33 - I tormenti di Caster

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Dopo poco meno di un'ora trascorsa in quell'improvvisata sala riunioni, Ronald Caster venne accompagnato dall'agente Migat all'ascensore, quindi all'auto e con questa venne riaccompagnato al DDIGE. Qui Caster salutò Migat e sentendosi confuso come un ragazzino che torna a casa dopo aver bevuto troppo, raggiunse il suo ufficio. Non gli era mai successo di uscire così stravolto da una riunione e arrivato davanti alla porta del suo ufficio la sua segretaria Janet se ne accorse immediatamente.

- Bentornato signor Caster, si sente bene? - chiese Janet col suo tono perfettamente bilanciato tra quello di una hostess cordiale e quello di una mamma sospettosa.

- Grazie Janet sto bene, ma cancella tutti gli impegni di oggi e non passarmi telefonate. Ho un mucchio di lavoro. - Ronald sapeva che Janet non avrebbe creduto a quell'ultima frase, ma voleva tagliare corto e mentre lei provava a formulare una qualche risposta lui aprì la porta del suo ufficio e la richiuse alle sue spalle con la velocità di un trasformista. Non avendo potuto prendere appunti, una sua vera passione oltre che un modo per avere sempre, almeno in apparenza, la situazione sotto controllo, cercò di riordinare le idee; si tolse la giacca lanciando sulla sua scrivania la cartellina che gli avevano lasciato al termine della riunione; allargando il nodo della cravatta, si versò un bicchiere di Courvoisier, regalo di compleanno dei suoi vecchi colleghi, si sedette alla scrivania e vi appoggiò i piedi in perfetta posa da fannullone. Giocherellando con il cognac cercò di rilassarsi e di riordinare gli elementi che non essendo stati fissati su carta vagavano ancora senza quasi una logica nella sua mente. L'idea di fondo, o meglio la sensazione che questa idea ancora confusa gli dava, era pessima. Si sentiva intontito, come se avessero preso a pugni e calci il suo cervello e a schiaffi la sua faccia. Una sensazione simile l'aveva provata risvegliandosi in ospedale qualche anno prima dopo essere stato violentemente tamponato da un'altra auto. Ora non era nella stanza d'ospedale, ma nel suo ufficio, e non c'era il dottore chiamato dall'infermiera al suo risveglio a spiegare l'accaduto e a rassicurarlo, ma era da solo e da solo doveva riordinare le informazioni. La cartellina color senape sulla sua scrivania che riportava la scritta "R. Caster", gli era stata data da Tevray subito prima di essere congedato dalla riunione. " Qui troverà le informazioni preliminari, diciamo il primo passo, o meglio i primi passi, il cammino è lungo e il tempo è tiranno!". Caster ripensava alla faccia sorridente e distesa di Tevray e si domandò come avesse reagito lui la prima volta che sentì tutta la storia. I presupposti erano sorprendentemente positivi, affascinanti, ma c'era tutto il resto. Rifletté anche sul fatto che l'incontro con quelle persone, non sapeva ancora come definirle, era stato condotto quasi esclusivamente da Tevray, al quale doveva riconoscere grandi capacità comunicative. In sintesi gli aveva parlato per un paio d'ore di fine del mondo per come lo conosciamo, immortalità, zombie, un nuovo paradiso terrestre, e che una parte fondamentale di quel bel progettino di lavoro stava per essere affidata a lui in cambio di un posto in prima fila. Era scioccato, ma non capiva se erano alcune singole parti a spaventarlo maggiormente o se era il disegno complessivo. Tutto ad un tratto la calma che era riuscito a creare grazie all'accogliente solitudine e intimità del suo ufficio era svanita. Il suo sguardo si posò nuovamente sulla cartellina che era riuscito a lasciare chiusa per tutto il viaggio di ritorno: prima di ricevere ulteriori informazioni, doveva riordinare le idee. Prese un foglio, la sua biro ed iniziò a ripensare alla "storia" di Tevray. "La storia, signor Caster, parla di un ricercatore. Fa parte di un team che si occupa di sviluppare nuovi sistemi di cura, che spazia dalle nanotecnologie alle cellule staminali, passando per l'evoluzione di tutta la gamma di terapie già esistenti. Lei sa bene che laddove c'è un capitale privato a finanziare la ricerca, questa spesso ottiene risultati importanti: la relativa ma necessaria libertà di spaziare, per un ricercatore, unita alle disponibilità economiche, porta spesso a buoni risultati. Questa era la situazione in cui si trovava il nostro ricercatore. Giovane, promettente, ultimo arrivato nel team, non disponeva della libertà assoluta dei membri anziani della squadra anche perché il suo ruolo era quello di testare a tappeto centinaia di campioni diversi, cosa che lo portava a relazionarsi, per quasi 9 ore delle 10 trascorse in laboratorio, con le piastre di Petri, etichette, cartellini e poco altro. Nel pochissimo tempo libero che riusciva a ritagliarsi portava avanti con altri novellini del team qualche esperimento. In particolare una sua collega aveva trovato il modo di produrre quantità considerevoli di cellule staminali partendo da tessuti di topo, ma il problema era che queste rimanevano vive solo finché il processo di moltiplicazione era attivo. Quando smetteva di somministrare l'enzima che attivava la moltiplicazione questa si arrestava e le cellule iniziavano rapidamente a morire. Tutto inutile. Parlandone con altri colleghi scoprirono che non c'era nulla di nuovo, era il classico vicolo cieco in cui altri prima di loro erano incappati. Il nostro amico, il giovane e promettente ricercatore, era però anche testardo, al punto che dopo mesi di lavoro extra riuscì a risolvere quel problema che fino a quel momento era parso insormontabile a tutti. L'enzima non doveva più essere somministrato ma, in dosi ridotte, era prodotto direttamente dalle cellule, rendendole autonome. La loro moltiplicazione risultava più lenta, ma molto più sostenibile e controllata. Signor Caster, mi segue?" A quel punto Caster ricordò che la sensazione che aveva provato nel sentire quella domanda fu simile al risveglio da un sonnellino pomeridiano, nel pieno di un sogno subito dimenticato. "Sì, certo" rispose, ma avrebbe voluto aggiungere che stava andando anche oltre con la mente. C'erano delle potenzialità impressionanti, pur non essendo un esperto, lo capiva anche lui.

"Ebbene, fin qui un gran bel passo in avanti, immagino che lei capisca bene l'importanza di disporre di cellule staminali plutipotenti in quantità. Ovviamente il nostro ricercatore, da sguattero di laboratorio, è così che vengono definiti dai senatori del laboratorio i novellini, passa al rango di astro nascente intorno al quale si concentrano attenzioni ed aspettative. Ma questo tipo di ricerche non possono essere affidate ad uno solo uomo, per quanto ostinato e geniale, quindi al nostro prodigio viene affiancato un vero e proprio team nel team come supporto. Dopo pochi mesi i risultati sui topi da laboratorio sono al limite dell'incredibile. Il passo successivo è stata la sperimentazione su maiali e scimmie, con risultati pressoché identici a quelli ottenuti con i roditori. Lei sa di che risultati parliamo signor Caster? Sa cosa si può fare con le staminali plutipotenti, vero? Che tipo di problemi sono in grado di risolvere?" A quel punto Caster ricordò di essere stato sul punto di cedere, di irrompere con domande, di ridere come un bambino, di chiedere a Tevray di smetterla. Ma riuscì a contenere quel fiume di emozioni e a rispondere in modo generico e, forse, ad apparire distaccato. Tevray riprese il filo del discorso dando risposta alle sue stesse domande:" Tutto. In teoria tutto. Il nostro genio è stato anche fortunato, perché senza nessun aggiustamento, se mi concede il termine, che avrebbe richiesto mesi o forse anni di lavoro, il sistema di moltiplicazione si autoregola: quando il numero di staminali, definite Pxen, scende al di sotto di un certo numero, queste si attivano per riportarlo a valori standard. In caso di ferita, per esempio, le staminali contribuiscono a riparare il danno, trasformandosi in cellule del tessuto da ricreare. Man mano che vengono usate, queste si moltiplicano per essere sempre disponibili. È un sistema pressoché perfetto, autonomo e che richiede solo quello che noi definiamo lo step iniziale. Questo step consiste nell'inoculare le staminali modificate nel soggetto; trascorse 36 ore da quel momento l'individuo trattato può considerarsi..." è qui anche nella sua ricostruzione mentale Caster si rifiutò di dire quella parola, così come aveva fatto fatica a sentirla mentre Tevray la diceva con così tanta facilità. Non aveva senso appuntare nulla, la biro era solo una piccola valvola di sfogo per tutta quella tensione e inquietudine. Ricordava di essersi guardato intorno e di aver visto gli altri impassibili, osservarlo per studiarne le reazioni, come se fosse una cavia da laboratorio, un dannato topo oggetto dei loro esperimenti. Il silenzio gli rimbombava nelle orecchie, quella sensazione la stava provando anche nella quiete del suo ufficio, dove il ritmato ticchettio dell'orologio fissato sulla parete alla sua destra scandiva pezzi di tempo che gli parevano diventare  sempre più lunghi. Non aveva mai provato un disagio simile, semplicemente perché non aveva mai ricevuto informazioni del genere. Non voleva ripensare a ciò che Tevray aveva detto dopo, perché se fino a quel momento era stordito, quasi mentalmente accecato da ciò che aveva sentito, il proseguio era stato cone precipitare sotto terra. " Ebbene, si, mi rendo conto che ciò che ho raccontato fino ad ora potrebbe apparire poco credibile, ma le assicuro che è tutto assolutamente vero. Ed è da questo punto in poi, signor Caster, che vorremmo che lei entrasse a farne parte. È il motivo per cui l'abbiamo invitata qui, il motivo per cui le ho raccontato del nostro prodigio, come si fa con un attore quando gli si vuole offrire una parte: gli si sottopone il copione sperando che lui accetti di interpretare il ruolo." Lui doveva far parte di quella storia, affascinante in teoria, ricorda che per alcuni minuti aveva pensato che gli proponessero di fare da cavia, di diventare... ma no, poi era arrivato tutto il resto della storia, anzi, la storia era finita ed ora era il turno dei progetti, del piano NexP. "Ebbene, tralasciando gli aspetti tecnici, che abbiamo già sinteticamente elencato nel documento che l'agente Migat le ha consegnato, quello che sto per spiegarle è essenzialmente un sogno. Il nostro sogno, al quale anche lei, se lo vorrà, potrà entrare a far parte. Stiamo parlando di ripartire da zero. Di, un giorno, aprire la porta ed uscire in un mondo nuovo, nostro, completamente libero da guerre, inquinamento, fame, morte. Per lei il lavoro sarà quello di portarci dalla fine al nuovo inizio senza intoppi, al sicuro. Perché appunto ci sarà una fine, un momento in cui dovremo rifugiarci al sicuro ad aspettare che la fase B del progetto sia terminata." Caster ricordò che a quel punto Tevray fece uno strano sorriso rivolgendosi agli altri partecipanti. Decise quindi di chiedere in che cosa consistesse questa fase B.

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