Capitolo sedici

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Kaminari's pov

Erano all'incirca le sei del pomeriggio, e stavo beatamente disteso a letto, recuperando il sonno perso, quando il trillo inaspettato del campanello mi fece sobbalzare e cadere giù dal materasso. Maledissi sottovoce quell'affare e chiunque l'avesse inventato e misi i piedi nudi per terra, sentendo la pelle a diretto contatto con il legno. Avevo sempre adorato la sensazione di camminare sopra parquet, quindi in casa non mettevo mai le ciabatte. Mi tirai su e scesi le scale tutto assonnato; aprii la porta e mi ritrovai davanti Shinsou. Insieme a lui, c'era un borsone che minacciava di esplodere e una valigiona anch'essa fin troppo piena. Quei due oggetti mi suggerirono inconsciamente che fosse successo qualcosa di grave e il volto di Hitoshi, tutto graffiato e pieno di cerotti, non contribuì certo a sviare tale pensiero.

–Hitoshi?– chiesi, sorpreso di vederlo. –Cosa..?
–Mia madre ha scoperto che stiamo insieme– spiegò, velocemente. –Scusami il disturbo, è che non sapevo dove altro andare...
–Oddio, ti ha buttato fuori di casa?!– esclamai, pensando invece a come mia mamma e mio padre avessero reagito bene quando gli dissi della mia relazione con il ragazzo che avevo di fronte. Tra Mina e mia mamma non so chi fosse più felice, anche perché mi aveva detto di invitarlo a cena perché ci teneva a conoscerlo il prima possibile.
–In un certo senso...– si passò una mano tra i capelli, nervoso. –Diciamo che per un po' di tempo non posso e non voglio tornare a casa.
–Prego, entra– dissi, e mi spostai per farlo passare. –Ora vediamo di trovare una soluzione.
–Grazie, grazie mille– si schiacciò distrattamente sulla guancia un cerotto che minacciava di staccarsi, e spinse il valigione all'interno del soggiorno.

In quel momento uscì mamma dalla cucina, e con i suoi occhioni gialli guardò confusa sia il ragazzo con i capelli viola che la valigia che portava con sé. –Okay ragazzi– sorrise, con espressione stralunata. –Chi di voi due mi spiega che cosa sta succedendo qui?
Guardai Shinsou, come a chiedergli il permesso di raccontare la sua storia, e mi lanciò uno sguardo d'intesa. Gli stava bene, capii, e iniziai a parlare.

–Mamma, lui è Hitoshi– lo presentai, e lui fece un inchino imbarazzato. –Come già sai, è il mio ragazzo.
Mamma gli sorrise calorosamente, ancora confusa, e gli rivolse a sua volta un inchino amichevole. Nonostante si mostrasse allegra, percepii la sua preoccupazione probabilmente dovuta ai cerotti e ai lividi sul volto del ragazzo. –Piacere, Hitoshi-kun, io sono Inemitsu– si presentò. –Denki non fa che parlare di te, da un mese a questa parte.

–Al momento si trova in una situazione complicata, quindi...– cercai di sviare il discorso, imbarazzato, ma Shinsou mi fece segno di fermarmi. Il suo sguardo parlava da solo: "Faccio io, che tu non sai parlare", diceva.
–I miei genitori, soprattutto mia madre, non hanno preso molto bene la mia storia con suo figlio– ricominciò a spiegare, arricchendo il racconto con particolari piuttosto drammatici e che mai avrei immaginato. Arrivato a capire il perché portasse dei cerotti, mi si strinse il cuore ed ebbi l'istinto di abbracciarlo, baciarlo sul collo e dirgli che adesso c'ero io con lui, che avrei fulminato chiunque avesse provato a fargli male, ma essendoci mia mamma cercai di contenermi e mi limitai a poggiargli un braccio sulla spalla e a scompigliargli i capelli, dicendogli che da quel momento in poi sarebbe andato tutto bene.
–...e così mio padre mi ha chiesto di andarmene di casa finché non si calmano le acque, ma ci avevo già pensato da solo– concluse, senza tracce di dispiacere nelle voce. Era semplicemente rassegnato, come se avesse aspettato quel triste momento da sempre. –E sono qui a chiedervi se posso dormire sul vostro divano giusto qualche giorno, finché non trovo un posto dove stare stabilmente.

Inemitsu, che nel frattempo era rimasta scossa dal triste racconto del mio ragazzo e si stava tamponando gli occhi con un fazzolettino di carta, gli mise gentilmente una mano sulla guancia e gli disse con fare affettuoso di fermarsi tutto il tempo necessario, anche per mesi, senza farsi problemi.

La ringraziò ancora e dopo lo aiutammo a salire la valigia in camera mia. In quella piccola casa non c'era una camera degli ospiti, quindi mamma ci disse di farcene una ragione e aggiunse un secondo lettino tirato fuori da chissà dove nella mia stanza. Lo spazio rimasto non era tanto, a mala pena sufficiente per passare tra un letto e l'altro e per aprire l'armadio. Io e lei, mentre stavamo mettendo le lenzuola al lettino, ci scambiammo uno sguardo molto significativo. Guardai con un rapido scatto prima Shinsou, seduto sulla mia sedia, poi il letto e poi lei.

–E va bene, ho capito!– esclamò divertita.
Spinse il lettino di Shinsou fino ad accostarlo al mio con un colpo secco. –Facciamo pure finta che sia un matrimoniale, anche se aprire i cassetti vi verrà difficile.
Lei ci fece l'occhiolino, e Shinsou divenne rosso e si nascose la testa dietro le braccia, incrociate e poggiate sulla spalliera della sedia. –Non c'era bisogno...– borbottò, ma dubitavo fortemente che gli dispiacesse l'idea di dormire vicini vicini.
–Ma va, lo so che questa idea piace anche a te– scherzò lei. –A me sta bene, purché non ci ritroviamo un bimbetto giallo e viola che ci gira per casa.
Io e Hitoshi ci scambiammo uno sguardo imbarazzato, sperando di poterci seppellire sotto terra.

–Cosa vuoi per cena, Hitoshi-kun?– chiese lei, con disinvoltura.
–Va bene qualunque cosa– rispose lui, grato di poter pensare a qualcosa che non fosse il nostro letto. –A parte i funghi, a quelli sono allergico.
–Questa, tesoro mio, non è una risposta– disse lei, con un sorriso. –Parlane anche con Denki e poi fatemi sapere.
–Vado a chiamare mio marito per avvisarlo che sei qui, a dopo!– aggiunse, per poi andarsene al piano di sotto.

Osservai la sua lunga treccia bionda scomparire giù per le scale poco dopo, lasciandoci da soli.
–Scusala– dissi, sedendomi sul letto. –Ha cinquant'anni, ma a volte sembra una ragazzina inopportuna.
–Ma no, è tanto simpatica– rispose, portandosi istintivamente una mano ad accarezzare i cerotti e abbassando lo sguardo di conseguenza. –Mi sarebbe piaciuto avere una mamma così, per quanto inopportuna possa essere. 

–Oggi... non è stata la prima volta che è successo, vero?– chiesi. Hitoshi capì al volo a che cosa mi stessi riferendo, e scosse la testa con lo sguardo perso nel vuoto.
–È così da anni– affermò, con un sorriso amaro. –Da quando ho iniziato le medie, più o meno.

Seguendo l'istinto che prima avevo soppresso, gli andai vicino e lo abbracciai, lasciandogli un bacio sulla fronte invece che sul collo, come avevo pensato in precedenza. Non potevo farlo spesso, data la differenza d'altezza, ma dato che era seduto ne approfittai.

Poggiai la fronte contro la sua, mi persi nel viola dei suoi occhi, e gli dissi tutto ciò che prima non avevo potuto dire. –Finchè sarò al tuo fianco, ti giuro che farò di tutto per tenerti al sicuro– gli promisi. –E se solo tua madre o qualcun altro prova anche solo a torcerti un capello, giuro che gli do una scossa così forte da fargli friggere i neuroni... non importa chi sia, ti giuro che ti proteggerò pure a costo di ammazzarlo.
–Grazie– sussurrò lui a voce molto bassa, stringendomi più forte e abbassando la testa nell'incavo del mio collo. Gli scese qualche lacrima che mi inumidì la stoffa della maglietta; lo lasciai fare e lo strinsi più forte a mia volta. Per quanto fosse triste, la situazione era estremamemnte semplice da capire: Hitoshi si sentiva amato per la prima volta dopo chissà quanto tempo.

Qualche minuto dopo, gli chiesi se volesse andare a farsi una doccia. Accettò riconoscente, e scomparve in bagno pochi minuti dopo.
–Se vuoi, inizio a svuotarti la valigia– gli proposi, urlando fuori dalla porta del bagno.
–Okay, grazie– rispose, la sua voce confusa sotto il getto dell'acqua. –Io arrivo subito.

Tornai in camera, misi la sua valigia sul letto e la aprii. Spostai i primi vestiti in un angolo dell'armadio che avevo svuotato, ma poco dopo mi bloccai, fissando un pacchetto di lamette riposto furtivamente sotto la divisa di scuola.
–Che figo, non pensavo che già gli crescesse la barba!– esclamai, immaginando come sarebbe stato Hitoshi con la barbetta o i baffi. Avrebbe inquietantemente ricordato Aizawa-sensei dopo essersi fatto la tinta viola, quindi pensai fosse molto meglio obbligarlo a rasarsi finché non avesse compiuto almeno una trentina d'anni. Misi via il pacchetto, intenzionato a posarlo più tardi nel mobiletto con le scorte in bagno.
Lì per lì non ci diedi peso e non ci pensai più, ma col tempo realizzai che, tra noi due, non ero l'unico a star nascondendo qualcosa.

The Void Behind Your Eyes‐ShinkamiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora