Parte 45: Addio!

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Evelyn
«Si accomodi, signorina Cooper» dice la donna, indicandomi la sala d'attesa alle mie spalle.

Di solito non faccio molto caso a quello che mi circonda, ma qui è impossibile non farlo. C'è un silenzio inquietante, si sentono solo mormorii e passi delle guardie che rimbombano nel pavimento in cemento. Evito di guardare in faccia le persone che sono in attesa di essere ricevute e mi concentro sul piccolo televisore appeso nell'angolo lontano della stanza, che fisso, per non guardare niente e nessuno. Alla fine, preferisco chiudere gli occhi per combattere il mal di testa, sicuramene causato dalla tensione o dalle ore passate senza dormire.
Venti minuti più tardi, la stessa donna che mi ha registrato, mi dice di seguirla. Devo consegnare i miei oggetti personali e passare in un Metal Detector e, dopo avermi fatto firmare delle carte, entriamo in una zona super sorvegliata. Seguo la donna come se fossi la sua ombra e alzo gli occhi dal pavimento solo quando devo rispondere alla domanda di un agente o devo evitare qualche ostacolo.
Entriamo in una stanza spoglia e anonima, con le pareti bianche, un tavolo al centro della stanza e quattro sedie.

«Si accomodi qui, il dottor Peterson verrà subito da lei»

Annuisco, e solo dopo che è andata via, capisco che ha nominato un dottore. "Che dottore?"

Cammino su e giù per la stanza, presa dall'ansia. Una vertigine, dovuta al sangue che mi pompa veloce nelle vene, mi fa barcollare e mi aggrappo al tavolo per sostenermi. Mi siedo per sicurezza.

"È stata proprio una pessima idea venire qui."

Fisso la porta desiderosa di scappare, ma sono sicura che non troverei la strada, dopo tutti i corridoi e le porte in cui sono passata.
L'unica parte del mio corpo che si muove è l'indice che tamburella velocemente sul tavolo. Sposto gli occhi a destra e sinistra. La stanza è abbastanza grande, ma tutto questo bianco mi dà un senso claustrofobico.
La porta si apre e d'istinto scatto in piedi. Entra un uomo sui cinquantacinque anni, dall'aspetto decisamente curato. Ha i capelli corti brizzolati, tirati all'indietro, con qualche ciocca che gli ricade sulla fronte e una barba con pizzetto dello stesso colore. Gli occhi sono seri e scuri e quando incrociano il mio sguardo, sulle sue labbra, compare un accenno di sorriso. Sotto il camice bianco, indossa pantaloni in jeans, camicia azzurra e una gravata blu. In una mano tiene una cartella che sembra abbastanza pesante.

«Buongiorno, signorina Cooper» Mi tende la mano libera. «Sono il dottor Sam Peterson»

Stringo la sua mano e mi accorgo di tremare. «Buongiorno, dottore...»

«Ha freddo?» vedendo la mia faccia confusa, aggiunge: «le sue mani... sono gelide»

Ritraggo la mano e la stringo forte a pugno, «No, sono solo... un po' agitata»

Lui mi rivolge un sorriso rassicurante, «Non si preoccupi, è normale. Si sieda.» indica la sedia in cui ero seduta, «Vuole qualcosa da bere?»

«Dell'acqua, grazie» mi sembra di avere della sabbia in bocca da quanto è asciutta.

Il dottore esce un attimo e ritorna poco dopo con due bicchieri e una bottiglietta d'acqua.
Aspetta che finisca di bere prima di iniziare a parlare.

«Sono sorpreso di vederla»

«Sì... mi scusi se non ho avvisato prima...»

«Intendevo, che mi sembra strano vederla dopo che ha ignorato le mie numerose chiamate. Pensavo che ormai non mi avrebbe mai dato modo di mettermi in contatto con lei»

«Mi scusi?» forse con il cuore che mi batte forte non ho capito bene.

Lui stringe gli occhi e studia la mia espressione, «Mi sono rivolto più volte al suo avvocato per poterle parlare. Ma dalla sua reazione deduco che non ne sapeva niente»

Io voglio te,  Tu vuoi me?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora