CAPITOLO 14

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Sanem

Quella notte non riuscii a chiudere occhio facilmente. Pensavo a lui costantemente, seppure le sue parole mi avevano ferita, nonostante poi avesse cercato di rimediare dicendo che ballare con me era stata l'unica cosa più bella di quella serata. Dovevo credergli? Cercai di non pensare a lui, a quello sconosciuto di cui non sapevo neanche il nome. Sicuramente non ci saremmo rivisti ed era meglio non fantasticare, per di più che non era il mio tipo e dopo ciò che avevo visto ne fui ancora più convinta, anche se era stato fin troppo galante e premuroso nei miei confronti, dapprima alla scogliera e poi invitandomi a ballare, ma probabilmente l'aveva fatto per evitare di annoiarsi. Tra uno sbuffo e un sospiro, finalmente presi sonno.

La mattina seguente mi svegliai con calma, era il mio giorno di riposo.
A colazione notai che i miei genitori avevano un'aria strana, mi guardavano di sottecchi per poi chiacchierare del più e del meno. Cercai di non fare caso a loro e consumai la mia colazione in silenzio.

«Tutto bene, Sanem? Come mai sei così silenziosa questa mattina?» mi chiese mio padre.

Effettivamente era strano che non aprissi bocca, solitamente dovevano usare qualche stratagemma per farmi smettere di parlare.

«Non voglio interrompere le vostre chiacchiere» mi giustificai.

Mi guardarono sbalorditi.

«Ti senti bene?» chiese preoccupata mia madre.

«Ha ha!» esclamai, alzandomi poi e iniziando a sparecchiare. «Ci penso io alla cucina, voi andate pure a lavoro.»

Continuarono ad osservarmi basiti ma non aggiunsero altro.

"E se stamattina tornerà a comprare il pane?" pensai con un nodo in gola.

“Non hai detto che non è il tuo tipo?” disse la mia cara Voce impicciona.

«Ora anche i pensieri ascolti?» risposi a voce alta. Per fortuna i miei erano andati via.

“Io sono la tua coscienza. Conosco ciò che dici prima ancora che tu lo pensi.”

«No. Tu non sei la mia coscienza, tu sei una tarantola fastidiosa che compare nei momenti meno opportuni.»

“Pensala come vuoi, fatto sta che quel tipo ti piace.”

«Non dire stupidaggini, adesso!»

“E allora perché lo pensi?”

«Non penso a lui ma a come si è comportato.»

“Bene, direi!”

«Indubbiamente!» Non potei che darle ragione.

“Chissà se davvero gli ha fatto piacere ballare con te!”

«Lo vedi? Così non mi sei d'aiuto. Sei soltanto un'impicciona.»

“Ooohh, vedi allora che ho ragione? T'importa e come di...”

«Ssshh, ora basta, zitta e vattene!» protestai fissando arrabbiata un punto alto in cucina.

Il telefono di casa squillò. Era mia nonna. Restammo a parlare per quasi un'ora. Mi chiese di nuovo quando sarei andata a trovarla.

«Perché non vieni qui un paio di giorni, Sanem? Mi manchi tanto, nipotina mia!»

Nonna Ateş viveva a Bursa, non era così vicino, ma in quel momento sentii di voler evadere dalla mia quotidianità, da quegli ultimi eventi che mi avevano scossa dentro. E soprattutto, avevo bisogno di non pensare a lui.

Corsi alla panetteria e avvisai Muzo che sarei mancata anche i due giorni successivi.

«Sanem, perché non ti prendi libera tutta la settimana? Ci penso io qui» intervenne Denise.

«Ma come farete?» chiesi preoccupata.

«Hai ragione, al massimo andremo in fallimento» rispose Muzo, esplodendo poi in una fragorosa risata.

«Va bene! Ti ringrazio, Denise. Ascolta... non è che stamattina...» mi bloccai.

«Cosa, Sanem?»

Avrei voluto chiederle se fosse entrato un ragazzo alto, moro, muscoloso, con due occhi meravigliosi. «Nulla, lascia stare!»

Chiederle se avesse visto il "mio" sconosciuto avrebbe significato metterle una pulce nell'orecchio e darmi poi filo da torcere.

«A proposito di stamattina, sai che...» s'interruppe avanzando dietro il bancone.

«Cosa?» chiesi mentre il mio cuore fece un sussulto, guardandola con la speranza che mi dicesse che qualcuno era stato lì e avesse chiesto di me.

«... abbiamo sfornato questo. Ecco! E' il pane che piace tanto a tua nonna, ricordo bene?»

“Aaah, Denise, mi hai fatto perdere un battito!”

«Sì, quello con le ciliegie» confermai poi, prendendo dalle sue mani il pezzo di pane che mia nonna avrebbe sicuramente gradito.

Dopo aver avvisato anche i miei genitori ed aver prenotato su internet il biglietto del treno per quel pomeriggio, corsi a casa e preparai la valigia.

Prima di pranzo, mi recai alla scogliera. Sapevo che non avrei trovato nessuno ma un piccolo barlume di speranza rimase acceso.

Can

Non feci che pensare a lei per tutta la notte, ai suoi occhi timidi e dolci, al suo profumo che aleggiava ancora nella mia testa come un qualcosa di materiale che si potesse vedere e toccare. La mia mente vagava dal ballo alla scogliera, fino a ricordarmi dell'incontro di quella mattina alla panetteria. Decisi che sarei andato di nuovo lì a comprare il pane l'indomani mattina, se mio padre non avesse sconvolto il mio programma.

Dopo una notte quasi in bianco, ma cullato dal dolce pensiero di quella ragazza meravigliosa, Emre piombò in camera mia avvisandomi che nostro padre si sarebbe trattenuto con noi fino al pomeriggio prima di partire per Ankara.
Mi alzai e raggiunsi la cucina dove il vecchio, ma sempre energico, Aziz aveva preparato una sontuosa colazione da non poter rifiutare.
Mi disse che aveva rinviato un'importante riunione all'indomani e che voleva trascorrere quelle poche ore insieme ai suoi figli.

«Mi dispiace essere poco presente nelle vostre vite. Non sapete quante volte ho pensato di lasciare tutto e godermi i miei ultimi anni di vita insieme a voi.»

«Ma va', papà, non sei poi così vecchio» esclamò Emre.

«Ecco, ed è proprio questo che mi fa desistere» rispose mio padre esplodendo in una risata.

«A parte gli scherzi, davvero sto pensando di mollare tutto e tornare definitivamente ad Istanbul. Voglio sul serio godermi la vita e magari fare qualche viaggio di piacere e non più di lavoro. Potrei venire con te, Can, imbracciare anch'io una macchina fotografica e seguirti.»

«Vuoi rubarmi il lavoro, papà?» dissi scherzoso e sorridendo.

«Se non fossi il fotografo più richiesto a livello internazionale lo farei, ma non riuscirei mai a competere con te. Quindi, lascio a te la fama e l'onore di essere il fotografo/reporter più ricercato e ambito al mondo.»

Ridemmo tutti.

«Venite qui tutti e due!» disse poi mio padre, abbracciandoci entrambi.

Nonostante fossi felice della presenza di mio padre ancora per qualche ora, mi rammaricava non poter uscire e raggiungere il luogo dei miei desideri.

«Vi va una passeggiata sul lungomare? E' da tanto che manco.»

«E' un'ottima idea, papà» rispose Emre.

Fantastico! Una volta lì, avrei trovato il modo per allontanarmi un attimo. Volevo solamente rivedere quegli occhi che non riuscivo a smettere di pensare.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora