Libro 1: 11) Doccia contemplativa

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Un'idea... Mi serviva un'idea geniale per uscire da quel momento di merda. E cosa fa venire idee geniali, riflessioni filosofiche e momenti trascendentali? Ebbene sì, una bella doccia. Giuro che ci rimasi almeno un'ora sotto quel getto d'acqua così rilassante. Ma nulla. Nemmeno un piccolo pensiero che mi avesse aiutato in un momento così difficile.

"Devo trovare un'occupazione, ma non ci sono posti di lavoro... Ho bisogno di soldi, ma non crescono sugli alberi... Ho necessità di un futuro, ma è probabile che mia madre mi uccida presto. Sono spacciato", mi dicevo. Nemmeno una secchiata d'acqua gelida mi sarebbe servita in quel momento. La situazione era delle peggiori e la mia barca stava affondando. L'unica soluzione poteva essere quella di iscrivermi all'università. Forse... Almeno avrei giustificato la mia presenza a Roma e avrei ottenuto un pezzo di carta utile per lavorare. Ma la voglia di studiare mancava e il mio cervello aveva dato le dimissioni dall'esame di Stato. Dovevo chiedere aiuto e consiglio.

"Ma a chi?"

Ai miei genitori non l'avrei mai chiesto. Volevano sentire la parola università sin da quando avevo bruciato la mia aul... Diciamo fino a quando ho terminato il liceo. Ai miei nonni neppure. Non volevo che sapessero di questa mia angoscia interiore. A mio fratello nemmeno morto, lui mi avrebbe rinfacciato di rubargli il sogno di andare all'università e di diventare medico.

"Aspetta un momento... Medicina.", pensai. In effetti, dopo anni di Scrubs e Dr. House, mi era venuto in mente di lavorare in un ambiente ospedaliero e avevo sempre sognato di essere schifosamente ricco come i medici. Ma, oltre a rubare l'idea a mio fratello, avrei dovuto studiare per sei anni per ottenere la laurea. Il mio cervello si stava per suicidarsi al solo pensiero di tutti gli argomenti che avrebbe dovuto imparare e il mio portafogli avrebbe preferito la morte, piuttosto che spendere i nostri risparmi in mattoni di medicina. Diciamo che da una parte mi sarebbe piaciuto guadagnare una marea di soldi e di giocare la carta "sono un dottore" con le ragazze in discoteca o al bar. Tuttavia, lo studio mi avrebbe portato alla pazzia e mi sarei dovuto cavare gli occhi per evitare l'apprendimento. Ma, c'era da dire, che tutte le altre università erano off-limits, dato che la branca medica era uno dei pochi argomenti che avrei potuto trovare interessante. Il resto mi faceva dormire meglio di un narcotico.

«Aspetta un momento!», dissi ad alta voce, cercando di non scivolare nella doccia.

«Se incomincio a studiare medicina, potrei chiedere a Mary di studiare insieme. E poi farei anche contenti i miei.»

Non ci volle nient'altro per convincermi. Tira più un pelo di fi... Cerco di evitare le volgarità. Ma rimaneva comunque un problema. Per entrare a Medicina, bisognava superare il test d'ammissione basato su cultura generale, chimica, fisica, matematica e biologia.

«E ritorniamo al punto iniziale... Sono di nuovo fottuto.», dissi. In biologia potevo anche cavarmela, ma in tutto il resto ero una ciofeca. Fisica l'avevo sempre odiata, chimica non la capivo e in matematica presi per due anni di fila il debito. La professoressa non mi vedeva di buon occhio, ma aveva ragione al portarmi fino ad agosto sui banchi di scuola.

"Posso prendere ripetizioni, come sempre.", riflettei. Io andavo a ripetizioni di matematica, inglese, chimica e latino fin dal primo anno di liceo scientifico e ciò ha portato molti soldi ai miei professori e pochi soldi per le mie paghette. Perché se andavo male in matematica, mi ero iscritto a un liceo scientifico? Beh. È quello che ci chiedevamo io, mia madre, mio padre, i miei professori, il papa e lo Stato da molto tempo. Lo scelsi, e non è una battuta, perché alle medie adoravo la matematica. Mi piaceva così tanto che, da deficentello che ero, feci un gran bel discorso con mia madre sul liceo da scegliere.

«Mamma, voglio andare a studiare in una scuola in cui si fa tanta matematica!»

Immaginatemi con camicia a quadri, pantaloni pesanti e berretto di lana. Mi vestiva mia madre all'epoca e ciò non mi ha portato molta popolarità a scuola. Purtroppo...

«Bene, ce ne sono tante in cui insegnano la matematica.», disse Satana, inconsapevole della cazzata che stavo per dire.

«E quale è la scuola più dura tra quelle in cui si studia matematica?»

Non per giudicare come si debba fare il genitore... Ma in quel momento mi poteva rispondere con una bugia o con un liceo che poteva essere alla mia portata intellettiva. Poteva evitare la verità. I bambini non ragionano con ciò che si è in grado di fare, dato che i videogiochi e i cartoni animati insegnano a prendere sempre la strada meno battuta per essere più soddisfatti alla fine. Più è difficile, più era gratificante dire agli altri "Ci sono riuscito!". Ma se la cosa è impossibile, il genitore dovrebbe proteggere il proprio figlio e indirizzarlo verso la giusta strada.

«Beh... Quella più dura di Taranto è il Battaglini.»

Provate a indovinare. Chi ha insistito per andare in quella scuola, piuttosto che in un'altra un po' più leggera? Chi ha preso per due anni di fila, terzo e quarto anno, il debito in matematica e inglese, giocandosi due estati al mare? Chi è un coglione?

«Hai finito in bagno?»

Mi ripresi all'improvviso dal viaggio mentale, era passata un'ora da quando avevo incominciato a fare la doccia e fuori si era fatto buio. Una voce femminile, diversa da quella di Linda, mi aveva risvegliato. Era Mary.

«Un attimo ed è tutto tuo!»

Tentati di frenare gli istinti animali sul pensiero del suo corpo nudo e mi misi l'accappatoio per uscire dal bagno. Stavolta avrei potuto conoscere la mia coinquilina! Ma, quando aprii la porta, vidi qualcosa che mi rese confuso e sbavante allo stesso tempo. Dato che pensavo che ci fosse Mary dall'altra parte, avevo abbassato la testa per vederla in volto, data la sua bassa statura. Invece, mi ritrovai a fissare il seno coperto da una maglietta nera con il fungo di Super Mario al centro. La ragazza, alta e con i capelli lunghi tinti di rosso, portava un paio di pantaloncini blu che mettevano in risalto le lunghe e seducenti gambe. I suoi occhi erano di un candido verde chiaro e andava in giro senza pantofole o calzini. Tre buchi nell'orecchio sinistro e due nel destro, contai, ma ciò che mi paralizzò fu il fatto che era trasandata e con i capelli in disordine. Non aveva traccia di trucco e una pelle liscia senza alcuna imperfezione. Non seppi cosa dire, quando la vidi e mi uscii un debole filo di voce per l'imbarazzo.

«Mary?», chiesi non riuscendo ad allontanare lo sguardo dalla maglietta e la mia lingua era intrecciata per la vergogna di essere con l'accappatoio di fronte a un'estranea. La ragazza mi sorrise e fece di no con la testa. Quasi come se mi conoscesse già.

«Giusto... Mi sono scordata che non mi hai mai vista prima. Anche se io ho già visto te. Io sono Andrea.»

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