando di essere rassicurante e al contempo gentile. Tale gesto servì però più a me che a lui, per mantenere un contatto con la realtà e per non lasciarmi trascinare in quel vortice di morte che si portava dentro. Vortice dal quale, in tutta onestà, mi sarei anche lasciato risucchiare.
<<Perché sei ancora qui?>> mi chiese, in tono di rimprovero. Le lacrime cominciarono a corrergli copiose sulle guance <<Vai a casa, davvero. Io... credimi, è tutto a posto. Fai finta che non sia successo. Domani sarò come nuovo.>>
<<Invece non vado proprio da nessuna parte>> dichiarai in tono risoluto, ma anche affettuoso a livelli che non pensavo di poter raggiungere. Gli asciugai qualche lacrima con la manica della mia felpa. <<Me ne vado quando ti sentirai bene, okay? Qualunque cosa sia me ne puoi parlare, non ti giudico.>>
Kaminari scosse la testa. Quella mia ultima frase l’aveva fatto piangere ancora più disperatamente, non provava più nemmeno a trattenersi. <<Io non sto mai bene, Shinsou-kun.>>
Prima che potessi rendermene conto, mi si era appoggiato addosso e mi stava stringendo fortissimo, sfogando tutti i suoi problemi in un pianto silenzioso sopra la mia spalla. Ricambiai l'abbraccio in maniera molto più delicata, in modo da non dargli fastidio. Il mio cuore battè più forte, non solo per l'ansia di fare o dire qualcosa che avrebbe potuto farlo stare peggio: ero enormemente preoccupato per lui.
Kaminari aveva smesso di parlare. Si limitava a singhiozzare sulla mia spalla, dandomi per sbaglio qualche piccola scossa. Fortunatamente per me non facevano molto male, dato che più il ragazzo piangeva, più diventavano frequenti. Ed il suo pianto, ad un certo punto, diventò così forte da inumidire anche i miei occhi, ma non se ne accorse. Non sapevo cosa avesse. Sapevo solo che fosse terribile. Lo strinsi in un abbraccio nel quale lui per poco non provò a scomparire.
<<Scusami>> mi disse, quando riuscì a calmarsi un attimo. <<Sono debole, faccio schifo.>>
Gli effetti della droga non erano per nulla scomparsi, ma quantomeno aveva smesso di scaricare elettricità. Eravamo ancora abbracciati, ma lui aveva allentato la stretta. Abituato com'ero ad essere stretto tra le sue braccia, ricominciare a respirare risultò quasi doloroso. Appoggiò la fronte sulla mia spalla, affranto.
<<Non dirlo neanche per scherzo>> gli dissi, accarezzandogli i capelli per confortarlo. <<Anzi, ti sei tenuto tutto dentro così a lungo... credimi, tu sei fortissimo. Nessuno riuscirebbe a fare quello che fai tu. È incredibile.>>
<<Lo pensi davvero?>> chiese. La sua voce, più ferma di prima, ricordava tanto quella di un bambino triste.
<<Ma certo>> risposi con sincerità. <<Però non serve che tu faccia così… tutti hanno qualche problema. Non devi fare finta di no tu, davvero. Almeno quando sei con me, puoi lasciarti andare. Qualunque cosa tu abbia, puoi essere te stesso. Almeno quando sei con me. Nessuna critica, te lo prometto.>>
Con la stessa rapidità con la quale mi aveva abbracciato, fece qualcosa mille volte più sorprendente ed insensato: alzò la testa e con uno sguardo sia dolce che triste, lentamente appoggiò le sue labbra sulle mie.
Mi ci volle un attimo per realizzare cosa stesse succedendo. Quelle labbra avevano uno stranissimo sapore di fumo: sapevano di bruciato, erano più secche del normale, ma non le rifiutai. Anzi, ricambiai il bacio.
Non sapevo perché mi stesse baciando, né perché lo stessi ricambiando. Niente aveva senso in quel momento, e decisi che in fondo andava bene così. Chiusi gli occhi e, per un attimo, forse per la prima volta in vita mia, riuscii a smettere di pensare.
Quando si staccò, mi guardò ancora una volta con quegli occhi tristi, rossi e pieni di lacrime. Tuttavia, le sue labbra, così come le mie, si erano incurvate leggermente verso sopra in un timido sorriso. Mi aveva lasciato un retrogusto molto dolce sulle labbra.
<<Grazie>> sussurrò a pochi centimetri dal mio volto, mentre una lacrima gli scorreva lungo la guancia. Poi, purtroppo, si mise a piangere più forte di prima.
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Spazio me!
Non so voi, ma io ho sempre odiato quelle storie dove tutto ci mette troppo ad accadere (e dovrei stare zitta, né ho scritte anch'io così), quindi sin dall'inizio non mi sono trattenuta e SBEM, bacio al capitolo cinque.
Lo trovavo interessante, e come la maggior parte delle cose che io abbia mai scritto, ho iniziato il capitolo anni fa senza sapere dove sarebbe andato a finire, ed è andato così.
Di qua ho cambiato qualcosina rispetto a com'era originariamente perché, rileggendolo, non solo mi era sembrato troppo pesante per l'inizio ma anche poco naturale... fatemi sapere cosa ne pensate._justasinner_
Capitolo revisionato il 14/06/2024
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The Void Behind Your Eyes‐Shinkami
Fiksi PenggemarSegreti, menzogne, mezze verità: questi tre elementi che caratterizzano da sempre il mondo e la vita di ognuno. Le persone non sono mai chi dicono di essere, e chi ha il vuoto dietro gli occhi lo sa meglio di chiunque altro. Attenzione: questa sto...