16 - Goran nel minimarket

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Quasi senza rendersene conto Goran si precipitò nella porta lasciata aperta da Mordecai. Entrò senza pensare al fatto che era una proprietà privata, proprietà peraltro di un lurido ebreo, ma l'istinto di sopravvivenza lo catapultò all'interno del negozio, facendolo tornare in se solo dopo aver chiuso la porta alle sue spalle. Si trovò nel retro del minimarket, chiuso quel giorno, quel Sabato, giorno di riposo dei dannati ebrei; l'ambiente era in penombra, la luce illuminava la piccola stanza circondata da alti scaffali pieni di scatole, pacchi e barattoli. Così come pochi secondi prima era con le spalle contro il cassonetto, ora si trovava con le spalle premute sulla porta, e da questa posizione vedeva alla sua sinistra il passaggio che portava nell'area del negozio aperta al pubblico. Davanti a sé una scala ripida che portava al piano di sopra, alla sua destra la porta della cella frigorifera e tutto intorno, ogni singolo centimetro era scaffalato e pieno di merci. Al centro un tavolo con qualche foglio e raccoglitori vari. La luce era parzialmente schermata dalla tendina di mais che, fissata sul passaggio tra i due locali, nascondeva il retro dalla vista dei clienti, e giungeva attraverso la ragnatela regolare delle serrande calate sulle due grandi vetrine che si affacciavano sulla strada. E verso quella direzione si diresse Goran, come ipnotizzato, bocca aperta, fucile in mano tenuto quasi come scudo più che imbracciato.

Qualche debole e indefinito suono gli giungeva alle orecchie, ma era quello che stava vedendo a catalizzare la sua attenzione: la strada era piena di gente. Per un istante si sentì stupido ad essersi intrufolato in un negozio, kosher peraltro, per scappare dalla strada che ora era di nuovo popolata di persone, ma questo pensiero fu spazzato via dal fotogramma della faccia dell'uomo che aveva aggredito Mordecai. E avvicinandosi, zigzagando tra le poche e brevi corsie del minimarket, alle vetrine si sentì gelare il sangue nelle vene. Le persone che vedeva erano silenziose, camminavano in modo stentato e soprattutto, per quanto poteva vedere, avevano la stessa espressione agghiacciante che ormai era stampata nei suoi neuroni. Alcuni erano feriti, ma nessuno pareva preoccuparsene né lamentarsi. Nessuno parlava, tutti camminavano verso sinistra, verso la macchina schiantata contro l'angolo dell'edificio, verso Mordecai.

Goran sentì improvvisamente un rumore provenire dalle sue spalle, dal retro, era una porta che si apriva, probabilmente quella in punta alle scale. Goran aveva capito, era qualcuno che viveva con l'ebreo, probabilmente la sua moglie ebrea.

La conferma gli arrivò quando udì una sorta di urlo strozzato, che anche se indecifrabile apparteneva sicuramente ad una donna che tratteneva a stento un attacco di panico e disperazione.

A passi rapidi la donna scese le scale e attraversò il piccolo retro e senza esitazioni aprì la porta lasciandola aperta. Goran, della cui presenza la donna non si era minimamente accorta, si lanciò verso il retro e arrivato alla porta si affacciò per vedere dove era finita la donna. Lo spettacolo che gli si parò davanti era stato preceduto di qualche secondo dalle urla della donna, ma comunque riuscì a terrorizzarlo ugualmente: alcune persone, di quelle viste attraverso le serrande, l'avevano già circondata e ferita e poco oltre altri erano intenti a mordere Mordecai, ormai sicuramente morto considerando il fatto che aveva buona parte degli organi interni sparsi intorno a lui.

- Ma che state facendo? Lasciatela!

E di nuovo tutto parve fermarsi per un istante, tutte quelle persone si voltarono immediatamente verso di Goran, fissandolo con quegli occhi spaventosi. Con un gesto fulmineo Goran chiuse la porta, rischiando quasi di cadere all'indietro sul tavolo. Ora era veramente terrorizzato.

- sono dei fottuti cannibali, sono posseduti, sono dei cazzo di cannibali impazziti - pensava, e non riusciva a togliersi dalla mente quegli occhi che lo fissavano.

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