Capitolo 6

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Hollywood era strana, soprattutto se si entrava negli Universal City Studios.
C'erano così tanti attori di fama internazionale che faticavo a contarne, eppure nessuno veniva trattato da star.
Erano persone normali che prendevano un caffè come persone normali.
Forse perché negli Studios non erano ammessi "turisti" e quindi, non c'era la folla che acclamava ad ogni passo che qualcuno faceva.
Eppure io non ero inclusa in quella cerchia, ma essere scortata da Tom Hiddleston ed Elizabeth Olsen dava i propri vantaggi.
Avevamo percorso più o meno un chilometro e c'eravamo ritrovati in una sorta di piazzetta verdeggiante, in cui al centro di essa c'era un bar molto carino.
Le sedie in legno sull'erba fresca e gli alberi di pesco già germogliati rendevano l'atmosfera davvero suggestiva.
Con lo sguardo notai che quasi tutti i tavolini erano occupati.

Oh mio Dio!
Ma quello è Ryan Gosling seduto vicino a Ryan Reynolds?

Calma. Calma. Calma.

Calma un cazzo!
Come si fa a respirare? Datemi una bombola per l'ossigeno vi prego!

La bombola te la sbatto in testa!

«Kit-Kat!» mi richiamò Tom, con un sonoro schiocco di dita.
Alzai di scatto la testa verso di lui «Mh?».

Un momento! Ma quando ci siamo seduti?

Quando stavi letteralmente sbavando su Ryan Gosling.

Tom assunse prima un'espressione da professoressa bacchettona «Abbi più contegno!» ma poi scoppiò a ridere subito dopo.
«Non può avere contegno con Ryan Gosling!» ribatté dalla mia parte la Olsen.
Ridacchiai e ci guardammo complici «Puoi dirlo forte, sorella!» e le feci un occhiolino.
Tom alzò gli occhi al cielo e scosse la testa nella nostra direzione, quasi esasperato, stette per ribattere ma una voce squillante ci fece girare dietro le nostre spalle
«K.C!» esclamò quest'ultima sorpresa.
Tutti e tre ci girammo contemporaneamente, ed io riconobbi la ragazza che aveva gridato il mio nome all'istante.

Ci eravamo conosciute esattamente dieci anni prima, e da allora, due volte all'anno ci vedevamo per passare insieme la settimana della moda a New York.
Faticavo davvero a credere come fosse possibile che preferisse la mia compagnia, rispetto ad altre, ma era sempre stata categorica.
Era un modo per vedersi, e non avrebbe accettato posti vicino nessun altro se non alla sottoscritta.
Lei era diventata un'icona di stile famosa in tutto il mondo.
Una chioma bionda lunghissima e liscissima, le gambe chilometriche fasciate da una gonna tubino verde fin sotto le ginocchia, ed una camicetta color ocra leggermente scollata le metteva in risalto gli occhi smeraldini.
Era di una bellezza da mozzare il fiato.
Ma come non poteva esserlo? Stavamo parlando di Blake Ellender Brown, meglio conosciuta come Blake Lively!

Mi alzai di scatto dalla sedia ed entrambe ci venimmo incontro sorridendoci come fossimo amiche di vecchia data.
«Double-B!» esclamai abbracciandola.
Lei mi prese il volto fra le mani e mi guardò con un sorriso raggiante «Che ci fai qui? Pensavo di ci saremmo viste il 7 settembre!» mi domandò lei, scrutandomi per bene.
Tirai un sorriso forzato «Lunga storia, spero di potertela raccontare presto».
«Blake» ci raggiunse anche Ryan Reynolds, il marito di quest'ultima.
Sorrisi timidamente all'uomo difronte a me.
Blake non aveva mai portato Ryan durante le settimane della moda a New York, proprio perché voleva passare il più tempo possibile con la sottoscritta.
«Finalmente conosco da vicino la famosa K.C.!» ridacchiò lui allungandomi la mano.
Gli sorrisi e gliela strinsi «Beh si!»
«Ora dobbiamo andare» mi disse sconsolata Blake «Ryan deve firmare un contratto, ti chiamo in questi giorni, così mi spieghi cosa stai combinando».
Alzai le mani in segno di difesa «A presto allora».
Salutai Ryan ed abbracciai Blake, poi tornai subito al mio tavolo.
Tom ed Elizabeth mi guardarono stralunati «K.C.?» disse quest'ultima sgomenta.
«Double B?» Tom.
Ridacchiai perché loro non avevano la minima idea del perché io e Blake ci conoscessimo da così tanto tempo.
«K.C. è il nome con cui mi faccio chiamare dai miei amici» spiegai alla mora «Odio i soprannomi, ma più di tutto non voglio che nessuno mi chiami Kat o Kitty... È una lunga storia..».
«Questo non spiega come tu e Blake Lively vi conoscete così bene» disse Tom.
Tentennai nel raccontare la mia storia.
Non solo perché era un qualcosa di super segreto, ma perché se mai il mondo sarebbe dovuto venire a sapere della mia vera vita, la mia famiglia ne avrebbe potuto risentire.
La vita di tutti coloro a cui tenevo ne avrebbero risentito.
C'erano due opzioni in ballo: la prima era che la famiglia Walton sarebbe stata additata come la peggior dinastia di sempre, piena di sporchi segreti e figlie inappropriate.
La seconda invece, sarebbe stata a nostro completo vantaggio, perché se già eravamo potenti, lo scandalo mediatico associato ai personaggi di Gossip Girl sarebbe stato tale, da farci avere l'attenzione non solo di Manhattan, ma di tutta la nazione.
Il problema però, era che, l'immagine era tutto.
E per quanto ci fossero già scandali sul nostro conto, la notizia che un programma televisivo fosse associato a persone realmente esistenti poteva essere un problema.
Perciò ci ragionai sopra.
Presi la mia borsa, e da essa ne estrassi un foglio stropicciato, una penna ed il cellulare.
Scrissi sopra il foglio, per poi girarlo verso di loro «Va bene!» esclamai.
«Ma voi dovrete firmare questo accordo di riservatezza in cui sostenete di non farne parola con nessuno» dissi seria.
Accesi la fotocamera del telefono e feci un video «Se questa cosa dovesse uscire fuori, sarete entrambi responsabili e dovrete risarcire la famiglia Walton per diffamazione, e risarcimento danni fisici e morali per la conseguente rivelazione di fatti non accaduti. Ammontiamo a circa dieci miliardi di dollari».
Le teste di entrambi scattarono nella mia direzione «Stai scherzando?» chiese sbigottito Tom.
Scossi la testa guardandoli più seria che mai «Sono un avvocato, ho bisogno di garanzie, e vie di fuga».
«Assurdo!» mormorò Elizabeth firmando.
«Spero ne valga la pena» borbottò Tom, per poi firmare anche lui.
«Volete ordinare?».
Una donna sulla quarantina si era avvicinata a noi con un block notes tra le mani.
Mi guardò stranita perché con il cellulare stavo riprendendo anche lei.
«Per me un caffè» chiese la Olsen.
«Per me un tea English Breakfast».
Assottigliai lo sguardo verso la cameriera perché mi stava ancora fissando stranita.

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