Capitolo 12

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12 Gennaio 2007 ore 01:45

The Rules, East 37 Street, New York.

SEBASTIAN

Erano passati dodici giorni, dodici dannati giorni in cui ogni sera mettevo piede in questo assurdo locale solo per poterla vedere.
Vagavo per le diverse sale con la speranza di intravedere quel caschetto rosso ma niente, lei si era come eclissata.
Se c'era, la potevi percepire a chilometri di distanza.
La sua aura ti risucchiava completamente.
Guardai le ballerine seminude, dimenarsi su dei pali argentati, ma l'unico pensiero che avevo in testa era lei, e a quanto fosse sensuale senza fare tutte quelle mosse.
Immaginai di vederla sul palco, al posto loro, e solo quella sfocata immagine me lo fece venire duro.

Cazzo! È una ragazzina, non posso avere certi pensieri.

«Sembri smarrito» una voce alle mie spalle mi arrivò ovattata, io ero ancora immerso nella mia immaginazione.
«Forse lo sono» mormorai più a me stesso che a lei.
«Chi cerchi, ragazzo sperduto?» quella voce era una melodia armoniosa, un canto  delle sirene da cui si faticava a non esserme attratto.
«Un angelo.. O un diavolo» lo dissi sottovoce, ma la ragazza alle mie spalle lo sentì ugualmente.
«Forse cerchi qualcuno che non vuole essere trovato» sentenziò lei.
Io intanto continuavo a tenerle le spalle, nella speranza che Emma si facesse viva.
«Come faccio a trovarla allora?».
«Meno cerchi, più possibilità avrai di  trovarla».
«E nel frattempo?».
Sentii il passo felpato ed il ticchettio dei tacchi spostarsi; la ragazza che era alle mie spalle, con decisione mi si presentò davanti.
Dilatai gli occhi.
Mi si seccò la gola.
E faticai a respirare.
Le gambe snelle, la vita sottile, il sorrisetto malizioso sulle labbra.
Tutto mi sarei aspettato di vedere, tranne ritrovarmi Emma proprio lì davanti a me.
«Nel frattempo ti insegno io a giocare» gli occhi da cerbiatto e lo sguardo di chi ha tutto sotto controllo erano il paradiso e l'inferno messi insieme.
Mi leccai le labbra, ragionando su cosa dire.
Sembrava così sicura di sé da non farmi ricordare che avesse solo quattordici anni «E se non volessi giocare?».
Alzò un sopracciglio e ghignò «Mi implorerai di farlo».
Ghignai a mia volta «Potrebbe succedere il contrario».
«Ne dubito ragazzo sperduto. Più mi rifiuti, e più sarà pericoloso per te» ed iniziò a giocare con le collane di perle, proprio all'altezza del seno in bella mostra «Ma tocca a me iniziare».
«Ah si?».
Lei annuì «È il mio compleanno».
Era il suo compleanno e per quanto la cosa mi desse sollievo, aveva solo quindici anni.
Ma a questa ragazza piaceva stuzzicare, ammaliare, giocare..
Poteva avere quindici anni, ma avrei voluto dimenticarlo in quel momento.
«E cosa vuoi, sentiamo?».
«Te» lo disse guardandomi dritto negli occhi senza staccare mai lo sguardo dal mio «Vai sul tetto» ordinò «Ed aspettami».
E lo feci.
Salii sul tetto, con una strana sensazione in petto.
Un brivido misto ad eccitazione.
Mi sentivo euforico ed al tempo stesso impaziente.
«Siediti» la sua figura di avvicinò lentamente a me.
Seguii le sue direttive senza obbiettare, sedendomi su una sedia posizionata proprio al centro del tetto «Togli la giacca» ordinò ancora, e riuscii a vederla sempre più chiaramente.
Feci come mi disse, e tolsi la giacca.
Arrivò difronte a me, io seduto e lei che mi guardava dall'alto, con un sorriso soddisfatto in volto.
Mi colse del tutto di sorpresa perché si sedette su di me, facendo sfiorare il tessuto del suo intimo con il cavallo dei miei pantaloni.
In un gesto fulmineo fece saltare tutti i bottoni della camicia, lasciandomi con il petto scoperto.
Fece scorrere le sue dita affusolate sull'addome freddo, a causa del gelo che c'era all'esterno.
Si avvicinò alle mie labbra, e fui tentato di baciarla «Sei troppo carino per poter subire un'umiliazione pubblica» sussurrò a fior di labbra.

Sgranai gli occhi.

«Rivestiti» ordinò, per poi alzarsi da sopra il mio corpo «Se vuoi imparare a giocare la prima regola da seguire è questa: mai abbassare la guardia. Le ragazze sanno quando sei alla loro mercé, ed è allora che si stancheranno di te».
Mi alzai di scatto e rimisi la giacca.
Ero stato ingannato da questa ragazzina, e non ne avevo avuto il minimo sospetto.
«È il mio compleanno» ruppe il silenzio lei, incrociando le braccia al petto.
Voleva giocare? Allora le carte in tavola sarebbero cambiate.
«E allora?» mi avvicinai a lei spavaldo.
«E allora..» azzerò le distanze tra di noi mettendo un braccio sulla mia spalla ed accarezzando i capelli dietro la nuca «Io ricevo sempre qualche regalo»
«Peccato non abbia un regalo per te» ribattei a tono.
Inarcò un sopracciglio maliziosamente «Invece ti sbagli» le sue labbra erano ad un soffio dalle mie «Voglio te» sussurrò «E più avrò un no come risposta, più sarà difficile per te tenermi lontana» nemmeno il tempo di metabolizzare la frase che le sue labbra furono sulle mie.
Ma l'attimo durò poco, perché entrambi ci staccammo, non permettendo né a l'uno né all'altro di approfondire il bacio.
La vidi allontanarsi e lasciarmi lì, da solo con il freddo pungente che entrava dentro la pelle.
Si chiuse la porta alle spalle ed io tornai a respirare regolarmente.
Misi le mani in tasca, ed al tatto notai ci fosse un foglietto di carta all'interno.
Lo estrassi, ed una calligrafia elegante e raffinata mi saltò all'occhio.

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