36 - Murray e l'inizio

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Nonostante la sua attenzione fosse rivolta a quel ragazzo ferito, probabilmente infetto, sporco del proprio sangue e di quello del vecchio proprietario del Well Creek camping station, un ragazzo che forse aveva conosciuto o quantomeno già visto a scuola, Murray sentiva altre presenze intorno a lui. Continuando a muoversi lateralmente per mantenere una distanza di sicurezza da quella figura strisciante, iniziò a guardarsi attorno con movimenti rapidi. La paura che il cane rabbioso che probabilmente aveva morso quel povero ragazzo fosse ancora nei paraggi lo fece preoccupare e di colpo si ritrovò immerso nella realtà, che si portava dietro tutti gli avvenimenti di quella mattinata che già voleva dimenticare: l'uomo investito, la dottoressa Hatwood, l'altro uomo nell'auto tamponata. Era riuscito, concentrandosi sull'osservazione distaccata di quel ragazzo, a scrollarsi di dosso quella sensazione di angoscia e paura, come quando si estraneava nel suo studio o nel suo garage a inventare, a pensare, dimenticando e liberandosi per qualche minuto o qualche ora di tutto lo stress e di tutte le preoccupazioni. E proprio ripensare agli eventi della mattinata aggiunse un importante tassello a ciò che aveva prodotto l'osservazione di quel ragazzo strisciante: doveva esserci una connessione. Forse un branco di cani stava diffondendo la rabbia ad una velocità incredibile, cani o forse qualche altro animale. Ma la dottoressa era sicuramente sana, si era per così dire trasformata dopo essere stata aggredita e morsa, ma in ogni caso la rabbia non poteva avere un decorso di pochi minuti. Ma non era il momento di stare lì fermo a fare congetture, doveva mettersi al sicuro. Dietro alla baracca, dove il vecchio giaceva esanime, Murray sentì un rumore che non riuscì subito a decifrare. Cercò di capire quale fosse la fonte di quel suono avvicinandosi alla baracca. Altri suoni lievi e inquietanti. Ora, sempre spostandosi formando un ampio cerchio, riusciva a scorgere i piedi del vecchio, e anche se a differenza di prima ora sapeva che tipo di spettacolo raccapricciante lo attendeva, c'era quel rumore che ora si ripeteva e terrorizzava Murray. Sempre cercando di tenere a distanza il ragazzo che lentamente seguiva i suoi movimenti, si sporse a guardare il retro della baracca e ciò che vide riuscì per l'ennesima volta in quel giorno a sorprenderlo e spaventarlo: il rumore era stato provocato dal vecchio steso a terra, che cercava di alzarsi. Alla vista di Murray il corpo dell'uomo parve pervaso da una scossa che ghiacciò il professore. Subito Murray pensò che il vecchio non fosse morto, ma vista la reazione alla sua presenza pensò subito al pazzo investito dalla dottoressa Hatwood, ed alla dottoressa stessa. Forse era stato contagiato, infettato anche lui. E si era già trasformato. Per quanto fossero lenti, i due infetti erano attratti da Murray che perse alcuni secondi preziosi per osservare come il vecchio, che aveva perso una quantità di sangue impressionante, stesse comunque riuscendo a rialzarsi. Dietro al vecchio, che ora era seduto, Murray vide impilati diversi secchi di vernice usati, probabilmente l'anziano proprietario aveva approfittato della lunga chiusura per ritinteggiare i bungalow del camping. Quasi senza pensarci Murray prese due secchi vuoti dalla pila e li mise sulle teste dei due contagiati. Entrambi, reagirono a questa mossa con dei versi gutturali, simili a quelli emessi dall'uomo che aveva tamponato quella mattina, ma il metallo fece di quel suono un orribile rantolo infernale. Murray rimase alcuni secondi a guardare se i due cercassero di sfilarsi i grossi secchi coperti di vernice bianca ormai incrostata, ma questi muovevano le braccia come se brancolassero in un buio che li rendeva ciechi. Erano, almeno momentaneamente, innocui. Dopo aver fatto un profondo respiro, con le mani poggiate sui fianchi, il professore si guardò intorno cercando di calmarsi e di schiarirsi le idee. In poche ore erano successe così tante cose che faticava a ricordarle tutte con lucidità. Il problema di fondo era tornare a casa, al solo pensiero provava una sensazione di tranquillità e sicurezza; nella sua panoramica dell'ambiente circostante Murray mise a fuoco una moto da cross a terra, sembrava essere stata abbandonata dopo un incidente. La moto, anche dopo una più accurata osservazione, era l'unico mezzo di trasporto presente in tutto il camping, e per fortuna di Murray aveva ancora le chiavi inserite. Con qualche sforzo riuscì ad alzarla da terra e dopo alcuni tentativi la moto partì col tipico rumore scoppiettante. Solo adesso Murray si rese conto del fatto che non aveva visto passare nessuna macchina, nè altri mezzi di trasporto, da quando aveva abbandonato la sua auto dopo lo scontro con l'altra auto che lo aveva salvato dall'aggressione della dottoressa Hatwood; per quanto quella non fosse un'arteria di comunicazione molto trafficata, era decisamente strano. Con questa considerazione, immediatamente inglobata nel calderone di pensieri che era la sua mente, Murray partì agendo delicatamente sull'acceleratore e rilasciando contemporaneamente la leva della frizione. Erano forse trent'anni che non saliva su una moto ma da giovane aveva posseduto diverse motociclette, e dopo poche centinaia di metri si sentiva già abbastanza sicuro da andare a velocità sostenuta. La strada era deserta, cosa che la rendeva meno familiare del solito. Superò qualche macchina ferma sulla carreggiata senza né rallentare né tantomeno guardare all'interno, sentiva di avere paura di vedere qualche altro contagiato. Procedendo velocemente verso casa incontrò sempre più macchine ferme lungo la strada, cosa che lo costrinse a rallentare di molto la marcia. A circa un chilometro da casa la strada era completamente intasata di veicoli, ma la cosa più preoccupante era che sempre più di frequente aveva l'impressione di vedere movimenti all'interno di quelle vetture. Murray piuttosto che zigzagare tra le auto ferme preferì, grazie alla moto da cross, viaggiare lungo il bordo strada, un terreno misto di erbacce e ghiaia. Nella sua mente, dalla confusione di pochi minuti prima, ora una sola idea, un solo pensiero era chiaro e limpido: tornare a casa, a qualsiasi costo. Era concentrato sul terreno irregolare e sul puntare dritto verso la sua villetta quando dalla doppia fila ormai ininterrotta di veicoli fermi vide levarsi alcune figure; queste avevano lo sguardo rivolto su di lui, erano fermi e apparentemente ipnotizzati dal rumore acuto del motore a due tempi della moto. Istintivamente Murray rallentò per mettere meglio a fuoco quelle sagome, ma se ne pentì subito: lo sguardo di quelle persone era vuoto, terribile, come quello che aveva già visto troppe volte quel giorno. La mano destra si strinse intorno alla manopola del gas, il polso si contrasse spingendo i giri del motore della moto alle stelle e facendola impennare. La reattività del piccolo ma brillante motore sorprese il vecchio motociclista che per poco non venne disarcionato; fortunatamente riuscì a rimanere aggrappato al manubrio e a riprendere il controllo e dopo alcune sbandate la moto tornò a procedere in linea retta. Murray era così terrorizzato e in preda al panico che rischiò di superare la sua via, nella quale si infilò a tutta velocità evitando auto e figure in movimento che non volle guardare. Si sentiva all'interno di un incubo, rassegnato a subire quella pressione psicologica nella speranza di un rapido risveglio. Poco prima di essere davanti alla sua abitazione tolse la marcia lasciando che la moto raggiungesse in folle il suo vialetto. Murray sapeva che doveva sbrigarsi, anche se la via davanti a lui era pressoché sgombra da veicoli, alle sue spalle sentiva gli occhi di quelle persone pericolose, infette, aggressive. Spense la motocicletta e scese molto rapidamente, abbandonandola a bordo strada, dopodiché resistette alla tentazione di guardare alla sua sinistra in fondo alla via da dove era arrivato: sapeva che ciò che avrebbe visto non gli sarebbe piaciuto. Aprì il cancelletto basso, ricordò che la moglie glielo faceva riverniciare ogni primavera, lo richiuse alle sue spalle e ripeté l'operazione con la porta di casa. Un volta dentro rimase quasi un intero minuto ad osservare la casa, a percepirne l'essenza, come se questa potesse sedarlo: l'odore familiare, il silenzio, la luce filtrata dalle tende scelte da Gladys, e decine di altre sensazioni lo fecero stare bene. A differenza di quando si occupava delle sue invenzioni, in quel minuto non si era estraneato dalla realtà, ma anzi era lucido e consapevole di essere nel luogo a lui più familiare e ospitale; da quando la malattia gli portò via la moglie, lui la sentiva vicina stando in quella casa, dove tutto gli ricordava lei, dove tutto era lì dove lei l'aveva lasciato. In quel minuto si sentì come il bambino spaventato che dopo una corsa a perdifiato si rifugia tra le braccia della mamma, al sicuro. Ma purtroppo quella sensazione di pura tranquillità e protezione svanì inesorabilmente man mano che passavano i secondi lasciando spazio ad una serie più o meno lunga di interrogativi: cosa fare? Cosa non fare? Sono effettivamente al sicuro? Che sta succedendo? Chi chiamare? Qualcuno è entrato? La rabbia si può diffondere in questo modo? È un castigo divino per punire il mio ateismo? Terroristi? Complottisti? E ad ogni domanda che si faceva ne balenavano altre due con il solo risultato di confonderlo ed angosciarlo. Ormai quel minuto di pace era sparito, vecchio di un milione di anni. Nonostante la confusione il suo corpo iniziò a muoversi, tirò tutte le tende al piano terra, sul quale scese un buio spezzato qua e là da qualche raggio di luce; con circospezione salì al primo piano e ripeté l'operazione appostandosi in camera per sbirciare la via. Come temeva alcune di quelle figure si stavano avvicinando, sicuramente attirate dal rumore che lui stesso aveva prodotto con la moto. Nonostante questa fosse una brutta notizia, era anche una parziale conferma ad una sua congettura: quegli infetti avevano un udito molto sensibile, a discapito della vista, cosa che però necessitava di ulteriori conferme. Rimase ad osservare quelle persone, dopo un paio di minuti erano almeno una dozzina, cercando di capire più cose possibili dal loro comportamento. La prima cosa che notò fu che effettivamente erano tutti simili, nel modo di muoversi, nell'espressione assente e insieme terribile stampata sui loro volti, nell'apparente stupidità che li portava a vagare inseguendo i rumori; dopo altri minuti di osservazione decise di appuntarsi in un elenco tutto ciò che aveva appurato: sperava di creare uno schema che lo aiutasse a capirci qualcosa. Improvvisamente tutti e 22 (li aveva contati) gli infetti parvero bloccarsi per un istante dopodiché si voltarono verso il fondo della via e con la loro camminata malferma si allontanarono dal vialetto di casa Clevon. Con qualche secondo di ritardo anche Murray si attivò, deciso a scoprire cosa avesse attratto la loro indesiderata attenzione: in pochi secondi si trovò davanti alla porta di casa, mano sulla maniglia, tensione su tutte le articolazioni dalla spalla alle dita per ottenere un movimento lento e controllato. Aprì la porta senza quasi produrre suoni, ed altrettanto silenziosamente si affacciò per vedere: in primo piano le schiene di quelle povere persone, sullo sfondo un uomo, non pareva infetto, ma ferito ad una gamba, che zoppicava vistosamente e purtroppo rumorosamente tra le auto abbandonate. La scena che seguì fu quella di un branco che caccia una preda ferita, un branco lento ma famelico, che ha puntato una preda ancor più lenta, che la raggiunge senza sforzi, la preda inesorabilmente viene sopraffatta, prova ad urlare ma anche quell'ultimo tentativo viene soffocato. Murray assistette immobile, non poteva staccare gli occhi da quella scena come non poteva credere che preda e predatori fossero uomini. Quell'infezione aveva reso quelle persone cannibali, forse peggio: in breve rimase ben poco di quello sciagurato. Murray era ancora immobile, sconvolto ma anche consapevole del fatto che l'attenzione di quelle bestie poteva rapidamente passare dalla loro preda a lui. Con un movimento felino rientrò in casa e chiuse la porta cercando, come prima, di evitare di produrre qualsiasi rumore. Appena chiusa la porta si affrettò sulle scale per tornare alla finestra della camera da letto, dalla quale aveva la visuale migliore. A quanto vide nessuno di quei cannibali aveva sentito rumori provenire dalla sua casa, erano tutti di nuovo in piedi, apparentemente ignari della carneficina di cui si erano resi protagonisti. Murray pensò a degli automi prima, a dei piranha poi: ebbe la strana impressione che da parte di quelle persone ci fosse un'assoluta assenza di emozioni, eccezion fatta per l'aggressività feroce durante quella che avrebbe potuto definirsi caccia. Parevano avere come unico obbiettivo l'esecuzione di un comando, da qui gli automi, e in particolare mangiare e uccidere, quindi i piranha. Era spaventoso vederli vagare come se niente fosse, sporchi del sangue di quel pover'uomo ma comunque, ne era sicuro, tutt'altro che sazi e paghi, ancora pronti ad attaccare altre prede, altri uomini. Dopo alcuni minuti di immobilità affacciato ad osservare i movimenti casuali e insensati di quegli infetti, si sentì improvvisamente stanco, affaticato e confuso. Lasciando ricadere la tenda che aveva scostato con la mano sinistra, fece tre passi indietro e si abbandonò, una volta che i polpacci urtarono il letto, ad un lento precipitare sul materasso. In due secondi tutto era fermo e di nuovo silenzioso. Chiuse gli occhi, provò a riordinare nuovamente le idee ma sentiva voci che lo chiamavano e vedeva immagini che catalizzarono la sua attenzione: il sonno aveva preso il sopravvento, senza che Murray quasi se ne rendesse conto.

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