Can
Sul volo per l'Italia, lei guardava fuori dall'oblò, perdendosi col pensiero oltre le nuvole, per poi tornare ad accoccolarsi fra le mie braccia mentre io la stringevo forte a me.
Avevo anticipato la partenza e avevo portato con me Sanem, o per meglio dire, era stata lei a chiedermi di portarla via.
La sera precedente, insieme ad Ayhan e a Muzo, avevamo messo in atto il piano di fuga. Loro due avevano bussato alla porta di casa Aydin con la scusa di voler salutare Sanem, la quale, durante la cena, aveva messo in scena un forte mal di testa ritirandosi in camera sua. Il signor Nihat aveva detto ai due ragazzi che per quella sera non avrebbero potuto vedere la loro amica. Ovviamente, la loro simpatia e le loro chiacchiere avevano costretto i signori Aydin a farli entrare in casa e Muzo era riuscito a bloccare, col suo strambo modo di fare, Yiğit che voleva andare via. Questo sarebbe stato di intralcio alla fuga di Sanem che si era calata dalla finestra della sua camera finendo direttamente fra le mie braccia. Mi aveva stretto forte, al punto che potevo sentire il suo cuore battere per l’agitazione.
«Portami via!» aveva esclamato.
«Andiamo!» Le avevo preso la mano dirigendoci verso la mia auto parcheggiata poco distante. Eravamo corsi dritto verso casa mia dove avevamo aspettato l’alba per poter poi raggiungere l'aeroporto. Ayhan aveva preparato una borsa per Sanem con alcuni vestiti che lasciava solitamente dall’amica per quelle volte che rimaneva a dormire da lei. Il resto lo avremmo comprato in Italia.
Eravamo rimasti tutta la notte abbracciati sul divano, Sanem si era addormentata fra le mie braccia mentre io mi ero appisolato appena un paio d’ore. Avevo trovato il messaggio di Ayhan che mi confermava di aver risistemato le lenzuola che Sanem aveva usato per calarsi dalla finestra; con la scusa di andare in bagno si era intrufolata in camera dell’amica e aveva rimesso a posto tutto.
“Abbi cura di lei!” mi aveva poi scritto. Sorrisi, pensando che non volevo altro che stare accanto alla mia ragazza e proteggerla.
In aeroporto ci aveva accompagnati Emre, ancora sbalordito per la storia che gli avevo raccontato un paio di giorni prima. Gli avevo detto di Sanem e di come quella ragazza mi avesse fatto perdere la testa. Era rimasto a fissarmi senza riuscire a dire una parola. A quanto pare ero davvero cambiato!
Arrivammo in Italia e ci dirigemmo a casa di mia cugina che accolse Sanem calorosamente. Avevo accennato a Cassandra che sarei arrivato in anticipo e non da solo, non aveva fatto molte domande ma una volta lì le raccontai tutto. Per fortuna conosceva abbastanza bene il turco da poter parlare anche con Sanem.
«Ho parlato con Ayhan. I miei genitori stanno impazzendo e Yiğit è su tutte le furie» mi informò. «Ha detto che parlerà con loro e gli dirà della mia fuga ma senza dirgli dove sono. Forse così potranno tranquillizzarsi. Spero non la costringano a dire la verità!»
«Non lo farà, Ayhan non ti tradirà» la rassicurai accarezzandole le guance.
Fummo interrotti dalle due piccole pesti, Vera di 5 anni e Bernardo di 2 anni, che si affezionarono a Sanem sin da subito, nonostante non parlassero la stessa lingua. Tra loro nacque una sintonia tale che si capivano a gesti e Sanem, in quei momenti, dimenticava ciò che la turbava. Vera aveva chiesto alla mamma di far dormire la sua nuova "amica" con lei e Sanem non aveva saputo dire di no, mentre io avrei dormito sul divano in salotto. Durante la notte mi alzavo e mi affacciavo in quella cameretta tutta rosa e sorridevo vedendo la mia ragazza dalla pelle di luna dormire beatamente come una bambina.
La portai in giro per la città, organizzavo gite che potessero distrarla e alleviarle la tristezza che aveva dentro. Le sue risate erano la dimostrazione che riuscivo a renderla felice.
Dal testamento di mia nonna, apprendemmo che aveva lasciato tutti i suoi beni a me e a Cassandra. A lei rimaneva una cospicua somma di denaro, mentre a me aveva lasciato la sua casa in campagna poco fuori città. Adoravo quell’abitazione, spesso al ritorno dai miei viaggi era lì che mi rifugiavo. Le cure amorevoli di mia nonna erano un toccasana e quel posto, isolato dal caos metropolitano, mi rimetteva in sesto.
Ci portai Sanem che rimase estasiata dai campi di grano che circondavano la tenuta e dalla semplice bellezza di quella piccola casetta sulle sponde di un ruscello.
«Can, è un sogno!» esclamò respirando l’aria pura.
«Se vuoi potremmo restare qui ancora un po’» le proposi.
«Vuoi dire qui, in questo posto?» chiese incantata mentre i suoi occhi non smettevano di osservare la natura intorno.
Feci cenno di sì e l’abbracciai da dietro. Avvolse le mie braccia e poggiò la testa al mio petto.
«Sarebbe fantastico!» esclamò.
Entrammo in casa attraversando il piccolo patio. Era tutto pulito. Cettina, una delle vicine di nonna Yıldız, una volta a settimana si occupava ancora di mantenere pulita la casa.
«L’ho promesso a tua nonna, Can. Mi ha sempre detto che quando lei non ci sarebbe stata più, questa casa avrebbe dovuto splendere lo stesso per quando saresti tornato» aveva detto la donna con un velo di malinconia dandomi le chiavi che mia nonna le aveva lasciato.
Il piccolo salotto aveva delle enormi finestre che illuminavano la stanza nella quale c’erano un divano e il camino spento in un angolo. Adiacente, c’era la cucina e sulla sinistra due camere e il bagno.
«Tu starai qui» dissi a Sanem indicandole la camera che solitamente occupavo io.
«E tu dove dormirai?»
«Mi adatterò sul divano, è molto comodo» la rassicurai.
«Potremmo… dormire insieme» propose con un leggero imbarazzo. «Abbiamo già condiviso il letto a Bursa.»
«Lì, però, non eravamo soli» le ricordai.
Lei mi guardò, capendo perfettamente a cosa alludessi e la vidi arrossire.
«Vado a prendere le borse in macchina» dissi per evitare di restare ulteriormente in quella pericolosa situazione.
«Cosa? Avevi già previsto tutto?» chiese stupita mentre io le risposi con un malizioso sorriso.
Uscimmo per andare a fare un po’ di spesa, in casa non c’era niente. Cassandra mi aveva prestato la sua auto, lei avrebbe utilizzato quella di suo marito. Pranzammo, per poi accoccolarci sul divano. La vicinanza di Sanem mi stava facendo perdere la testa, eravamo soli e se non mi fossi scostato sarei impazzito. Mi chiesi come le avrei resistito in quei giorni.
Lei rimase seduta con le mani in grembo volgendo il suo sguardo verso me. Mi voltai verso di lei con tutto il corpo, tenendo una gamba piegata a metà sul divano, e le accarezzai il viso. Le nostre labbra furono un richiamo impossibile da ignorare e ci ritrovammo incollati col respiro corto. Senza rendermene conto, come fosse stata una reazione naturale e involontaria, mi spinsi completamente verso Sanem facendola stendere sotto al mio corpo che tremava come una foglia. Le nostre bocche si cercavano avidamente, mentre le mie mani percorsero con una leggera carezza le sue braccia. Avvertivo il suo petto alzarsi e abbassarsi affannoso contro il mio.
«Can… aspetta!» m’implorò spingendomi per le spalle. Mi fermai e la osservai.
«Devo dirti una cosa.»
Tremava, ma capii che finalmente si sarebbe aperta completamente a me senza nascondermi più niente.
Mi sollevai e aspettai che parlasse.
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L'odore del pane
RomanceUna storia dolce, semplice, dalle sfumature romantiche. Una serie di incontri casuali che fanno pensare sia opera del destino ma che regaleranno a Can e Sanem emozioni mai provate prima. S'innamoreranno al primo sguardo? Chissà...