32 - Goran e il braccio

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Il telefono, doveva tornare al telefono. Improvvisamente quella telefonata aveva assunto un'importanza enorme per Goran. La sensazione di essere in una sorta di isola sperduta in un mare infestato da squali lo fece sentire a disagio al punto che lui, Goran Sovic, serbo, con un particolare odio antisemita, aveva bisogno di parlare al telefono con un vecchio ebreo. Goran il picchiatore. Sin da bambino era stato educato all'insegna del patriottismo e del nazionalismo. Per un serbo nato nei primi anni '90 questa era la normalità, soprattutto in zone cosiddette calde come la città di Tutin, al confine con il Kosovo ed il Montenegro. Durante l'adolescenza aveva assistito ai primi episodi di bullismo, ad opera dei suoi fratelli più grandi, insieme alla compagnia di amici che terrorizzavano chiunque capitasse a tiro, in particolare quei poveracci di origine albanese. Con il passare degli anni sempre più spesso era lui stesso a rendersi protagonista di vessazioni, minacce e talvolta aggressioni e pestaggi ai danni di quei "dannati albanesi", oppure "schifosi kosovari" o ancora "luridi montenegrini" a seconda del periodo. L'ambiente scolastico, dopo i sedici anni, lasciò il posto a quello degli ultras, anche se a Goran il calcio non era mai piaciuto. Ma era all'interno delle curve che c'erano i suoi amici, e dove tutti avevano le idee chiare su come andava il mondo. Quasi tutti erano disoccupati per colpa delle minoranze, albanesi, macedoni, montenegrini. Erano i non serbi i colpevoli. Pur avendo lasciato la scuola presto, Goran non era un ignorante come i suoi amici: anche se ne condivideva lo spirito nazionalista e traendo talvolta soddisfazione da qualche pestaggio, provava comunque a informarsi sulla storia della Serbia, a leggere qualche libro, facendolo praticamente di nascosto. Compiuti i 18 anni il padre decise di spedirlo nell'esercito, dal quale tornò un anno e tre mesi dopo con una dozzina di chili di muscoli in più, un addestramento fisico e una repulsione per i non serbi ancor più forte di quando era partito. Riuscì a trovare lavoro in una compagnia di trasporto valori come guardia giurata, lavoro semplice, come fare il fattorino diceva scherzando, che gli permetteva di essere pagato molto bene e di avere anche una pistola in dotazione. Per un paio di anni la sua vita non ebbe particolari scossoni, eccezion fatta per la morte dei genitori e l'emigrazione dei suoi fratelli maggiori a Mosca. E la sua mente tornò proprio a quei giorni, in cui quasi senza accorgersene rimase solo. Era a casa, nella sua città, aveva un lavoro e alcuni amici, ma fondamentalmente era solo. Ora capì cosa poteva essere veramente la solitudine, e la paura che porta con sé. Quel telefono era una scialuppa di salvataggio, anche se sapeva che non avrebbe mai incontrato il suo interlocutore. Prese la cornetta aspettandosi che il contatto con questa gli avrebbe dato una piacevole sensazione di calma ma così non fu. Era solo la cornetta ed era fredda: la portò all'orecchio.

- Amico sei ancora lì? - disse Goran.

- Io non so che fare, bestie battono su porta, io urlo di andare ma niente - disse il vecchio che rispetto a prima sembrava molto più preoccupato.

- Dannazione non devi urlare, non farai altro che attirarne altri. Ho capito che quei bastardi ci sentono anche meglio di noi. Forse vedono male, ma appena ti sentono sono come le mosche su una merda. - Goran ora non sapeva perché stesse ancora al telefono invece di cercare un modo di aiutare quel braccio e di mettere in salvo se stesso, ma non voleva riattaccare. Era realmente confuso, lo stress stava minando la sua lucidità e si rese conto che era necessario calmarsi, focalizzare le priorità e concentrarsi su quelle, a dispetto di emozioni e fatica. Chiuse gli occhi e respirò a fondo, provando a liberare la mente, ma il vecchio ebreo lo interruppe.

- Che fai tu in casa Mordecai? - chiese Nathan come se l'avesse appena sorpreso nella casa del cugino.

- Sono finito qui per scappare da quel pazzo di tuo cugino che sparava a tutti quelli che gli capitavano a tiro. Adesso capisco perché... - mentre parlava, Goran sentiva il braccio armato in fondo alla via che continuava a sparare con regolarità e ogni 15 o 16 colpi si interrompeva per un tempo più lungo, per ricaricare. Si rese però conto che la pausa si stava protraendo per troppo tempo. Quel silenzio aveva catturato l'attenzione di Goran. All'altro capo del telefono Nathan stava continuando a parlare ma la necessità di parlare con lui, per Goran era ora svanita, dopotutto era in Svizzera, pensò, che aiuto poteva dargli un vecchio ebreo a centinaia di chilometri di distanza? La priorità era aiutare ed entrare in contatto con quel braccio.

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