Libro 1: 04) Fantasmi

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Erano le ventidue quando arrivai con i bagagli nella mia nuova casa. Non volevo aprire con le chiavi che Linda mi aveva dato, così bussai un paio di volte al campanello. Giusto per conoscere anche gli altri inquilini della casa e instaurare un rapporto con loro. La bionda dai capelli lunghi e mossi non era nell'appartamento, dato che quasi ogni sera lavorava in discoteca. Non mi aveva detto che tipo di lavoro faceva lì dentro, ma di certo non dovevano averla assunta solo per la sua bella presenza... Provai a bussare alla porta, ma nessuno mi aprì.

"Forse non sono in casa...", pensai.

Linda mi aveva detto che il beta tester stava rinchiuso nella sua camera e che, se non aspettava la cena che aveva ordinato, si isolava dal mondo. Ma era strano che nemmeno la studiosa di Medicina venisse ad aprirmi. Eppure era troppo tardi per la biblioteca.

Aprii la porta ed entrai nella casa buia. L'unica illuminazione veniva dalla stanza del beta tester. Non volevo disturbarlo, per quello entrai nella mia camera facendo meno rumore possibile e incominciai a sistemare le mie cose.

Il profumo che proveniva dalla stanza del gamer era inconfondibile, cibo cinese. Una pietanza forte e molto speziata, dovevano averglielo consegnato pochi minuti prima. Quella sera avevo mangiato solo un pezzo di focaccia preso nei dintorni che non era riuscito a saziarmi, e quel profumo non aiutò molto a dimenticare la fame. Non ero sprovvisto di soldi, ma non potevo sprecarli così. I miei genitori mi avevano lasciato 750 euro per sopravvivere tutto il mese, 300 per l'affitto e il resto per mangiare. Non ci volle molto a capire che avrei sofferto la fame in quella città, dato che solo un pezzo di focaccia era venuto tre euro e cinquanta centesimi. A Taranto riesci a sopravvivere con due euro, la sera: uno per comprare un panzerotto e uno per bere una Raffo. Ma qui a Roma era diverso. Il panzerotto lo chiamavano calzone e lo facevano solo al forno, in maniera anche oscena. Mentre la Raffo era una birra in via di estinzione nella capitale, dato che il 98% dei romani non sapevano nemmeno cosa fosse.

"In che razza di mondo sono finito...", pensai.

Si fecero le ventitré e trenta, quando sentii movimento nella casa. Qualcuno aveva aperto la porta e aveva acceso la luce del corridoio. Io, più veloce di Flash, mi precipitai per interrompere quel senso di solitudine che mi aveva avvolto dal primo momento che ero entrato in casa. Ma non fui abbastanza rapido. Giuro che passarono due secondi dal mio salto dal letto fino all'uscio della porta della mia stanza, ma non bastarono per beccare la prima "anima" della casa. A quanto pare, la studiosa di Medicina era rientrata a casa e, con una rapidità incredibile, era riuscita a entrare nella sua camera da letto, spegnere la luce del corridoio e chiudere la porta della sua stanza senza che riuscissi ad accorgermi di nulla.

«Quanto cavolo è veloce?», mi dissi.

Mi avvicinai per bussare alla sua camera per presentarmi, ma, proprio mentre tenevo alto il pugno sulla sua porta, udii la sua voce mentre ripeteva ad alta voce la classificazione delle ossa del metacarpo.

«Studia a quest'ora?», dissi a bassa voce per non far capire alla ragazza che ero lì.

A quanto pare Linda aveva ragione. L'aspirante dottoressa passava giornate intere a studiare. E non le bastavano la mattina e il pomeriggio in biblioteca. "Che dedizione... Questa non avrà nemmeno una vita sociale, però", pensai tristemente. Era off-limits. Mary era una ragazza troppo seria per uno scansafatiche come me e non mi sarei mai sognato di disturbare una ragazza così diligente e con le idee ben chiare in testa.

Era la cosa migliore da fare, lasciarla in pace nel silenzio e nella concentrazione.

«Ahi!», urlai dopo aver sbattuto la spalla contro uno spigolo del corridoio ed essere caduto a causa della mia goffaggine, creando più rumore e frastuono di Galeazzi dentro una cristalleria. Forse ho esagerato... Gli elefanti potrebbero offendersi. La litania di Mary si bloccò non appena sentì l'urlo di dolore. Io, in completo imbarazzo e non volendo esser ricordato dalla mia nuova coinquilina come "quello che è inciampato da solo" o il "Pippo", mi gettai in tuffo verso la mia stanza, sperando di essere più veloce di lei. Peccato che presi così tanto slancio da non riuscire a regolare la direzione. Così da sbattere contro lo spigolo della porta di camera mia. Ignorando il dolore, con una capriola mi infilai in camera e chiusi la porta prima ancora che la ragazza scoprisse l'enorme figura di merda che avevo fatto. Ero riuscito in un'impresa di fuga degna del grande Diabolik dopo uno dei suoi colpi... Certo, senza i suoi soldi, senza la tutina nera attillata e senza la gnocca bionda al mio fianco. Ma non è l'abito che fa il monaco. O, in questo caso, il ladro. Dopo quel momento di agitazione, l'unica cosa che volevo fare era distendermi sul mio letto e sognare. Cosa che avvenne anche con fin troppa facilità.

"Ma quanto ho dormito?", mi chiesi il giorno dopo. Erano le dodici passate e, intontito e frastornato, mi diressi in cucina per fare colazione. "Aspetta un momento... Non ho nulla di mio nel frigo. Devo fare la spesa per mangiare", ero così preso dalla mia nuova coinquilina bionda e dal voler conoscere gli altri che mi ero scordato di comprare qualcosa. Così, mi vestii e andai in corridoio per raggiungere l'uscita di casa.

«Ciao...»

Dinanzi a me c'era un ragazzo di qualche anno più grande di me, con capelli corti e biondi. Aveva la mascella squadrata e profondi occhi blu. Il suo fisico statuario e il suo viso perfetto parevano un quadro, incorniciato da uno smoking nero. Alle sue spalle c'era Linda, vestita solo con una vestaglia che delineava tutte le sue curve; lei gli aprì la porta salutandolo con un bacio che mi sembrò durare un'eternità.

"Nemmeno sono arrivato e questa mi sbatte in faccia Ercole... Poteva farmi illudere almeno un pochino".

«Ci vediamo presto, cara», disse lui con una voce così dolce che per poco non mi provocò una peristalsi. Vomito, per i più ignoranti.

«Ti chiamo io», sussurrò Linda che teneva in mano un biglietto con un numero scritto sopra. Aveva conosciuto in discoteca quel ragazzo e l'aveva portato a casa nostra. "Definirla una tipa facile è dir poco...", pensai mentre lei chiudeva la porta al principe azzurro.

«Buongiorno, Leo!», disse sorridendo e strappando in mille pezzi il foglietto con il numero, lasciandomi a bocca aperta per lo stupore nell'aver rifiutato il sogno di ogni ragazza.

«Ma tu... Quel ragazzo...», cercai di mettere insieme due parole per formare una frase, senza alcun successo, mentre lei mi guardava divertita.

«Quello lì? È solo uno dei tanti "fantasmi" che vedrai gironzolare qui. Ne vedrai diversi, ma in genere non infestano questa casa a lungo. Quindi non ti curar di loro... Ma guarda e passa.»

Quella mattina avevo capito una cosa fondamentale sul carattere di Linda. Era il tipo di donna che esce con tutti, va con tutti, cattura tutti e poi fa scomparire tutti. Erano fantasmi per lei. L'unica cosa importante era divertirsi con loro, usarli e poi buttarli via come giocattoli vecchi. Già, il fatto che li chiamasse "fantasmi" diceva tutto sul suo modo di pensare. Avevo una ghostbuster come coinquilina...

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