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Cominciammo a cercare Michelangelo tutti insieme, ma non se ne vedeva l’ombra così decidemmo di dividerci: - Ognuno per sé e chi lo trova avverte gli altri ok?-

-Ok-

Era stato Raffaello a proporre l’idea, e così ogni uno di noi perse strade diverse…

Io avevo preso la zona ad est rispetto a dove eravamo.

Guardai da per tutto: dietro i cespugli, dietro i muretti, mi arrampicai perfino sugli alberi…

Ma niente; di Michelangelo non c’era traccia.

Stavo per tornare avvilita al punto di partenza quando sentii un forte rumore; proveniente da un magazzino sulla mia destra, situato dietro alla palestra

“Quanto ci vuoi scommettere che…”

la porta era accostata; con uno po’ di agitazione in corpo aprì piano la porta e mi tolsi subito dalla visuale, nascondendomi dietro di essa…

Non sò che diavolo mi aspettassi di trovare…

Ma l’unica cosa che trovai fu proprio quel dormiglione di Mik che ronfava a tutto spiano.

Era letteralmente crollato su secchi, stracci e scope; sembrava che ci fosse svenuto sopra, perché quel magazzino era a soqquadro, con lui in mezzo che ronfava come un ghiro…

Con un risolino sommesso corsi ad avvisare gli altri che nel frattempo si erano riuniti di nuovo; ma senza successo

-Ragazzi venite, l’ho trovato! Era in un ripostiglio dietro alla palestra!-

I ragazzi mi corsero dietro e arrivati lì Raf e Seth volevano attuare un diabolico scherzo al povero Mik

-Ce ne ha fatte passare di tutti i colori; questa è la nostra occasione- sogghignò Seth

-Ma dai ti prego, anzi vi prego ragazzi così vi abbassate solo al suo livello.- li pregai io

-Sì infatti, è una tentazione grande, lo so anche io, ma fategli vedere che siete superiori a lui…- incoraggiò Donatello

-Giusto! Perché lo siete, vero?!- affermai

dopo averli convinti, Don e Raf lo portarono in camera sua, e il resto del gruppo si sciolse per andare ogni uno nella propria camera.

Arrivata nella camera in cui ero stata sistemata quando ero svenuta guardai l’orologio

“Sono quasi le sei…Non so quanto mi convenga dormire…”

se c’era una cosa che avevo imparato bene osservando i turni di mia madre è che se devi fare solo un’ora di sonno ti conviene desistere; perché poi sarai più stanca di quando ti eri messa giù.

Mia madre…

Chissà come stava, mi tornavano alla mente tutte le mattine in cui mi ero svegliata per andarla a salutare; lei poi con voce dolce mi diceva:

Dai tesoro, vai a letto che è ancora molto presto!

in effetti poi non era così presto perché la mamma ci svegliava due ore dopo per andare a scuola…

Mia madre me la ricordavo bellissima, un po’ in carne, la pelle scura come la mia; i capelli ricci, di medio taglio, e neri. E poi gli occhi.

Gli occhi  di mia madre erano di un azzurro intensissimo, ma sempre allegri.

Mi dicevano spesso che ero la sua fotocopia, mi avvicinai allo specchio:

“Bè tutto sommato è vero!”, mamma sembrava più giovane della sua età;

“è merito mio se tua madre è ancora così! Perché io la tratto molto bene!”

a papà piaceva dirlo, e mamma lo contraddiceva o lo guardava ridendo come se avesse detto una barzelletta, a lui infondo piaceva scherzare, papà era uno atletico, sul metro e ottanta, mentre mamma era uno e sessanta, papà aveva i capelli corti un po’ a caschetto, biondi; e gli occhi verdi, in realtà cambiavano colore al sole azzurri all’ombra verdi…

Una volta da bambina chiesi a mia madre perché gli occhi di papà cambiassero colore, lei ridendo mi aveva riposto che era un effetto della luce.

La luce, la vita, gli animali… Papà diceva sempre che il mondo è tutto da scoprire e non valeva la pena di stare in casa o andare a scuola si imperava di più fuori…

E mamma si arrabbiava sempre per questo suo dire alla Jean Jaques Rousseau; infatti papà ne era un patito.

Adorava Rousseau, era uno studioso proprio come il filosofo, però lui studiava gli animali, lavorava per il parco biologico di Roma e quando era studente all’università aveva vinto un viaggio in Africa con diverse tappe al suo interno…

E fu proprio allora che conobbe la mamma: papà si era fatto male durante un’esplorazione nel sud del Marocco, lo portarono all’ospedale del posto, ne risultò una frattura e fu mamma ad occuparsi del paziente…

Una volta guarito papà andava a trovarla spesso; quella di mia madre era una famiglia musulmana molto all’avanguardia…

Però quando seppero che lei si era fidanzata con un Italiano senza il loro permesso andarono su tutte le furie, e tagliarono tutti i contatti, ma solo i genitori: infatti grazie alle zie e gli zii, tre femmine (mamma compresa) e due fratelli, si riallacciarono i rapporti e piano, piano; ridiventammo una famiglia unita quando io avevo appena tre anni e Malika doveva ancora nascere.

*DRIIIIN*

-MALEDIZIONE!-

Avevo sempre odiato le sveglie.

Perché mi prendevano sempre di soprassalto, e questa non era stata da meno… Erano le sette

-Arrivo, arrivo! Che diavolo! Datte pace!!!-

La spensi infuriata, andai all’armadio, lo aprii e con mia grande meraviglia vidi una sfilza infinita di vestiti e scarpe, dato che non avevo niente da mettermi, e non mi andava di rimanere con quel vestito, scelsi una paio di jeans blu chiaro lunghi, una maglietta a maniche corte azzurra con una ballerina stampata sopra e una paio di scarpe da ginnastica; per fortuna era tutto della mia taglia… Non ero proprio un grissino ma non ero di certo così grossa da essere un elefante…

Ero solo 10 kili fuori forma, accumulati dopo la morte di mia sorella; mi cambiai e fu solo allora che vidi una porticina in disparte nella stanza; la aprì e c’erano i servizi igienici essenziali: un lavandino, una doccia, un water e, incredibilmente, un bidè.

Lavata e vestita uscii e andai dritta verso la mensa, stavolta piuttosto affollata.

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