Sanem
Guardai i miei genitori e poi di nuovo quell’uomo che stava rovinando la mia vita. Si alzò e si avvicinò per salutarmi. Girai il viso rapidamente permettendogli di baciarmi solo la guancia. Quelle rare volte che era stato a Bursa, non aveva mai tentato un approccio che potesse infastidirmi, non aveva mai preteso né baci né si era azzardato a farmi una carezza. Chi ci vedeva avrebbe pensato che eravamo due buoni amici. Questo suo comportamento mi aveva stupito e al tempo stesso incusso timore. Mi aveva detto che avrebbe rispettato i miei tempi e che si sarebbe comportato come un gentiluomo. Gliene ero stata grata ma dentro di me sapevo che prima o poi avrebbe preteso qualcosa.
«Cosa ci fai qui?» chiesi fredda. Ormai non avevo più paura di nulla dopo aver parlato con i miei genitori. Lo avevo tenuto buono per un mese ma adesso era arrivato il momento di affrontare anche lui.
«Tua madre mi ha invitato a cena. In verità, quando mi ha detto che eri tornata ad Istanbul sono corso subito qui. Come stai? Sono contento che tu sia qui.»
“Io no!” pensai, ma lo tenni per me.
Mi sedetti a tavola e lanciai uno sguardo torvo a mia madre che sembrava contenta, come se per altro quella mattina non avessi detto nulla.
Mio padre se ne stava in silenzio e ciò che più iniziò a farmi infuriare fu proprio la sua reazione impassibile. Non riuscivo a capirlo.
Dopo minuti di silenzio assoluto, dove si sentiva solo il rumore delle stoviglie e delle pentole, mia madre servì la cena.
«Signor Nihat, signora Mevkibe, se mi consentite, prima di cominciare a cenare, vorrei fare un annuncio» disse Yiğit.
Sentii come un nodo alla gola, non riuscivo a respirare.
I miei genitori gli fecero segno di parlare.
«Come sapete, mancano solo due mesi al matrimonio, ma… vorrei che abbreviassimo ulteriormente i tempi.»
Mi stavo sentendo male. Mi portai una mano alla gola.
«Vorrei che il matrimonio avvenisse fra due settimane, se siete d’accordo. Non m’importa di tutte le tradizioni e di tutto ciò che si farebbe prima delle nozze. Col vostro permesso, vi chiedo di concedermi vostra figlia prima di quanto stabilito. Cosa ne pensi, Sanem?»
Tremavo, mi sentivo braccata, la mia mente si era improvvisamente svuotata.
«Per noi va bene!» acconsentì mia madre.
«Tu, Sanem, cosa ne pensi?» mi chiese di nuovo Yiğit.
Un debole “no” uscì dalle mie labbra. Mi fissavano tutti. «Non voglio!»
«Se vuoi possiamo aspettare tre settimane o anche i due mesi, non ci sono problemi, Sanem» disse Yiğit che sembrava non voler capire il mio rifiuto.
«Ho detto: NO. Non voglio sposarti, né fra due settimane, né fra due mesi, né fra mille anni. Non ti voglio, Yiğit, né ora né mai.» Finalmente riuscii a pronunciare quelle parole.
«Sanem, cosa dici?» chiese lui stringendo i pugni.
«Sono a conoscenza di ciò che hai detto alla mia famiglia e mi fai schifo. Sei un vile che ha giocato le sue carte conoscendo il loro punto debole. Ma non permetterò che tu rovini la mia vita. Io non sarò mai tua moglie. Mettitelo bene in testa. MAI!»
Un silenzio assordante anticipò le urla di mia madre che mi costrinse di nuovo ad andare in camera mia. Mi chiusi a chiave e non le permisi di entrare quando salì poco dopo.
«Sanem Aydin, tu non ci coprirai di vergogna. Mi senti?» urlò fuori la porta. «Fra due settimane ti sposerai, che tu lo voglia o no.»
Perché? Perché non capiva? Perché era così “chiusa”? Odiavo Yiğit con tutta me stessa e odiavo me per essere stata così stupida da avergli donato ciò che di più prezioso abbia una donna, quella virtù che una volta concessa non tornerà più. E piansi amaramente per questo, mi sentivo come una foglia staccatasi dal ramo e che viene trasportata via dal vento verso chissà quale destino. Mi sentii improvvisamente “sporca”, non più degna di essere amata come avevo sempre desiderato. Pensai a Can: chissà se avrebbe continuato a guardarmi con gli stessi occhi e la stessa dolcezza. Sarei diventata come tutte le altre? Questo pensiero mi attanagliò la mente per tutta la notte.
Solo all'alba ritornai ad essere più lucida. Avevo preferito non mandare alcun messaggio a Can di quanto era avvenuto la sera, temevo che potesse fare qualche sciocchezza e correre dai miei genitori, ora che gli avevo detto che sapevano di lui.
Iniziai a pensare che scappare di casa sarebbe stata la soluzione, di persone pronte ad aiutarmi ce n'erano: a parte Can, mia nonna avrebbe affrontato mia madre senza problemi, Ayhan e Mihriban sicuramente mi avrebbero accolta senza esitare. Sì, decisi che il primo passo era quello di fuggire, per far capire che non ero disposta a rinunciare alla mia vita.
Presi solo il telefono nascondendolo nella tasca del pantalone, indossai una maglietta e un paio di scarpette e scesi silenziosamente le scale fino alla porta d'ingresso. Era chiusa a chiave e le chiavi non erano al loro solito posto. Sbuffai ma non mi avvilii. Passai dalla cucina ed uscii in giardino, ma anche il cancello di ferro che lo separava dalla strada era chiuso ed era impossibile scavalcarlo. Poi, una voce mi fece tremare.
«Dove pensavi di scappare?»
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L'odore del pane
RomanceUna storia dolce, semplice, dalle sfumature romantiche. Una serie di incontri casuali che fanno pensare sia opera del destino ma che regaleranno a Can e Sanem emozioni mai provate prima. S'innamoreranno al primo sguardo? Chissà...