42 - Murray ed il colosso

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Quando riaprì gli occhi Murray si trovò immerso nel buio della sua stanza, ed impiegò alcuni secondi per orientarsi nello spazio e nel tempo; di seguito arrivarono come una pioggia di proiettili tutti i ricordi della giornata che ormai era terminata per lasciar spazio alla notte. L'orologio al suo polso segnava le 2:19. Si alzò per fiondarsi alla finestra così in fretta da vedere tutto annebbiato per qualche istante, e da doversi tenere al davanzale per mantenere l'equilibrio. Rimessa a fuoco la vista si rese subito conto del buio totale che inondava anche l'esterno della sua casa, un buio spezzato solo dalla flebile luce delle stelle. Apprezzò lo spettacolo offerto dalla via Lattea riflettendo sul fatto che mai prima di allora ne aveva notato ad occhio nudo la spettacolare bellezza. Dopo che la sua vista si fu abituata a quel buio, iniziò suo malgrado a distinguere qua e là sagome di infetti vagare stupidamente nella via. Provando a mantenere la calma, soffocando la paura sul nascere, decise di agire in modo razionale: con tutta tranquillità, imponendo a sé stesso di procedere lentamente, scese al pian terreno e si assicurò che tutte le finestre e le porte fossero ben chiuse. Quindi si appostò ad ogni finestra per circa due minuti per osservare tutto il perimetro della casa ed avere una panoramica, cosa che gli permise di capire che solo il lato della via era occupato e quindi pericoloso, mentre le due lingue di prato che portavano al giardinetto sul retro, ed il retro stesso erano liberi. Voleva mettersi al sicuro, sapeva che in garage aveva molto materiale utile, ma sapeva anche che avrebbe fatto molto rumore che, in quel silenzio, di sicuro avrebbe attirato attenzioni indesiderate. Decise di rinviare i propositi di messa in sicurezza della casa, sperando di riuscire a non essere notato, ma si ricordò che in garage aveva anche una radio: fino ad una decina di anni prima era stato un radioamatore e aveva passato molte ore a sperimentare e testare varie configurazioni ed antenne. Una di quelle antenne era ancora collegata e decise di spostarsi nel suo adorato garage - laboratorio per mettersi in ascolto; anche se era notte fonda era convinto di riuscire ad intercettare qualche comunicazione di servizio dell'esercito o della polizia, o chissà che altro. Dopo alcuni minuti dedicati a ricollegare tutte le parti e ad accertarsi che l'unica uscita audio fosse esclusivamente nel canale delle cuffie, accese la radio e con calma si mise in ascolto. Dopo quasi due ore, durante le quali aveva battuto tutte le frequenze disponibili svariate volte, non riuscì a sentire nulla ad eccezione di alcuni messaggi registrati vecchi di settimane o più. Fu sopraffatto dallo sconforto, tornò in camera e dopo aver sbirciato fuori dalla finestra per alcuni secondi, si stese a letto stordito e frastornato da quel silenzio. Nei quattro giorni successivi il professor Murray Clevon attraversò tutte e cinque le fasi che solitamente si associano ad un lutto, ossia negazione, rabbia, contrattazione o patteggiamento, depressione ed accettazione. Queste fasi che normalmente vengono attraversate nell'ordine, per Murray furono, in quei giorni, i cinque stati d'animo principali, vissuti in modo disordinato ed incoerente, in modo ciclico e ripetitivo, facendolo passare dalle lacrime alla pianificazione di fughe, dalla catatonia sulla poltrona a pensare come suicidarsi alla voglia di uscire ed uccidere quelle persone mostruose. Furono giorni che cambiarono in modo radicale la vita di Murray, giorni di terrore e paura, giorni di speranze coltivate e svanite, giorni in cui concretamente non fece nulla, ma che rivoluzionarono il suo io. Non riusciva a rimanere lucido, il trauma provocato da tutti gli avveninenti del primo giorno lo distubavano, lo distraevano ributtandolo nello sconforto, in modo diverso ma al contempo analogo a quando aveva perso la moglie: in quel caso la sofferenza si era protratta per alcuni mesi, culminando con la morte dell'amore della sua vita. Lei si era consumata fisicamente, lui psicologicamente, rimanendo per mesi in balia di una routine insopportabile. Ora tutti gli eventi del 27 Aprile lo avevano investito con una rapidità e potenza tale da instupidirlo, lasciandolo in balia di questa serie di emozioni, senza apparenti vie d'uscita. La mattina del 2 Maggio Murray era seduto sulla poltrona a dormire quando fu svegliato da delle vibrazioni molto basse, che fecero tremare i vetri delle finestre. Quello che all'inizio gli sembrò soltanto una sommessa vibrazione man mano prendeva consistenza e la sua fonte pareva in avvicinamento. Si alzò dalla poltrona e scostando le tende quel tanto che bastava per sbirciare la strada, si mise ad osservare il fondo della via, fin dove riusciva a scorgere, verso la fonte di quello strano rumore. Dopo poco capì che da quella posizione non poteva vedere granché, si lanciò quindi su per le scale e tornò nella sua camera da letto, da dove aveva una visuale ideale. Oltre gli alberi che costeggiavano la via vide alzarsi una piccola colonna di fumo, era a poco meno di un centinaio di metri e sicuramente proveniva da un qualche mezzo di trasporto, ma le piccole chiome potate ma fitte di foglie dei tigli ne nascondevano la struttura. Nel silenzio a cui si era ormai abituato, e per certi versi rassegnato, quel rumore suonava nuovo, strano, troppo complesso per essere un camion, ed infatti il mezzo che apparve dopo poco agli occhi di Murray risultò altrettanto nuovo e strano. Un colosso verde e bianco, due ruote enormi davanti, due più piccole dietro, era un enorme mezzo agricolo che pareva spropositato in quella piccola via residenziale, come un pachiderma che placido procede nel fitto della foresta tropicale. Murray era a bocca aperta, non capiva perché e come, ma capì subito l'efficacia di quel mostro nel confronto contro gli altri mostri: avanzava circondato da un nugolo di quei cannibali infetti, senza il minimo sforzo, mantenendo la velocità, bassa, travgendoli e schiacciandoli come fossero cartacce. Dentro la cabina, posta davanti, in centro, Murray non riuscì a vedere altro che una sagoma con un cappellino da baseball. Qualcuno, un pazzo o un genio, poco importava, era qualcuno vivo e sano, qualcuno che con quel mezzo si aggirava in cerca di o verso chissà cosa, e Murray doveva farsi vedere, entrare in contatto con quel qualcuno, a tutti i costi. Corse verso le scale e le scese ad ampi balzi come quand'era bambino; arrivato al pian terreno si lanciò verso la porta d'ingresso ma riuscì a trattenersi dall'uscire e si fermò a pensare. Il rumore del mezzo era molto forte, stava passando proprio davanti alla casa di Murray, sperò quindi che l'attenzione di quei soggetti pericolosi fosse tutta per quel bestione verde e bianco; si decise quindi ad aprire con cautela la porta ed a sporgersi fuori. Il mezzo non era ancora passato oltre, ma Murray capì che doveva inventarsi qualcosa e anche alla svelta per non perdere quel bizzarro treno; pensò che poteva semplicemente cercare di attirare l'attenzione del conducente di quel mezzo agitando le braccia e saltando, e quando vide un lenzuolo bianco e blu, probabilmente portato dal vento, sul suo giardinetto decise di usarlo come bandiera. Corse verso la strada raccogliendo il grosso lenzuolo facendolo quindi volteggiare il più possibile, proprio mentre il colosso scorreva placido e rumoroso davanti a lui. Nella foga prese anche una manciata di ghiaia dal suo vialetto e la getto contro la cabina di plexiglas, gesto al quale seguì un immediato calo di giri del motore di quel mezzo bianco e verde con la scritta CLAAS in rosso sulla fiancata. Era stato visto o sentito. Il mezzo si arrestò pochi metri dopo e nel giro di qualche secondo il motore venne spento. Il silenzio era tornato prepotente nella via, ma durò pochissimo perché i versi di quegli infetti lo riempirono rapidamente. Murray aveva ottenuto l'attenzione della sagoma col cappellino, ed ora era in attesa di vedere cosa sarebbe
successo, immobile per non attirare altre attenzioni indesiderate. La sagoma nella cabina sporgente di plexiglas aprì la porta laterale e Murray rimase molto sorpreso nel vedere che quell'enorme macchina agricola era guidata da quello che pareva poco più di un ragazzino. Canotta sudicia, jeans consumati e cappellino dei Sox, un ragazzo che poteva avere si e no 18 anni, magro, i capelli che spuntavano dal berretto erano mossi, abbastanza lunghi, fin quasi alle spalle, castano chiari. Il viso era anch'esso magro e la prima cosa che notò Murray furono le terribili occhiaie, segni di chi ha pianto per giorni interi, ed a quel pensiero il vecchio professore si chiese se anche il suo volto fosse così segnato da quei giorni così travagliati e angoscianti. Il ragazzo rimase a osservare il vecchio, incurante del gruppo di mostri che poco sotto ai suoi piedi reclamavano la sua carne, come per valutare lo stato di salute di colui che aveva attirato le sue attenzioni.
- Ehi nonnetto, sai quanto costa questo giocattolino? Spero che i sassi che hai lanciato non l'abbiamo graffiato perché in quel caso dovrei prendere a calci quel tuo culo secco... - il ragazzo aveva un tono provocatorio che spiazzó Murray che rimase immobile e zitto, anche perché il giovane riprese subito - dai sto scherzando, che ci fai in quel giardinetto tutto solo? Non vedi che brutte facce ci sono in giro da qualche giorno a questa parte? - disse quasi trattenendo una risata. Murray era ancor più stupito, non era pronto per l'umorismo, non era pronto per nulla, ma quasi involontariamente rispose
- Questo è il mio giardinetto, sono uscito quando ho sentito il rumore di questa... cosa... - parlava sperando di non essere sentito da altri oltre che dal giovane.
- Mietitrebbia, si chiama così, serve per il raccolto del grano, hai presente? E io mi chiamo Donovan. Pensavo di essere rimasto solo, ma a quanto pare mi sbagliavo, anche se avrei preferito trovare una donna e non un nonnetto come te... - disse Donovan sghignazzando.
- E io mi chiamo Murray, Murray Clevon, ma per Dio, puoi tirarmi fuori da qui? Questi mostri se la stanno prendendo anche con me adesso vedi? - disse Murray indicando il gruppetto di infetti che si era staccato dalla mietitrebbia per spingere sulla bassa cancellata che delimitava il suo giardinetto attratti dalla voce del professore.
- Rilassati vecchio, non vedi che sti zombie sono degli idioti? Non sanno nemmeno dove sono, e poi da quanto ho visto mangiano carne, fottuti bastardi, e tu sei tutto pelle e ossa... - Donovan rise di gusto, ma intanto si ritrasse nella cabina e riaccese il grosso mezzo agricolo che dopo alcune manovre andando avanti ed indietro, come se volesse parcheggiare, schiacciando svariati zombie, si trovò a sfiorare la cancellata della casa di Murray. Donovan si sporse dalla cabina, lasciando acceso il motore, urlando:
- Quindi? Rimani lì a guardarmi o salti su? Non dirmi che soffri di vertigini eh... - ridacchiando si accese una sigaretta come per godersi lo spettacolo del vecchio che cercava il modo di issarsi sulla cancellata prima e sulla scaletta di accesso alla cabina poi. Murray pensò un paio di volte che sarebbe caduto ma riuscì a mantenere la calma e la presa sui sostegni, trovandosi con suo enorme sollievo faccia a faccia col giovane, che, sigaretta in bocca e occhi socchiusi per via del fumo, gli porse la mano dicendo:
- Chiamami Donny, piacere amico. Non offenderti se mi scappa qualche parola di troppo, mi fa piacere incontrare qualcuno che non vuole mordermi le chiappe. - Era veramente giovane, Murray però era colpito dal contrasto tra il buon umore strafottente di Donovan, ed il suo volto, quasi deformato dalle occhiaie, e dagli occhi stessi, provati sicuramente da giorni di lacrime.
- Piacere Donny, anche io temevo di essere rimasto l'ultimo... sano... ma dove stai andando con questo affare? - mentre Murray parlava Donny chiuse la porta della cabina indicandogli di sedersi alla sua sinistra, e fece ripartire la mietitrebbia agendo sui pedali e su due joystick. Donny aveva un'ottima padronanza del mezzo, lo guidava con disinvoltura, cosa che fece capire a Murray che non lo aveva trovato per caso come era successo a lui con la moto da cross.
- Cerco una farmacia, sono allergico al polline e ho finito gli antistaminici, vedi che faccia che ho no? Tu abiti qui quindi sai dov'è la farmacia più vicina, da che parte devo andare? - Sentendo questa spiegazione Murray rimase nuovamente stupito, aveva frainteso e dato per scontato che anche il ragazzo fosse crollato come lui, ma la verità era molto più banale.
Murray indicò a Donny poche svolte che portarono quel bizzarro mezzo vicino alla farmacia, ma l'ultimo centinaio di metri era impraticabile per via delle auto abbandonate. Quello che agli occhi del vecchio professore apparve cone un insormontabile ostacolo, venne affrontato con estrema calma da Donny che, dopo aver estratto da sotto al confortevole sedile ammortizzato una grossa roncola, un machete con punta ricurva, uscì dalla cabina senza dire una parola e con un salto superò i pochi infetti che avevano tenuto il passo della mietitrebbia senza esserne schiacciati e con passo veloce si diresse verso la farmacia. Dopo pochi metri saltò su una delle macchine incolonnate e proseguì passando di veicolo in veicolo, velocizzando il passo ed evitando così di trovarsi davanti facce ringhianti. Quando fu davanti alla farmacia abbattè tre sagome con tre colpi alla testa assestati con forza e freddezza che, nuovamente, colpirono l'attonito Murray. Meno di un minuto dopo essere sparito nella farmacia, Donny ne uscì con una grande borsa piena, un sorriso a 32 denti, ad alcuni infetti alle calcagna. Ripercorrendo la strada sulle macchine si trovò sotto alla scaletta ma qui dovette lottare non poco con più di una decina di infetti, che comunque finirono stesi a terra in posizioni innaturali e per certi versi ridicole, tutti con la testa aperta da un colpo ben assestato. Donny lanciò verso Murray la borsa, che la prese e allungando la mano aiutò il ragazzo a salire verso la cabina. Murray non aveva parole, Donny dal canto suo sembrava molto soddisfatto e di buon umore, apppena si sedette al suo posto prese la borsa e pescò una confezione di antistaminici. Murray sentì sé stesso fare questa domanda:
- E adesso che si fa? - Donny sorrise, un po' per la domanda, un po' perché stava osservando due pillole bianche nella sua mano sinistra, se le portò alla bocca e bevve una bella sorsata d'acqua, deglutì rumorosamente e aggiustandosi la visiera del cappellino disse:
- A casa mia Mur, ti porto a casa mia.

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