Libro 1: 28) Morphine therapy

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La luce del sole entrava di prepotenza all'interno della stanza d'ospedale e tutto taceva attorno a me. Quel silenzio così rilassante, unito alla brezza di vento portata dalla finestra aperta, mi dava un senso di pace immenso. In questi giorni avevo avuto pochi attimi di relax a causa dei test d'ingresso ed a causa di mia madre. Quanto volevo che quel momento durasse per sempre. Addormentato su un comodo materasso e con un dolce calore nella mano. Ci vollero un paio d'ore prima che l'effetto della morfina svanisse quasi del tutto e finalmente riuscivo a pensare lucidamente e riuscivo a vedere tutto ciò che stava nella sala dell'ospedale. La stanza era una doppia e gli interni erano tutti bianchi. Al centro del muro che avevo di fronte a me, c'era una televisione spenta, mentre alla mia sinistra c'era un letto vuoto.

« A quanto pare sono il primo affittuario della stanza.. »

Dissi con voce ancora debole. Non parlavo da un po' di tempo ed avevo la gola secca. Chissà quanto avevo dormito.

« Non è propriamente vero.. Il tuo coinquilino è morto ieri sera. »

La voce, proveniente alla destra del letto, era quella di Andrea che, vestita con una felpa rossa e con dei jeans, teneva stretta la sua mano alla mia. Devo proprio averla fatta preoccupare..

« Che mi sono perso durante questo letargo? »

Chiesi con ironia notando gli occhi stanchi e rossi di Andrea.

« Non dirmi che hai pianto? »

Questa volta non riuscii a trattenere una piccola risata. Non pensavo di essermela passata tanto brutta per un piccolo incidente. Mossa sbagliata, dato che provai un piccolo senso di dolore al torace. A quanto pare avevo qualcosa di rotto ed anche una piccola risata causava dolore.

« Mi sembra normale. Hai tre costole rotte e ti hanno appena operato al crociato. Hai rischiato di morire per emorragia interna e, fino a due giorni fa, eri attaccato ad un ventilatore meccanico. Non avrei dovuto piangere? »

Domandò scocciata, strofinandosi gli occhi per nascondere le prove dello sfogo di quei giorni. Ero rimasto dentro la terapia intensiva per una settimana intera e un'altra settimana l'avevo passata all'interno del reparto di degenza del Policlinico Tor Vergata, sempre sotto coma farmacologico. Quello che mi era sembrato un sogno troppo veloce, si è rivelato un incubo di due settimane per Andrea e per i medici che mi avevano in cura. Mentre ballavo il mambo con la morfina, qualcuno stava combattendo per tenermi in vita. Ma il peggio era passato.

« Ora sto bene però.. »

La gola secca non mi permetteva di usare un tono di voce consono, ma l'importante era vedere la mia coinquilina di nuovo sorridere. Ma, dopo tutto quello che era successo, notai qualcosa di strano.

« Ma.. Sei uscita di casa? »

Chiesi ridendo per la felicità e bestemmiando nella mia testa per i dolori al petto. Andrea era riuscita a vincere la sua paura ed era uscita dal nostro appartamento. Certo.. Era uscita a causa dell'incidente, ma era comunque un avvenimento degno di nota.

« Ti pare strano? Che avrei dovuto fare? Mentre tu stavi qui a morire, io sarei dovuta rimanere a casa a giocare ai videogiochi? Ragiona prima di parlare, idiota! »

Questa volta Andrea mi urlò contro. Era agitata e stanca, chissà da quanto non si faceva una dormita. Probabilmente non tornava a casa dal giorno dell'incidente ed aveva dormito sempre affianco a me in queste due settimane. Avevo anche paura che le sue urla potessero far preoccupare qualche medico, ma era l'ultimo dei miei pensieri al momento. Anche perché non avrei voluto essere disturbato da qualcuno durante questa discussione.

« Scusami.. È solo che sono felice per te. »

Bisbigliai sorridendole e cercando di spostare lo sguardo maggiormente verso destra, evitando di procurarmi altre fratture. Per fortuna non ci volle molto prima che la rossa ricambiò il sorriso, ma ciò non poteva guarire più velocemente le sue ferite.

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