Capitolo diciassette

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Kaminari's pov

Io e Shinsou, qualche giorno dopo che si trasferì a casa mia, uscimmo di nuovo insieme; durante un bel pomeriggio soleggiato, tornammo al parco dove avevamo quasi avvistato la cometa.
Stavamo seduti uno sopra l'altro lontano da sguardi indiscreti, con la luce del sole che filtrava tra le foglie degli alberi.
Appoggiò la testa sulla mia spalla, e io gli lasciai un bacio sulla guancia.
–Che ne dici se qualche sera andiamo a berci qualcosa?– proposi, sentendo la nostalgia dei miei cocktail preferiti.
–Ci sta– disse. –Quando?
–Anche oggi, se sei d'accordo.
Shinsou storse le labbra, indeciso. –Sai com'è, vorrei evitare di rincasare ubriaco– disse. –Sarebbe imbarazzante.

–Non preoccuparti– Aggiunsi, dopo un attimo di riflessione. –Mamma e papà devono fare quel lavoro fuori città, ricordi? Non dormiranno di certo a casa.
–Aspetta che li chiamo, se vuoi essere sicuro.
Mi alzai in piedi per prendere il telefono rimasto nello zaino che avevo buttato sotto un albero vicino.

La telefonata fu abbastanza breve; papà confermò ciò che avevo detto poc'anzi, ma disse anche qualcosa che mi mise alquanto a disagio, e Shinsou se ne accorse quando esordii con "Papà, ma che vai pensando?!". La mia espressione spiazzata o forse la mia frase precedente lo fece ridere a crepapelle.

Quando staccai, gli rivolsi la parola che stava ancora ridendo. –Allora? Che hai da ridere?
–Scommetto quello che vuoi, ti ha detto di non restare incinto– scherzò, centrando in pieno l'argomento della chiacchierata con papà.
–Praticamente sì– confermai, con sguardo incredulo. –E mamma in sottofondo che gli dava pure ragione!
Shinsou, che aveva detto così tanto per dire, scoppiò a ridere più forte di prima. –Io adoro i tuoi genitori!

*****

Qualche ora dopo, andammo in un locale poco distante dal centro a bere qualcosa. Dato che eravamo ancora minorenni dovettimo aspettare che arrivasse la folla, così che nella confusione e nella fretta i baristi si scordassero di chiederci i documenti. Era una tattica semplice, ma funzionava quasi sempre.

Quando finalmente la gente iniziò ad arrivare, presi Shinsou per una mano e lo trascinai dentro. Io e gli altri ragazzi andavamo spesso in quel locale ed ebbi un po' paura di incrociare loro o qualcuno che conoscevamo, ma per fortuna non successe. L'unica altra persona che sapeva che stavamo insieme era Mina, la quale aveva seguito la nostra vita di coppia come se fosse una serie TV o un manga per ragazzine; noi però avevamo intenzione di tenere la nostra relazione privata almeno per un periodo, quindi non incrociare nessuno di conosciuto fu un grande vantaggio.

Riguardo gli altri ragazzi, non sapevamo bene cosa fare. Dubitavamo fortemente che fossero omofobi o che ne avrebbero fatto un dramma, ma Shinsou voleva evitare che la voce girasse per tutta la scuola e, magari, anche fuori. Per il momento, quindi, restava tutto tra lui, me, le nostre famiglie e quell'impicciona rosa.

Ordinammo i nostri cocktail seduti al bancone; io chiesi un banalissimo Sex on the Beach, mentre Shinsou si buttò su qualcosa di più pesante e chiese un Long Island.
Dopo pochissimo notai che non era molto in forma: sembrava agitato. –Tutto okay?
–Sì, tranquillo– disse, ma non gli credetti. Non era un granché a mentire, e se diceva una bugia lo si notava subito.

Notai che, poggiata contro i piedi dello sgabello, la sua gamba iniziò a tremare sempre più velocemente. Continuava a parlarmi, ma la sua voce usciva via via più rapida e nervosa. Vedendolo così, anche io iniziai ad agitarmi.

–Che hai?– chiesi di nuovo, quando vidi che cominciava a sudare.
Si sbottonò il primo bottone della camicia, accaldato. Per qualche assurda ragione, però, rabbrividì.
Si guardò intorno spaesato, con gli occhi persi nel nulla, e allora compresi con orrore che stava per avere un attacco di panico.

The Void Behind Your Eyes‐ShinkamiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora