37 - Il nuovo dr. Stix

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Complessivamente il dr. Alan Stix soggiornò per tre mesi presso la Parsons & Lawrence Clinic sull'isola di Saint Thomas, durante i quali con gradualità riuscì ad uscire dalla dipendenza da anfetamine e affini e dal turbine di stress che lo stava opprimendo. Le prime due settimane furono per lui le peggiori: la paranoia e la rabbia per essere stato costretto da "loro" in quel posto si mischiavano alle crisi d'astinenza e alle preoccupazioni per il proseguio del suo lavoro; solo per due volte pensò alla moglie, al fatto che era all'oscuro di tutto e sola. Nelle settimane successive, progressivamente il dr. Alan Stix riprese a sentirsi lucido e in forma, abbandonati i ritmi di lavoro disumani che si imponeva, e senza le sostanze che gli permettevano di sostenere quegli stessi ritmi, riprese a dormire profondamente e a lungo, a svegliarsi affamato e volitivo, iniziò addirittura a fare palestra. La presenza di Safin fu estremamente importante e per stessa ammissione del dr. Stix il gigante di origini russe era stato un riferimento fondamentale sin dal primo giorno: ripensando alle prime due settimane, praticamente immerse in una nebbia impenetrabile, gli unici ricordi chiari riguardavano Safin che lo calmava e lo aiutava. In seguito, con il ritorno alla normalità del dr. Stix, il rapporto tra i due si era fatto man mano più stretto, sincero ed aperto. Noel Dannen, il numero undici, aveva scelto di mettere proprio Safin al fianco del loro genio a rischio autodistruzione per una serie di motivi molto precisi: come detto era un formidabile motivatore, ma era anche il braccio destro dello stesso Dannen, una delle pochissime persone delle quali si fidasse ciecamente, inoltre era al corrente di buona parte delle fasi primarie del NexP e sperava che col passare dei giorni il dr. Stix si sarebbe confidato con Safin su eventuali intenzioni spiacevoli come abbandonare o sabotare il lavoro svolto fino ad allora. Senza saperlo Alan, come in quei tre mesi era stato chiamato da Safin e dai pochi membri dello staff con cui aveva avuto modo di parlare, si trovava su un'isola, controllato, osservato, curato e fortunatamente guarito, da una grande mano, così enorme da non essere vista, come lui faceva con i suoi prioni. Al termine dei tre mesi accaddero diverse cose collegate le une alle altre. Safin durante le sue pressoché quotidiane videochiamate con Dannen, lo informò che tutti i parametri, così li chiamò, del dr. Stix erano assolutamente conformi alle loro esigenze. Questo significava che il "paziente" era sano, guarito dalla dipendenza che lo aveva reso pericoloso per la fase B, quella che avrebbe posto le basi per la partenza del Nexp; che era stato recuperato anche sul piano mentale, Safin spiegò che, come aveva ottimisticamente promesso, non solo era riuscito a recuperarlo, ma lo aveva amche trasformato in un uomo migliore; inoltre, punto cardine della valutazione, il dr. Stix era affidabile e anzi molto orgoglioso di partecipare allo sviluppo del suo prione, ed effettivamente scalpitava per tornare sul ponte di comando, nel suo laboratorio. Durante i tre mesi di assenza era ovviamente stato aggiornato con puntualità su tutti gli sviluppi, ed aveva anche impostato e predisposto svariati esperimenti e prove per far fruttare al meglio quelle settimane, ma essere presente e operativo era ben altra cosa. Ricevuto il via libera da Dannen, Safin procedette alla dimissione del dr. Stix, che senza nessun preavviso si trovò ad abbandonare quella prigione dorata. Era felice di essere nuovamente libero, di tornare al suo lavoro, pensava anche che rivedere Maia avrebbe potuto ravvivare il suo interesse verso la moglie, ma abbandonò immediatamente quell'idea bollandola cone ridicola. Era anche preoccupato perché si rendeva conto di essere cambiato in quei tre mesi: sicuramente in meglio, si sentiva bene come non gli era mai capitato prima, forse neanche quand'era ragazzo, ma non sapeva come il nuovo lui si sarebbe adattato alla sua vecchia vita. Safin, durante una partita a carte in aereo, in rotta verso Colonia, gli spiegò che per questioni di sicurezza avrebbe dovuto dire alla moglie e a chi glielo avesse chiesto, nessun altro pensò Alan, che la sua assenza era dovuta ad un piccolo incidente in laboratorio che lo aveva costretto ad una quarantena precauzionale. Alan ripensò immediatamente alla moglie e alla sera in cui, oltre a dimostrargli di aver fatto ricerche, gli aveva detto che sembravano pericolosi quei suoi prioni: questo avrebbe alimentato le preoccupazioni di Maia, ma lui ormai la sentiva lontana, pensava a lei soltanto per caso e la vedeva sempre più come una presenza inutile nella sua vita. Infatti la prima cosa che fece, non appena sbarcato a Colonia fu di indicare all'autista che attendeva di fronte all'uscita dell'aeroporto l'indirizzo del campus dove aveva sede il suo laboratorio. Così come un uomo innamorato della moglie non vede l'ora di raggiungerla dopo una lunga separazione, lui smaniava per raggiungere la sua ragione di vita, il lavoro, il laboratorio, il suo prione. Nonostante il consiglio di Safin di andare subito a riposarmi per non patire gli effetti del jet lag, trascorse più di quattro ore nelle grandi sale dove silenziosi ricercatori si muovevano tra microscopi, supporti per provette, PC e attrezzature per le più specifiche e disparate esigenze. Tutti lo guardavano stupiti per il suo aspetto, era abbronzato e sorridente, non esistevano più le occhiaie e l'aspetto trasandato degli ultimi mesi. Si aggiornò su tutti gli aspetti, tutti gli sviluppi, i problemi, i dettagli che ai più parevano insignificanti, dai quali il suo genio spesso aveva attinto per risolvere o perfezionare situazioni complicate. Dopo questa sbornia di informazioni, della quale aveva sentito crescere la necessità nelle ultime settimane, inondando di mail i più stretti collaboratori, capì che era giunto il momento di riposare, di tornare a casa e dormire. In auto cadde in un tormentato sonno durante il quale sognò la moglie che tentava di ucciderlo con un coltello dopo aver scoperto che nei mesi di assenza lui era sempre rimasto a letto. L'improvvisa apertura della portiera sulla quale era lentamente scivolato lo riportò bruscamente alla realtà. Indeciso su quale tra sogno e realtà che lo aspettava fosse peggio, si trascinò a fatica verso la porta di casa, pronto a zittire le domande che Maia sicuramente gli avrebbe vomitato addosso da lì a pochi seondi. Suonò il campanello aspettandosi di sentire i classici rumori di chi si affretta per raggiungere la porta ma non sentì nulla. Dopo aver riprovato a suonare altre due volte provò rapidamente a riflettere sulle possibili cause dell'assenza della moglie. Non aveva idea di quali fossero le abitudini di Maia, quale fosse il giorno della spesa, se andasse in palestra, da amiche o chissà che altro. Si rese conto che era diventata per lui un elettrodomestico prepara-cene, lavatrice, pulisci-casa. Mandò via l'autista con un cenno e si portò sul retro della villetta, dove era sicuro di trovare, sotto ad un vaso, la chiave di casa. Dopo meno di un minuto era dentro. La casa, a quanto ricordava, era uguale ma la moglie non c'era, cosa che lo stupì e sollevò non poco. Non doverla affrontare, qualsiasi fosse stata la sua reazione nel rivederlo a casa dopo tre mesi di assenza, era una sorpresa così insperata che con una sorta di sorriso compiaciuto si spogliò e si lasciò cadere sul letto fresco e morbido. L'intero pomeriggio, erano le 15 quando arrivò a casa, e la sera fino alle 2 di notte dormì profondamente, risvegliandosi nella stessa posizione in cui quasi 12 ore prima era crollato. Spaesato, impiegò alcuni minuti a collocarsi nello spazio, non più la sua suite con vista sul mare dei Caraibi ma la sua camera da letto, nella sua casa a Colonia, e nel tempo, non mattino presto, come ormai era abituato a svegliarsi grazie al suo orologio biologico rimesso in funzione e sincronizzato da Safin e dalla permanenza nella Parsons & Lawrence Clinic , ma in piena notte, sveglio perché senza più sonno. La prima cosa che pensò, una volta riordinate le idee, fu che aveva fame: al buio si alzò e scese dal letto, diretto al frigorifero. La luce che si accese automaticamente all'apertura del grande elettrodomestico cromato oltre ad accecarelo momentaneamente, illuminò il vuoto quasi totale che regnava sui piani di vetro satinato. Alan non pensò alle implicazioni di quell'assenza di cibo, pensò solo a dove trovarne. Aprì alcune delle ante che aveva davanti agli occhi e altre all'altezza delle ginocchia ma a parte pentole e stoviglie varie, piatti e tovaglie, non trovò nulla di commestibile. Si sedette sul grande divano in soggiorno e pensò a Maia, alla sua assenza; non aveva idea di dove fosse andata, pensò che avrebbe potuto provare a sentire la madre, magari si era spostata da lei per non stare sa sola in quella casa. La sua era decisamente più una scocciatura che una preoccupazione, aveva fame e in casa non c'era assolutamente nulla da mangiare. Trascorse la nottata guardando la TV e cercando su internet le notizie che si era perso durante la sua vacanza di disintossicazione. Dopo aver scorto l'alba attraverso la grande finestra del soggiorno decise che avrebbe fatto qualche esercizio, pensando anche al fatto che si sarebbe dovuto procurare alcuni attrezzi per poter lavorare, così definiva la palestra Safin, a casa. Al termine di una lunga doccia e una lunga sessione di trattamenti per la cura del corpo, chiamò l'autista e nella tarda mattinata era già nel suo amato laboratorio. Una volta ripresi i contatti con tutte le sezioni, facendosi ripetere quanto riferito nella visita del giorno precedente, approfondendo come sua abitudine fino ai dettagli, si rifugiò nel suo ufficio per valutare i progressi e pianificare i passi successivi. E proprio mentre tutti i vari aspetti iniziavano a fondersi, a prendere forma riacquistando un'immagine d'insieme, tutto venne spazzato via da Maia. Alan fu come destato dalla sua concentrazione da quel pensiero e si stupì di quanto fosse prorompente: non era normale per lui preoccuparsi per la moglie ma improvvisamente quella diventò la priorità. Oltre all'assenza, cosa di per sé già molto strana, c'erano il frigo e la dispensa vuoti, cosa che poteva indicare un allontanamento volontario. Provò a chiamarla sul cellulare, di solito era sempre stata lei a chiamarlo, ma risultava spento o non raggiungibile. Cercò il numero della suocera, rendendosi conto della sottile preoccupazione che lo stava pervadendo, ma a quel numero non ottenne risposta. L'urgenza di entrare in contatto con Maia, che lui stesso non si spiegava, lo fece agitare come un vero marito innamorato che si preoccupa per la moglie. Quel tentativo di mettersi in contatto con lei contribuì a fargli capire quanto poco la conoscesse, quanto l'aveva allontanata, quanto lui si era isolato: non aveva idea di chi potesse sapere qualcosa, nessuna amica, nessuna abitudine o luogo dove trovarla, era come cercare una sconosciuta. Non era dispiaciuto, anche se provava pena per Maia, costretta a subire tutto ciò, era piuttosto scocciato dal non poter soddisfare qualcosa di poco più serio di un capriccio. Pensando alle conseguenze pratiche dell'assenza della moglie si rese conto che non avrebbe trovato la cena pronta quella sera, e le seguenti, e avrebbe dovuto quindi trovare una colf anche per tutte le altre faccende di casa. Verso sera, mentre veniva riaccompagnato a casa, quella che poche ore prima era un'esigenza pressante ora era solo un ricordo, e anzi sperava di non trovarla a casa per lo stesso motivo del giorno precedente: non voleva affrontarla. L'autista fermò l'auto, scese rapidamente e aggirò l'auto, come in un rituale aprì la portiera al dr. Stix, ma questi pareva bloccato sul sedile, con lo sguardo oltre le spalle del giovane in divisa: le luci di casa Stix erano accese.

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