21 - Goran sotto assedio

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Goran era terrorizzato e la prima cosa che fece fu spostare il tavolino, la scrivania dell'ebreo che si trovava al centro dello stanzino del retro, contro la porta che aveva appena chiuso alle sue spalle. Il rumore acuto che fece il tavolino, piccolo ma pesante, sul pavimento gli fece venire la pelle d'oca, ma i colpi che giunsero praticamente subito dalla porta furono ancora più agghiaccianti e scatenarono in Goran una frenesia che lo portò ad effettuare una serie di operazioni che potrebbero essere sintetizzate cosi: rapido sguardo al retro, passaggio da retro a negozio e rapido giro per controllare che tutte le serrande e porte finestre fossero chiuse, senza guardare fuori, ritorno nel retro, controllo del fucile (solo ora si rese conto di averlo ancora in mano), salite le scale con circospezione, perlustrazione della casa dell'ebreo in cerca di altri pazzi schifosi ebrei o pazzi schifosi cannibali, non trovato nulla, secondo giro con fucile in spalla, per poter chiudere tutte le tapparelle e le finestre, ritorno al piano terra.

Ora Goran era leggermente più tranquillo, assolutamente sconvolto per quanto vissuto pochi minuti prima, ma l'aver messo in relativa sicurezza la casa lo faceva sentire ovviamente meno esposto a quegli sguardi. Sguardi che ora intravedeva attraverso la tendina di mais. Ma quelli per ora poteva ignorarli, non i colpi che con ritmo regolare, costante ed assillante venivano dalla porta sul retro. Dopo probabilmente un paio d'ore, durante le quali Goran rimase pressoché immobile a sbirciare la strada attraverso la tendina di mais, i colpi contro la porta cessarono, improvvisamente. Come quando ci si addormenta guardando la TV, e ci si risveglia di colpo quando questa viene spenta, Goran ebbe un piccolo sobbalzo quando i colpi smisero di ripetersi. Capì subito che l'attenzione di chi li aveva assestati fino ad allora era stata attirata da qualcos'altro, e quel qualcos'altro era il rumore di un motore, un'auto in avvicinamento. Anche i pazzi (che durante le due ore di osservazione sembravano più che altro dei sonnambuli o dei ritardati) che barcollavano davanti al minimarket si voltarono verso il rumore, alla sinistra del campo visivo di Goran, la direzione da cui era arrivato anche lui. L'auto che si sentiva sembrava lanciata a velocità sostenuta, e il rombo del motore era spezzato da tonfi sordi, e quando la macchina sfrecciò davanti alle vetrine, Goran capi che i tonfi erano quei pazzi che venivano investiti. Stranamente il vedere quella macchina falciare due sonnambuli, o quel che erano, non gli fece alcun effetto, fu invece pervaso da un lieve senso di sollievo. La macchina proseguì la sua corsa ma pochi secondi dopo essere sparita dalla sua visuale, a destra, Goran sentì uno schianto. A questo punto si decise ad avvicinarsi alla vetrina per vedere che stava succedendo ma anche da lì non riuscì a vedere nulla.

Corse allora al piano di sopra, aprì la portafinestra della camera da letto che dava sul terrazzino e uscì allo scoperto, sicuro della sicurezza che gli avrebbe offerto il fatto di essere a quattro metri sopra la strada. E senza alcun preavviso, alla luce del tardo pomeriggio, nel cervello di Goran Sovic venne impressa la seconda immagine che non avrebbe mai dimenticato: la parte della città che riusciva a vedere era una distesa di piccoli e grandi incendi che creavano colonne di fumo parallele che alimentavano un'enorme nuvola di fumo sopra la città. Il viale che un paio d'ore prima aveva imboccato a piedi per cercare qualcosa da mangiare ora era punteggiato, fino a dove riusciva a vedere, di persone che sembravano muoversi a rallentatore, come quelle che circondavano il suo rifugio.

Poco oltre il minimarket la macchina era accartocciata contro un palo,  da sotto a quello che rimaneva del cofano iniziavano a vedersi fiamme e fumo nero. La porta del guidatore era aperta, e a pochi metri un gruppetto di quegli schifosi cannibali si davano da fare su un corpo steso a terra. Goran vomitò, si senti mancare le gambe e dovette rientrare, barcollando anche lui, per lasciarsi cadere sul letto. Riuscì appena a percepire l'odore del copriletto e a pensare disgustato che era il letto di una coppia di luridi ebrei, prima di svenire.

Quando riprese conoscenza era già buio. Uscì nuovamente sul terrazzino e vide che gli incendi di prima erano ben più estesi di quanto non avesse creduto. E quelle cose, si rifiutava di definirle persone, erano ancora lì, forse erano di più, ne sentiva i passi strascicati sull'asfalto. Cercando di non fare rumore rientrò nell'appartamento e si diresse nella cucina, aveva una fame incredibile, fame che probabilmente aveva contributo al suo svenimento. Trovò il frigo ben fornito e mangiò fino a saziarsi, dopodiché decise di ritornare nel minimarket per dare un'occhiata da vicino a quegli schifosi che gli impedivano di uscire da quel dannato posto.

Avvicinatosi lentamente alle vetrine, cercando di non fare alcun rumore e di non essere visto, Goran poté finalmente vedere chi lo stava assediando, seppur in modo anomalo. Nei venti metri di strada che riusciva a vedere c'erano almeno una dozzina di individui, intenti a barcollare in modo disordinato. Nel gruppo erano presenti due ragazze mezze svestite, alcuni uomini di cui uno quasi completamene coperto di sangue, almeno due bambini, e una vecchietta che trascinava un piede, sicuramente aveva la caviglia spezzata. Quel gruppo così eterogeneo era apparentemente disinteressato a Goran, ma lui era certo che non appena avesse messo il naso fuori, o prodotto un qualche suono abbastanza forte da essere udito da quelle cose, queste si sarebbero concentrate su di lui come un banco di piranha. Mentre rifletteva sul da farsi si rese conto di non aver sentito nessuna sirena, nè di aver visto alcun lampeggiante neanche nel buio della sera mentre era sul terrazzino: interpretò la cosa come un pessimo segno. Decise di tornare di sopra e perlustrare a fondo la casa. Durante le sue ricerche trovò: due scatole di candele, alcuni accendini, la scatola di proiettili per il fucile da cui Mordecai aveva attinto quel pomeriggio, una manciata di batterie e una torcia a pile, tabacco, una vecchia picozza appesa ad una parete - un ebreo scalatore? - pensò tra il divertito e lo schifato, una cassetta degli attrezzi e svariate confezioni di farmaci, oltre ad una fornita valigetta di pronto soccorso. Tutti questi oggetti erano ora disposti sul tavolo in soggiorno e Goran ormai stanco e svuotato dalla giornata assurda e terribile che aveva appena vissuto, rinviò al giorno successivo le ricerche nel minimarket e nel retro, sicuro che sarebbero state ben più fruttuose. Inconsciamente dava già per scontato che avrebbe passato anche il giorno successivo, suo malgrado, in quell'edificio, i cui proprietari giacevano morti pochi metri fuori dalla porta.

Solo quando si stese a letto si rese conto di non aver provato ad accendere la TV nè la radio per capire che cosa fosse quell'invasione di pazzi cannibali, ma decise che avrebbe già faticato abbastanza a prendere sonno così, figurarsi con la consapevolezza, temeva, di essere un superstite durante un'epidemia di cannibalismo. Epidemia di cannibalismo? L'aver pensato una simile idiozia lo fece sorridere, e nonostante tutto si addormentò praticamente subito.

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