Murray era frastornato, sentiva di aver bisogno di silenzio e di stare da solo, avrebbe voluto gettarsi in un letto e risvegliarsi dopo mille anni, relegando nella categoria degli incubi quel mondo di morte e desolazione. La presenza di Donny era tanto rassicurante, con la sua schiettezza e apparente spensieratezza, quanto opprimente dato che non aveva trascorso più di cinque secondi senza parlare. Anzi, rifletté Murray, senza urlare per sovrastare il forte rumore del colosso che li stava portando "a casa" di Donny. Murray notò che la strada di ritorno era disseminata di corpi schiacciati e impronte insanguinate degli enormi pneumatici della mietitrebbia, era quindi la stessa che il suo strano e giovane salvatore aveva percorso all'andata. Dopo pochi minuti si trovarono fuori dal centro abitato e Donovan si diresse senza indugi verso una quasi invisibile strada bianca nascosta tra le sterpaglie.
- ... perchè io sono dell'Ohio, mica sono di queste parti - proseguì Donovan senza quasi badare a Murray, che aveva l'impressione che il ragazzo fosse solito parlare da solo - io qui ci vengo da tre anni, ci resto per il tempo che serve, faccio la mia stagione - disse sottolineando la parola con due virgolette disegnate in aria - e me ne torno a casa dai miei fratelli. La mia vera casa... - aggiunse con un filo di amarezza - Mi pagano profumatamente, sai Mur, io nel mio campo sono un fuoriclasse, sai? Ed è per questo che faccio tutta questa strada, altrimenti gli direi "col cazzo che mi sparo quasi duemila miglia per venire a lavorare da voi" e me ne starei al bar con gli amici. Guido le mietitrebbie, lo faccio da quando mio papà mi ha insegnato, avevo 12 anni... adesso ne ho 26 quindi sono... un sacco di anni! - Nel brevissimo momento di relativo silenzio Murray si trattenne dal dire 14, reprimendo il suo istinto da insegnante. - Amico, non ho mai tardato una consegna, sempre in anticipo, mai un richiamo o una lamentela, sono davvero bravo sai? Alcuni giorni fa, Sabato o Domenica non mi ricordo, al ritorno da un lavoretto giù nell'appezzamento dei... Colton, Calton o non so, mi sono trovato chiuso fuori dalla Manny's, l'azienda per cui vengo qui... quelli che pagano bene... comunque nessuno mi apre il cancello, nessuno che risponde alla radio, questa vedi? - Donovan indicò un tasto posto sotto ad una piccola cassa sul montante alla sua destra. - Di solito gli dico di aprirmi e loro aprono... e invece niente. Dopo poco vedo che ci sono alcune persone che mi vengono incontro... erano quei dannati zombie, ma io che ne sapevo? Scendo e capisco subito che c'è qualcosa che non va, erano due dei vigilanti, Lenny e Calogero, Cal, ma tutti li chiamavamo Lenny e Carl, come quelli dei Simpson, hai presente? - Murray non aveva presente - Solo che Lenny è nero e Cal, Carl è italiano ah ah ah ah, hai capito, al contrario... ah ah ah - Donovan rise di gusto ma Murray non riuscì a fingere nemmeno un sorriso, cosa che non parve neanche essere notata dal giovane. - Comunque, li saluto ma loro continuano a camminare barcollando verso di me e vedo che Lenny ha tutta la faccia piena di sangue, il colletto della camicia e la giacca della divisa completamente strappati, e la cosa mi fa cacare sotto al punto che risalgo in cabina e mi chiudo dentro. Loro arrivano sotto ed iniziano a picchiare contro la scaletta, ma sono troppo rincoglioniti per salire... ah ecco ridendo e scherzando siamo arrivati a casa. - Donovan indicando a destra condusse lo sguardo di Murray verso una sorta di enorme cascina, con svariati silos disposti su tre file, due grandi edifici uniti a formare un angolo, vertice di un quadrato di mura di mattoni alte almeno quattro metri. - Questa è la mia nuova casa, la mia roccaforte, mio caro Mur... e quelli sono i miei nemici, i nostri nemici! - Aggiunse indicando i campi tutto intorno alla grande cascina, dove vagavano verso di loro, attirati dal rumore, alcune decine di zombie. - Io ogni tanto li provo anche a schivare, ma sembra che vogliano proprio finire sotto... - disse trattenendo una risatina- comunque, Mur, che ne dici? - Murray Clevon era ancora senza parole, aveva ascoltato il ragazzo ma era anche confuso, come se non fosse sicuro di aver capito bene. Non era ciò che Donovan gli aveva raccontato, ma il modo con cui l'aveva fatto, la superficialità, il distacco, la leggerezza, non riusciva ancora a capire di cosa si trattasse. Rimase a bocca chiusa, a guardare Donovan che con espressione orgogliosa gli indicava il cascinale. - Amico, adesso dobbiamo entrare, non posso aprire il cancello perché cone avrai visto, non c'è elettricità, e comunque se lo aprissi entrerebbero anche quelle teste di cazzo... quindi mi accosto al muro di cinta e saliamo dall'altra parte dove ho lasciato una scala, vedi di non fare come prima che per poco ti facevi mordere le chiappe. - Rapidamente Donovan spense la mietitrebbia ed uscì dalla cabina; quando fu a cavalcioni del muro fece un cenno a Murray che lo seguì fuori dalla cabina, trovandosi il muro all'altezza del petto; dopo pochi secondi fu oltre e scese la scala a pioli, sempre seguendo Donovan, che quando fu a terra allargò le braccia e disse - benvenuto Murray! - La sua voce echeggiò tra quelle alte mura, facendo provare al professore una sensazione di vuoto, di solitudine e gli parve di essere nel cortile di una prigione. Effettivamente non era proprio un cascinale, notò, ma più una rimessa per grossi mezzi agricoli. Da terra le mura erano decisamente più alte e le reali dimensioni della struttura lo colpirono. Il silenzio, col motore del mezzo ormai spento, e Donovan finalmente zitto ad osservarlo, come un bambino che orgoglioso mostra al papà la sua opera, era rotto soltanto dai deboli lamenti che provenivano dall'esterno.
Donovan gli disse di seguirlo e lo portò all'interno della "casa degli ospiti", una piccola struttura suddivisa in dieci alloggi, facendolo sistemare in quello adiacente al suo. Murray, ancora inebetito dalle parole del giovane, e dalle ultime due ore scarse durante le quali non solo si era trovato un nuovo compagno, ma anche una nuova casa, appena fu solo nella stanza si stese a letto, riflettendo sul fatto che non aveva portato con sé nulla.Nel giro di pochi giorni passati in compagnia del suo giovane e strano amico alla Manny's, Murray riuscì finalmente ad avere un quadro generale della situazione. Si rese conto che in quei giorni trascorsi a casa prima, e nella "roccaforte" di Donovan poi era stato vittima di quello che molti avrebbero definito disturbo post traumatico da stress; ora quel mix di ansia e di stordimento, paura e tensione andava lentamente dissolvendosi, e la cosa lo rendeva più partecipe anche nelle lunghe chiacchierate con Donovan, che comunque non pareva aver bisogno più di tanto di un interlocutore troppo attivo. All'incirca dopo una settimana nella roccaforte Murray, Mur come ormai si era abituato ad essere chiamato dal giovane, aveva sentito almeno quattro volte il racconto di tutta la vita di Donovan, compresi svariati aneddoti ed episodi di ogni genere; aveva anche preso visione di tutti i singoli locali dell'azienda, che vantava anche una grande area interrata completamente vuota, soltiamente adibita allo stoccaggio dei prodotti di scarto che venivano riutilizzati per la zootecnia, svariati magazzini, silos ed una officina. La parlantina quasi incontenibile di Donovan svanì come per incanto quando Mur, un pomeriggio portò finalmente il discorso sulle probabili cause di quell'apocalisse: in quel momento il ragazzo parve perdere ogni sicurezza, ogni voglia di dire la sua, e pur non cercando di cambiare discorso, era disagio nell'affrontare la questione. Da un paio di giorni Murray si era deciso ad affrontare il discorso, consapevole che probabilmente sarebbe stato difficile per il suo giovane ospite, che fino a quel momento aveva tenuto le sue milioni di parole ben lontane da quel tema. Murray si decise quindi a prendere le redini del discorso e per la prima volta raccontò il suo primo giorno di quell'inferno, ripercorrendo in parallelo gli eventi e le sue riflessioni a proposito. Dal primo uomo investito dalla dottoressa Hatwood, la dottoressa stessa, l'uomo sulla Prius, il vecchio proprietario del Well Creek camping station e il giovane al quale aveva preso la moto, tutti quanti gli avevano fornito elementi utili, in cambio di anni di vita e di ricordi stampati a fuoco così profondamente nella mente che non se li sarebbe mai potuti dimenticare. Donovan ascoltò praticamente in silenzio tutto il racconto e le relative considerazioni del vecchio professore: tutto ciò fu di aiuto ad entrambi. Il giovane, che fino a quel momento aveva retto con sé stesso il gioco del "duro" si stava sempre più rendendo conto del baratro al quale lui, la sua mietitrebbia e tutto il mondo si erano affacciati. Essere ancora sul bordo, mentre praticamente tutto il resto dell'umanità, non poteva saperlo ma ne aveva la quasi certezza, era già precipitata, fino a quel momento l'aveva reso orgoglioso, lo faceva sentire migliore di tutti quelli che invece erano sprofondati nell'abisso, ma quel pomeriggio, seduto sul tetto dell'edificio dell'amministrazione con il vecchio ma brillante professore, capì che in realtà era praticamente rimasto solo. Così avere qualcuno che al suo posto riempiva il silenzio, e provava ad eliminare i suoi dubbi ed a dare risposte alle domande che si stava ponendo lo fece sentire meglio. Allo stesso modo per Murray quel parlare liberamente, quel raccontare e spiegare, provare a spiegare, lo aiutò a creare un quadro ben definito di tutto ciò che la sua mente aveva raccolto in quei terribili giorni; una malattia contagiosa, era chiaro, ma non per via aerea, perché loro non erano stati contagiati; una malattia dal decorso molto rapido, ricordava ciò che era successo alla dottoressa, morsa e dopo pochi minuti priva di sensi, nonostante la ferita, per quanto grave, non apparisse mortale, e poi dopo altri pochi minuti risvegliata ed aggressiva, come un cane rabbioso. Probabilmente un'epidemia di rabbia, come aveva già pensato, ma era quasi sicuro che la rabbia portasse alla morte in pochissimi giorni, mentre erano ormai un paio di settimane che tutto era iniziato, ed era una settimana che si trovava in quella nuova casa-fortezza, e gli unici infetti morti erano quelli uccisi da Donovan con il colosso. Era il 10 maggio, pensò per qualche secondo tra sé, avrebbe dovuto portare la macchina dal meccanico per la revisione, nell'altra vita. Passò nuovamente in rassegna ciò che aveva osservato degli infetti, dallo scarso equilibrio e coordinazione alla vista apparentemente ridotta, un udito molto sensibile e l'aggressività conseguente alla stimolazione. In tutto questo Donovan, come un alunno assorto, comunicava con cenni del capo che confermavano ciò che il professore diceva. Quando Murray finì la sua lunga "lezione", rimasero in silenzio, a godersi quel momento: il giovane aveva preso contatto con la realtà, capito che da solo non ce la poteva fare, come invece aveva creduto fino ad allora ma aveva anche scoperto in Murray un riferimento. Non era solo. Il vecchio professore aveva ritrovato alcune delle sue certezze. Entrambi soddisfatti, era paradossale, di aver preso atto che il mondo era finito, che erano allo sbaraglio, ma quei minuti di silenzio furono sicuramente i migliori minuti delle ultime due settimane.
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Assedio zombie
Ciencia FicciónI più fortunati, forse, non sono i sopravvissuti, costretti a sudarsi ogni istante, ma gli altri, le vittime, quelli che non dovrebbero camminare ma lo fanno.