Capitolo trentasette

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Shinsou's pov

Dopo un'attesa che parve pressoché interminabile, arrivò anche il Festival della Cultura. Lo trascorsi quasi tutto con Amajiki senpai e per un po' ci fece compagnia anche il suo amico Togata, che portava con sé una bambina dai capelli bianchi e con un piccolo corno marroncino sulla fronte.
–Ciao nanetta– le dissi, inginocchiandomi per terra, arrivando alla sua altezza. –Come ti chiami?
Lei sbatté più volte i suoi occhioni rossi, intimidita, ma rispose comunque con una vocina acuta. –Eri. Tu?
–Hitoshi, sono un amico di Togata e Amajiki– le dissi con un sorriso gentile, e le strinsi la manina. Ricambiò la stretta con riluttanza. –Piacere di conoscerti, Eri-chan.

Lei strinse le labbra, e non sapendo cosa dire guardò il ragazzo biondo che la accompagnava.
–È molto timida, non è abituata a fare nuove conoscenze– la giustificò. –Scusala.
–Nessun problema– dissi. Dopo tutto che aveva passato, mi sorprendevo che fosse così tranquilla. Mi ero aspettato una piccola peste che covava odio e disprezzo nei confronti del mondo -e avrebbe fatto bene, il mondo fa schifo-, e invece mi ritrovavo davanti una delle creature più carine e tristi che avessi mai visto.

La portammo a vedere lo spettacolo teatrale che avevamo scritto qualche tempo prima, dove Monoma recitava il ruolo del cavaliere-ninja-possessore-del-Death-Note protagonista. Nessuno capì un'accipicchia della trama, nemmeno io che l'avevo in parte concepita, ma piacque un sacco proprio per il suo nonsense. L'unica in sala che non rise mai fu proprio la piccola che, in base alle parole del ragazzo biondo e muscoloso, non sapeva come si facesse.

–Non sa cosa significhi essere felice– spiegò Togata durante l'intervallo della messa in scena, mentre Eri era impegnata a giocare con Amajiki. Il ragazzo elfo le stava insegnando una di quelle filastrocche che si cantavano da piccoli battendo e muovendo le mani, ma lei invece di sorridere come avrebbe fatto qualunque altra bambina della sua età, rimase seria e la prese come un compito da imparare a memoria. Amajiki sembrava un po' scoraggiato da quel suo atteggiamento serioso, ma non si arrese e continuò a insegnarle giochi del genere.

–Io, Tamaki e Midoriya ce la stiamo mettendo tutta, ma ancora non siamo riusciti a farla ridere nemmeno mezza volta– continuò il biondo. Si batté il pugno sulla mano, poi continuò. –Tuttavia, non ho intenzione gettare la spugna. Non così presto, almeno.
–Ce la farai, senpai– dissi. Per quanto poco lo conoscessi, ero sicuro di poter affermare che Togata Mirio fosse uno dei ragazzi più determinati, solari e altruisti che avessi mai conosciuto. Se diceva che avrebbe fatto di tutto per far sorridere la piccola, non dubitavo che, prima o poi, ce l'avrebbe fatta.

Per l'occasione, in estremo ritardo come al solito, ci raggiunse anche Kaminari, seguito a ruota da un affannato Midoriya. Il ragazzo dai capelli verdi prese posto tra me ed Eri, rivolse alla bimba un sorriso gentile e si scambiarono qualche parola.
Subito dopo, le luci si spensero e lo spettacolo riprese da dove si era interrotto poco prima.

Letteralmente meno di cinque minuti dopo, Kaminari, seduto alla mia sinistra, poggiò la testa sulla mia spalla nascondendosi il volto tra le mani.
–L'abbiamo veramente pensata noi, questa... questa... ah, non so neanche come definirla!– disse in tono quasi sofferente.
–Già– risposi, mentre si lagnava sottovoce per il livello di nonsense che lo spettacolo aveva raggiunto. –Anche io stento a crederci, ma è opera nostra.
–Aaaaah!– si strofinò gli occhi in un gesto imbarazzato. –Diamine, è anche peggio di come la ricordassi!
–Anche perché non penso che te la ricordassi granché– obiettai.
–Infatti!– esclamò. –Per fortuna che non compaiono i nostri nomi tra gli autori... Me ne sarei vergognato per tutta la vita!
Sogghignai divertito, e lo strinsi a me. –Goditi lo spettacolo e basta, stai diventando una checca isterica.

*****

Dopo aver assistito sia all'obbrobrio teatrale di Monoma che allo spettacolare concerto della 1ªA, stavamo tutti morendo di fame. Proposi di dirigerci tutti verso la 1ªC, la mia classe, dove i miei compagni si erano dati alla ristorazione. Furono tutti d'accordo, quindi scendemmo al piano della mensa.
Vidi Togata abbassarsi per arrivare più o meno all'altezza della bambina, e le chiese che cosa volesse mangiare. Accennò con uno sguardo verso tutte le pietanze a disposizione sul bancone, gentilmente prestato alla classe per occasione della festa.

–Va bene tutto– disse lei, con la sua solita vocetta triste. –Non ho preferenze.
–Dai– la spronò gentilmente Midoriya. –Ci sarà un cibo che ti piace più degli altri!
–Mh...– lei ci pensò qualche attimo, guardandosi intorno, poi rispose. –Le mele.
–Okay...– disse Amajiki, prendendola gentilmente per la manina. –Ti prendermo anche una mela, ma prima devi mangiare qualcosa di più sostanzioso. Vieni come me, andiamo a vedere che c'è di buono.

Si allontanarono per andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, e io decisi di seguirli. Kaminari stava litigando al telefono con qualcuno che non conoscevo, e si era allontanato lasciandomi solo con Midoriya e Togata. Mentre loro due andavano a cercare un tavolo libero, raggiunsi Amajiki ed Eri.

La bimba stava sulle punte dei piedi, cercando di sbirciare dietro il bancone della mensa troppo alto per lei. I suoi occhi non arrivavano a vedere cosa ci fosse al di sopra, e quindi Amajiki senpai le stava pazientemente spiegando cosa ci fosse e che cosa, secondo lui, avesse un aspetto migliore. Nonostante i loro sforzi, Eri non sembrava volersi decidere, ed io ipotizzai che fosse perché semplicemente non riusciva a vedere il cibo.
Mi abbassai e la invitai a salire sulle mie spalle, da dove avrebbe visto sicuramente tutto.
–Oh!– esclamò lei, stringendosi forte per paura di cadere. –Sei altissimo, Hitoshi-kun! Non ti vengono le vertigini quando guardi a terra?
Ridacchiai, intenerito. –Nah, ci ho fatto l'abitudine. 

–Allora– disse Amajiki, pacato e cordiale come al solito. –Ora che vedi bene, c'è qualcosa che ti fa simpatia?
Eri appoggiò il faccino sulla mia fronte, schiacciando tutti i capelli che avevo pazientemente sistemato la mattina.

Mentre lei si decideva, chiesi ad Amajiki se avesse parlato con Togata.
–Sì– rispose. –Mirio-kun non è per niente arrabbiato con me.
Gli rivolsi un sorriso gentile. –Ti preoccupi troppo, senpai.
–Lo so– ammise. –Avevi ragione tu, grazie.
–Figurati– gli dissi. –Se ci sono altri problemi, ricordati che puoi parlarne anche con me.
–Ah, oltre questo vol-...– disse; voleva aggiungere qualcos'altro, ma la nostra conversazione fu troncata in due da Eri-chan che aveva scelto cosa volesse mangiare.
–Quello lì!– esclamò dopo aver guardato tutto il bancone, indicando con l'indice una ciotola di ramen fumante. –Sembra tanto buono.
–Ottima scelta– le dissi, e all'improvviso venne voglia di ramen anche a me.

Io e Amajiki ci scambiammo uno sguardo d'intesa che poi rivolgemmo anche alla ciotola piena di noodles, maiale e verdure, già con l'acquolina in bocca.

Annuii sotto il peso di Eri, capendo che il richiamo della pietanza migliore al mondo era troppo forte e che neanche il mio elfico amico poteva rinunciarvi.
–Ryobe-kun!– chiamai un mio compagno di classe che stava servendo i piatti, facendolo sobbalzare. –Sei porzioni di ramen, per favore!

The Void Behind Your Eyes‐ShinkamiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora