Libro 3: 02) Interessamento corale

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In una galassia lontana lontana, c'era qualcosa che disturbava la forza in una maniera così marcata che il mio potere jedi ne risentì. Altrimenti non riuscirei a spiegarmi il motivo di cotanta sfiga! Certe volte penso seriamente che ci sia qualcuno di superiore a me che si diverta a giocare con la mia vita come se stesse giocando a The Sims o come se lanciasse in continuazione i dadi di D&D. Porca troia che giocatore di merda mi controlla! Con due dadi riesce a beccare sempre doppio uno!

« Ti vedo bene dall'ultima volta. È passato più di un anno. »

Affermò lo zio, quasi come se volesse sottolineare che, da quando avevo lasciato la su dimora, non l'avevo più chiamato, non gli avevo fatto più manco una visita e che mi fossi dimenticato della sua esistenza. In parte era vero, ma bisogna ricordare ai lettori anche il fatto che voleva trasformarmi nel suo badante e nel suo domestico.

« Già... Ho avuto un sacco di cose da fare. Mi sono iscritto all'università ed ora studio infermieristica. »

Tentai di sbandierare la mia rinata voglia di mettermi in gioco nello studio e la mia voglia di non essere uno scansafatiche mantenuto dai genitori o, peggio, l'uomo di compagnia di un prete.

« Ah... Esiste questa facoltà? Non sapevo che servisse una laurea per pulire i pazienti. »

Volete far incazzare un infermiere? Questa è la frase migliore per far eruttare tutta la sua rabbia e per far uccidere chi si trova dinanzi a lui. Questa è la tipica mentalità del Sud che, ritenendo l'autorità del medico sacra, trattano male gli infermieri e li classificano come aiutanti dei dottori o come i "netturbini" dell'ospedale. Capisco che c'è un fondo di verità in tutto ciò, dato che ci occupiamo anche della pulizia del paziente, come lo zio Carlo ha detto, ma facciamo molto di più! Mettiamo gli aghi, mettiamo i cateteri, facciamo prelievi, elettrocardiogrammi e culture batteriche, diamo i farmaci, gestiamo l'ammissione e la dimissione del paziente e stiamo con loro 24 ore su 24. I nostri compiti e le nostre responsabilità sono molte di più di quelle dei medici, che comunque compensano la mancanza di manualità con la teoria. I medici fanno le diagnosi e prescrivono le terapie, ma siamo noi a curare ed ad occuparci dei pazienti. Niente da levare al ruolo del medico, ma loro passano solo quindici minuti al giorno col paziente e, molte volte, non sanno nemmeno chi sono. Gli unici che fanno qualcosa in più, invece, sono i chirurghi, che si differenziano dai normali medici solo per il fatto che operano la gente. La cosa più fastidiosa è il fatto che, in quest'era moderna, ci sia ancora gente che pensi che l'infermiere non faccia nulla. O che sia un lavoro prettamente femminile. Andatelo a dire agli infermieri dei manicomi degli anni 50. In quei posti assumevano solo maschi perché serviva una grande forza muscolare per gestire i pazienti schizofrenici.

« Mi piacerebbe vederti quando starai in ospedale e chiederai aiuto a qualcuno, in quel caso vedremo se qualche dottore ti verrà ad aiutare o se chiederai aiuto agli infermieri. »

Fu questa la mia risposta e sarà sempre questa anche in futuro! Durante quell'incontro, Mary e Mirtilla osservavano la scena un po' imbarazzate, sia per il fatto che conoscevo il prete della loro parrocchia, sia perché riuscivano a sentire la tensione che c'era nell'aria tra me e lo zio Carlo. Da quanto avevo capito, mio zio era la guida spirituale del gruppo corale ed assisteva alle prove, cercando di guidare i membri del coro durante i ritiri religiosi o durante i problemi di tutti i giorni. Quindi, semmai avessi avuto l'intenzione di entrare in quel coro, avrei dovuto sopportare i suoi sguardi maligni tutti i giorni, intervallati da pisolini da veglia, dato che mio zio si addormentava spesso da seduto.

« Credo sia meglio che iniziamo le prove, altrimenti l'organista si arrabbia. »

Intervenne Mirtilla in scivolata, cercando di salvarmi dal possibile conflitto che poteva crearsi in quel luogo. Già era un miracolo per me essere ritornato in chiesa, figuriamoci se avessi dovuto abbandonarla a causa di disguidi familiari. Erano passati un sacco di anni dall'ultima volta che entrai in qualche luogo sacro. Se non ricordo male, il giorno della mia cresima fu l'ultimo giorno che varcai le porte della casa del Signore. Non perché non credessi nella fede cattolica oppure per protesta verso la chiesa, ma perché non ho mai avuto il pensiero di dire:

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