CAPITOLO 7

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Sanem

Rimasi a fissare quegli occhi profondi come la notte come un'ebete, per fortuna la paura di cadere era ancora dipinta sul mio volto e questo mi permise di mascherare perfettamente quello che realmente stavo provando. Cosa stavo provando? Non lo sapevo, era una sensazione strana, sconosciuta ma allo stesso tempo mi sembrò di sentire un campanello d'allarme. Continuai a rimanere aggrappata alle sue braccia possenti e lui non sembrava volermi lasciare andare. Le sue mani erano poggiate dietro la mia schiena ma senza fare pressione. Chiunque ci avesse visto avrebbe pensato che ci stavamo abbracciando.
Mi chiese se stessi bene e risposi di sì, anche se il mio cuore batteva forte. Sicuramente per la paura.

«Devi esserti spaventata» aggiunse, mentre io non riuscii a dire nulla e feci solo cenno di sì con la testa. Continuava a tenermi fra le sue braccia ed io non riuscivo a muovermi. Non volevo muovermi.

«Per fortuna ti ho presa in tempo o mi sarei dovuto gettare in acqua per salvarti» disse continuando a fissarmi negli occhi.

«Già!» risposi non riuscendo a dire altro. Che mi stava succedendo?

"Davvero si sarebbe gettato in acqua per salvarmi?" pensai, immaginando la scena per una frazione di secondo. "Ah, Sanem, smettila!"

I nostri telefoni presero a squillare contemporaneamente. Ci staccammo. A lui non sembrava interessare chi lo stesse cercando, mentre io colsi la palla al balzo per distaccarmi da lui e tornare a respirare regolarmente. Mi allontanai quel tanto per rispondere al telefono.

«Ciao, Ayhan!»

«Ciao, Sanem! Ascolta, ho bisogno di chiederti un favore. Devi accompagnarmi alla festa. Denise mi ha dato buca e come sai conosco i miei colleghi da poco. Ti prego, vieni con me, almeno ho un'amica al mio fianco!» m'implorò.

«Ayhan, ma cosa c'entro io con quella gente?»

«Ti prego, non lasciarmi andare da sola! Ti prometto che appena ti annoierai andremo via» insisté Ayhan.

«D'accordo, ti accompagno, ma non ho niente di elegante da mettere» risposi, sperando che questa mia assurda frase la facesse desistere.

«Non importa, metti un semplice vestito e un paio di tacchi, andrai benissimo.»

Come non detto! «Ok, ci vediamo tra poco, allora!» esclamai svogliatamente, chiudendo poi la chiamata.

Mi voltai e lui mi stava guardando. Mi avvicinai per salutarlo e ringraziarlo di nuovo per avermi salvata.

«Dovere. Lo avrei fatto con chiunque» rispose, facendomi chiaramente capire che era stato solamente un caso fortuito l'essermi ritrovata fra le sue braccia.

"Ovvio, stupida!" confermò la mia voce interiore che di tanto in tanto m'infastidiva.

«Certo!» esclamai, voltandomi a guardare il mare per scacciare via quella strana illusione apparsa scioccamente nella mia mente. Come avevo potuto pensare che quegli occhi mi avessero scrutato per altri motivi? Erano stati solo pochi istanti, non significava nulla.

Lo salutai e a passo svelto mi allontanai da lui e da ogni illusione. Dopo tutto non era neanche il mio tipo.

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«Ah, però, guarda guarda! Menomale che non avevi nulla di elegante da mettere» disse Ayhan appena le aprii la porta di casa.

Avevo indossato un vestito corto argentato e delle decolleté che già mi stavano massacrando i piedi. Avevo cercato di truccarmi senza esagerare ma evidenziando i miei lineamenti. Non è che mi sentissi a mio agio acchittata così ma lo avevo fatto per la mia migliore amica.

Raggiungemmo l'agenzia in cui lavorava. La festa si svolgeva all'ultimo piano dove c'erano delle sale realizzate a posta per gli avvenimenti mondani. Ayhan salutò alcune persone, sicuramente colleghi, per poi trascinarmi all'ascensore. Mentre le porte stavano per chiudersi, un ragazzo non molto alto e con dei baffi nerissimi riuscì ad intrufolarsi.

«Buonasera, belle ragazze! Come siete eleganti!» disse sorridendo e guardando la mia amica. «Ayhan, come sei raggiante!»

I suoi occhi non smettevano di fissarla mentre lei divenne porpora in viso. Mi voltai per non scoppiare a ridere ma Ayhan se ne accorse e mi diede uno spintone.

«Ti ringrazio, CeyCey! Però, credo che se continui a guardarmi mi consumi» rispose lei ed io non potei più trattenermi dal ridere. Ma poi, che nome era CeyCey?

Per fortuna le porte dell'ascensore si aprirono. Il tipo strano non se ne accorse e Ayhan gli passò davanti tirandomi con sé.

«Perché sei stata così scortese?» le chiesi. Mi veniva ancora da ridere.

«Ma l'hai visto, Sanem?»

«Sì, e cosa c'è di male?»

«Lo sai che odio quando qualcuno mi fissa con insistenza, e poi...»

«E poi?»

«E poi è un collega, non voglio che si faccia strane idee» rispose arrossendo di nuovo.

«E perché allora sei diventata rossa?» la punzecchiai.

«Ma cosa dici? E' il caldo. Non senti come fa caldo qui?» rispose, sventolandosi con una mano. «Dai, vieni, ti presento alcune colleghe!»

La sala era gremita, sicuramente erano tutti dipendenti dell'azienda, che doveva essere davvero grande per quanta gente fosse presente. Notai che le donne indossavano abiti lunghi eleganti, vestiti succinti, a mio avviso poco consoni alla circostanza. Era pur sempre una festa aziendale. Mi sentii più a mio agio ed anche meno fuori luogo quando Ayhan mi presentò alcuni colleghi. Erano cordiali e simpatici, sembrava di essere tra amici.
Lei faceva parte di una squadra di creativi ma essendo l'ultima arrivata, da ciò che mi aveva raccontato, talvolta svolgeva anche la mansione di "tuttofare".

«Questo è perché non conoscevi nessuno!» le bisbigliai all'orecchio, vedendo quanto si divertisse.

«Volevo che passassi anche tu una serata diversa. Puoi perdonarmi?» mi rispose sorridendo.

Pensai che quella sera sarebbe stata comunque diversa. La mia mente tornò alla scogliera e il mio cuore prese a battere un po' di più.

«Va bene, ti perdono!» esclamai, restituendole il sorriso e stornando il pensiero dalle sensazioni che avevo provato fra le braccia di quello sconosciuto.

«Sanem, c'è il mio capo. Ti dispiace se vado a salutarlo? Ritorno subito» disse Ayhan, lasciandomi con una certa Guliz che non smetteva di parlare con un'altra collega.

Mi voltai, la sala era ancora più gremita, una musica soft in sottofondo accompagnava il vociare dei presenti, camerieri di tutto punto servivano drink e stuzzichini. Le donne chiacchieravano tra loro ridendo e sfoggiando la loro mise, soprattutto era evidente chi voleva far colpo su qualcuno. Gli uomini, invece, nei loro abiti eleganti, discutevano sicuramente di lavoro.

E poi lo vidi. Non aveva lo smoking, né giacca e cravatta, ma una maglia con un soprabito sul quale portava una sorta di tracolla. Eppure, quell'abbigliamento così informale gli conferiva a suo modo un'aria elegante. Stava sorridendo ad un uomo dai capelli bianchi, per poi voltarsi e guardarsi intorno. Nonostante la distanza fra noi non fosse poca e ci fossero molte persone, i nostri occhi s'incrociarono rimanendo incatenati e stupiti. E il mio cuore riprese a battere impazzito.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora