Capitolo 49

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KATHERINE

Il mio telefono iniziò a squillare ininterrottamente, partendo dalle chiamate di JC, a quelle di Tom, Chris e Scarlett, finendo con Ben, Trevor ed un numero che nemmeno avevo in rubrica.
Di Sebastian nessuna traccia.
Sentivo come se il petto si fosse aperto in una voragine di dimensioni cosmiche, avevo la gola in fiamme, e gli occhi urlavano per far uscire tutto il dolore che sentivo dentro.
Ma non potevo.
Non mi sarei ridotta uno straccio a causa sua.

«Signorina, ho fatto allontanare i clienti, e pagato alla titolare sia il disturbo che la totale quantità di dolci» Anders, aveva seguito alla lettera le mie direttive.
Quando avevamo visto i paparazzi appostati vicino l'entrata del The Rules, ero andata nel panico.
Non ero pronta a gestire una bomba mediatica di tali portate, o almeno, non ancora.
C'eravamo allontanati quanto bastava dal The Rules, ed avevamo raggiunto uno dei negozi che mia madre mi aveva categoricamente vietato dai miei otto anni di età.
Era un negozio di soli dolci: vendeva caramelle gommose, pastìccini, macaron, pancake, yogurt gelato.. Qualsiasi tipo di bomba calorica avresti chiesto, loro te l'avrebbero portata in pochissimi secondi.
Ed io volevo andare lì.
Perciò avevo chiesto ad Anders di pagare profumatamente il proprietario del locale per allontanare i clienti, affinché nessuno sapesse della mia presenza lì.
Anders scese con me.
Aveva perfino iniziato a piovere, ed i miei capelli come anche il mio vestito, erano fradici.
Le temperature rigide di gennaio non mi stavano di certo aiutando.
Indossavo solo quel vestito, che ormai grondava d'acqua e mi si era appiccicato alla pelle.
Sperai solo che almeno il mascara waterproof sarebbe servito a qualcosa.
Quando entrammo nel locale, per un attimo tornai bambina.
Sembrava una pasticceria incantata: il locale interamente tinto di rosa, con fiori della stessa tonalità a ricoprire le pareti.
C'erano rami intricati illuminati da lucine, lavande lilla che scendevano dai lampadari, zucchero filato come centrotavola, e tavolini da tea che richiamavano il colore del locale.
Era il paese delle meraviglie.
Un posto incantato, rovinato da una me fradicia, reduce dal peggior incubo della sua vita.

«Cosa le faccio portare?» mi chiese Anders, rimanendo a debita distanza da me.
Impettito, e con la sua solita aria professionale, ma lo vedevo che stava lottando con se stesso per non venire da me ed abbracciarmi.

«Tutto quello che c'è».

Anders sbattè le palpebre più volte, per accertarsi di aver sentito bene, poi seguì il mio comando.
Il telefono riprese a squillare ininterrottamente. Non risposi nemmeno ad una delle venti chiamate che avevo ricevuto.
Chiunque avesse voluto venirmi a cercare, avrebbe iniziato da casa mia, perciò era l'ultimo posto in cui sarei voluta andare in questo momento.
Il tepore del locale non bastò per riscaldarmi, tremavo ancora, e non per il freddo.
Come avevo fatto ad essere così stupida?
La persona che pensavo mi avrebbe protetta a spada tratta, nonostante ciò che era successo in passato, mi aveva tradita.
Non bastava spiattellarmi in faccia che era sempre stato fidanzato con un'altra, e che mi aveva preso in giro per tutto quel tempo, lui voleva vendetta. L'aveva sempre voluta. E quale modo migliore di vendicarsi della principessina dell'Upper East Side, umiliandola pubblicamente?
Ed io stupida, stupida, stupida che avevo pensato che avremmo potuto avere qualsiasi cosa ed invece non eravamo riusciti a costruire niente.
Lo amavo solo io..
Tre parole, sette lettere... Dio! Quanto ero stata idiota?
Ed ora anche questo sapevano.
Che la stupida, viziata, ricca ragazzina di New York si era innamorata di un uomo di dieci anni più grande e perfino fidanzato!
Non solo stupida, anche sgualdrina!
Incredibile quanto fosse riuscito a manipolarmi.
Era stata tutta una menzogna, ed ora lui era su un volo privato chissà in quale destinazione tropicale, con quella stronza della sua fidanzata.

«Prego» l'anziana cameriera mi portò un'alzatina a cinque piani, formata da cinque piatti l'uno sopra l'altro, con diversi dolci tutti così belli da essere un peccato mangiarli.
C'erano macaron fucsia, tre muffin, uno con pasta di zucchero a forma di ballerina e roselline, un altro con panna montata e stelline colorate, l'ultimo con fragole ricoperte di cioccolato.
Poi c'erano una torta di mele, pancake con cioccolato bianco e pistacchio, e biscotti a forma di lettere e fiocchi di neve.
Presi la forchetta e la infilai nella torta per prenderne un boccone.
Ingoiai il più possibile. La gola bruciava ancora.
Ma magari mangiando la sensazione di nausea sarebbe scomparsa.
Mi illusi di quella bugia e continuai come un'animale che non vedeva cibo da mesi.
Affondai la forchetta nei pancake, poi nella cheesecake ai frutti di bosco, uno dopo l'altro, senza avere il tempo nemmeno di respirare. Non dovevo neanche pensare.
Mordere, deglutire, ma senza masticare.
E di nuovo mordere.
Mangiare fino a sentirsi scoppiare.

•BAD KITTY - The Rules Series Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora