Libro 1: 15) Ladri d'infanzia

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Un mese di dolori infiniti. Così avrei definito questi sette giorni di "allenamento". Non potevo nascondere che la sensibilità dei muscoli scomparve circa alla seconda settimana. Perciò, quando circolava l'acido lattico, il dolore che provavo non arrivava al cervello. In un certo senso era meglio così, in un altro non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto con le mie sole forze dopo ogni sessione di studio. In quel mese non c'era stato molto da dire. Ho studiato, mi sono allenato, ho conosciuto tanti "amici" di Linda, o clienti se voglio essere più esplicito, e ho mangiato. Per mia fortuna cucinava Andrea e io mi limitavo a fare la spesa. Anche se una volta ho scambiato il sapone di Marsiglia per i capi al posto del sapone per le mani... Dettagli insignificanti. Andrea era un'ottima cuoca, ma prima del mio arrivo cucinava davvero poco. La scusa che usò fu che gli scocciava andare a comprare il materiale per cucinare. Per questo spesso ordinava al ristorante cinese o da qualche altra tavola calda. Anche la sua carnagione dimostrava che non vedeva la luce del sole da un bel po' di tempo. Era bianca latte, un tipo di pallore alla Jinx di League of Legends. L'unico elemento di colore del suo corpo erano i capelli tinti e le labbra poco più scure della pelle. Ho scoperto molte cose di lei. Andrea era milanese e, dopo aver ottenuto due lauree all'età di sedici anni e aver fatto contenti i genitori con il teatro e la musica, aveva lasciato tutto per andare a Roma a diciotto anni. Con la sua intelligenza, avrebbe potuto trovare lavoro dappertutto, ma voleva fare solo una cosa nella vita: recuperare l'infanzia che aveva perduto da piccola. I genitori non gli avevano mai permesso di giocare con i videogames o non avevano mai accettato che lei facesse sport, quindi voleva recuperare il tempo perduto. Trovò lavoro come beta tester per la Sony, ma spesso anche Nintendo le inviava qualche gioco in esclusiva. Da allora non era uscita più di casa. Erano quattro anni, forse, che non andava oltre il pianerottolo dell'edificio. Ma, dato che sembrava un argomento serio, non ne volle parlare. Cambiava sempre discorso, quando si toccava il suo isolamento volontario.

«Che ne dici se stasera andiamo a bere qualcosa per festeggiare la fine di questo mese infernale?», le chiesi, dopo aver finito di studiare, ad Andrea.

«Prendi qualcosa e ci vediamo il film di Final Fantasy VII? Sarebbe fantastico!»

Non mi sarebbe dispiaciuto vedere quel film con lei, adoravo Cloud e tutti i suoi compagni, ma avevo bisogno di aria fresca e pulita.

«Pensavo che potevamo andare in un pub e poi andarci a vedere i Cavalieri dello Zodiaco al cinema.»

L'esca l'avevo buttata, sapevo che lei amava il cartone animato e non era ancora riuscita a vedere il film in streaming, quindi la trappola era l'ideale per farla uscire fuori di casa.

«Bello... Ma ho più voglia di vedere Sephiroth.», mi disse usando una tecnica troppo meschina: il labbruccio e gli occhi da cane bastonato.

«L'hai visto mille volte! Dai che una bella birra è l'ideale per stasera. Soprattutto se vogliamo festeggiare il fatto che ho superato il tuo test.»

Andrea mi sottoponeva, una volta a settimana, dei test simili a quelli d'ingresso per prepararmi per il giorno del giudizio. E, dopo tanti errori e tante flessioni, ero riuscito a rispondere bene a quaranta domande su ottanta. Voto un po' scarso, ma abbastanza per poter entrare in una facoltà scientifica.

«Ecco, io per la verità...»

Mi guardava con aria imbarazza e con un po' di vergogna, ma per fortuna capii subito al volo cosa voleva dirmi.

«Non ha mai bevuto una birra?», chiesi stupito mentre lei alzava le spalle con un sorriso ironico. Da un certo punto di vista, questo aveva un senso. I suoi genitori erano sempre stati con lei e le avevano vietato di bere alcol, come tutti i genitori avrebbero fatto. Ma pensavo che qualche volta, con i suoi amici o quando era diventata indipendente, avesse bevuto qualcosa.

«No... Ma mi piacerebbe provare»

Provare la birra rientrava nella lista delle cose da fare di Andrea, dato che doveva recuperare infanzia, adolescenza e pubertà.

«Motivo in più per uscire e venire con me in un pub. Ma mi sembra strano che tu non l'abbia mai provata con i tuoi amic...»

Mi bloccai di colpo, come se avessi avuto un'illuminazione dal cielo. "Andrea ha amici?", pensai sconcertato. Da quando la conoscevo, non l'avevo mai vista messaggiare o chattare con qualcuno. Mai una telefonata o una visita da parte di altre persone. A quanto pare, da piccola era troppo occupata con tutte le sue attività e con lo studio per potersi fare degli amici. Quando la fissai negli occhi, notai un'espressione molto malinconica. E tentò di allontanarsi dalla porta di casa, dove ci trovavamo. Lì capii un'altra cosa. Non solo non aveva amici, ma aveva paura di uscire. Non ci volle molto a capire il motivo. Erano passati quattro anni dall'ultima volta che era uscita e si era ritrovata a camminare sulla strada. Quattro anni da quando aveva abbandonato i propri genitori. Quattro anni da quando si era lasciata tutto alle spalle per finire, letteralmente, per strada. Senza soldi, senza casa, senza niente. L'esperienza dev'essere stata così tanto traumatica, che aveva promesso di non varcare più la soglia di casa. Lei sapeva che io l'avevo capito in quel momento, data la mia espressione stupita e piena di sensi di colpa per la domanda che le avevo fatto.

«Ti va di prendere due birre e una pizza e ci vediamo qui il film?»

Aveva gli occhi lucidi e stava per piangere al solo pensiero che il suo nuovo coinquilino potesse abbandonarla a casa per uscire. Anzi, era meglio dire "al solo pensiero che il suo nuovo amico l'abbandonasse per uscire". Io, d'istinto, mi avvicinai a lei e l'abbracciai, facendole appoggiare la testa sulla mia spalla per confortarla. Non serviva nessuna parola per dirle che avremmo passato la serata lì a casa, l'aveva capito da sola. E non serviva spiegare nulla della situazione o dei suoi problemi, l'avevo intuito subito. La cosa migliore da fare, era concentrarsi su quel momento e su quell'abbraccio così intenso. Cercando di ignorare la mia spalla che, lentamente, si stava bagnando.

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