CAPITOLO 21

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Can

La mattina seguente mi svegliai con un unico pensiero: rivedere Sanem. Mi aspettava alla panetteria solo per restituirci ciò che non era nostro. La sera precedente mi ero illuso che la mia compagnia le facesse piacere, ma forse, in quel momento, aveva solo bisogno di una spalla a cui appoggiarsi e probabilmente sarebbe stato lo stesso se quella spalla gliel’avesse porta qualcun altro. Abbracciarla era stato un azzardo, infatti si era ritratta subito dopo, seppure avevamo poi riso e scherzato.

“Ah, Can, come puoi pensare che lei abbia interesse per te?!” Di nuovo mi sembrò si sentire una voce fuori campo. Allah, quella ragazza mi mandava in confusione.

Mi preparai e arrivai alla panetteria che aveva ancora il cartello con scritto CHIUSO, benché la saracinesca fosse già alzata e ciò mi permise di sbirciare all’interno. Sanem stava sistemando diverse forme di pane nelle vetrine. Sorrisi nel vedere quel viso che finalmente mi parve rilassato rispetto alla sera prima. Bussai sul vetro della porta e lei alzò subito lo sguardo. Forse fu solo un tenue raggio di sole a colpirla perché il suo viso parve per un attimo arrossire.

«Ciao!» salutò venendo ad aprirmi. «Presto, entra prima che ti veda qualcuno!» E richiuse frettolosamente la porta.

«Cosa succede?» chiesi quasi divertito.

«Succede che l’apertura è tra mezz’ora e se qualcuno ti vede sono costretta ad aprire ora» rispose mentre continuava a sbirciare fuori.

«Tranquilla, non c’è anima viva, anzi sveglia, per strada!»

«Menomale!»

«E comunque, ciao anche a te!» dissi sorridendo. «Mi fa piacere vedere che stai meglio.»

«Sì, il mare ieri mi ha rasserenata.»

«Il mare…» feci eco, un po’ deluso da quell’affermazione.

«Sì, quando sono giù vado sempre lì e tutto torna a posto» disse riprendendo a sistemare il pane.

«Capisco!»

«Però, devo ringraziare anche te. Mi ha fatto bene chiacchierare con te.»

«Figurati! Per me è…» Non conclusi la frase che dal retro uscì il tipo strano con in testa una cuffia dalla quale fuoriuscivano ribelli alcune ciocche di capelli da farlo sembrare un clown. Mi trattenni dal ridere.

«Sanem, sono pronti i simit. Ah!» si bloccò non appena mi vide. «Buongiorno! Sanem, ma non siamo ancora chiusi?»

«Sì, Muzo, ma lui è…»

Capii che non sapeva come definirmi. In fondo, cos’eravamo? Nemmeno amici.

«Sono Can!» mi presentai.

«Can!» fece eco Muzo.

«Sì, lui è Can!» ripeté Sanem.

«Ho capito che è Can. Ma chi è Can?»

«E’…» Sanem si bloccò di nuovo.

«Sono un suo amico» risposi d’impulso per mettere fine a quel teatrino e soprattutto per restare ancora un po’ da solo con lei.

«Tu… sì, io e lui siamo… a-amici» balbettò Sanem.

«E come mai io non lo conosco se è tuo amico?»

«Perché… ci siamo conosciuti… cioè, non puoi mica conoscere tutti i miei amici?!»

«Ah, ragazza mia, tu sei strana delle volte» disse Muzo esplodendo in una sonora risata che mi contagiò. «Bene, amico di Sanem, io devo tornare di là, scusami. Ti lascio con questa matta che sembra ubriaca di prima mattina.» Andò via continuando a ridere fragorosamente.

Anche io non riuscivo a smettere di sorridere finché Sanem non puntò il suo viso evidentemente imbarazzato verso me.

«A quanto pare non è l’alcool a farti questo effetto!»

«Quale effetto?» chiese quasi imbronciata.

«Anche alla festa non sapevi cosa dire, dando la colpa a ciò che stavi bevendo» le ricordai.

Vidi il suo viso avvampare. «Ma quello era davvero alcolico.»

«Ho bevuto la stessa cosa tua e, fidati, non lo era!» dissi diretto e facendole l’occhiolino per farle capire che non era di certo un rimprovero e che avevo intuito quanto certe situazioni la imbarazzassero.

Divenne ancora più rossa e sembrò quasi minacciarmi. La vidi voltarsi verso una mensola e prendere qualcosa.

«Ecco il tuo resto!» disse porgendomi delle monete nel palmo della mano. «Ora vorrei il mio libro!»

Si era arrabbiata? Lungi da me dal volere quello! Dovevo rimediare.

«Mi dispiace!» esclamai.

Corrugò la fronte non capendo.

«Per quello che ho appena detto. Non volevo offenderti! Però, quando sei in imbarazzo mi fai ridere e il tuo rossore ti rende ancora più… più bella!» dissi serio.

Davvero le avevo fatto un complimento? In un istante quello imbarazzato divenni io, che se fosse entrato qualcuno in quel momento ci avrebbe scambiato per due lampade incandescenti.

Restammo a fissarci, i nostri occhi erano come due calamite. Improvvisamente sentimmo altre voci provenire dal retro.

«Dev’essere arrivata Denise» disse Sanem.

Prima che la rossa potesse vedermi dovevo andare via o avrei messo Sanem di nuovo in imbarazzo, visto che ormai ero diventato un cliente abituale a sua insaputa.

«Ah, il libro l’ho dimenticato! Magari se stasera vai di nuovo alla scogliera potrei portartelo lì.»

In realtà non lo avevo dimenticato. Di proposito non l’avevo portato, volevo un’altra occasione per rivederla.

«Va bene! Ci vediamo alla scogliera» acconsentì sorridendo.

Dopo essere uscito dalla panetteria mi voltai, come la prima volta, e lei era sulla porta che mi guardava. Due cose mi avrebbero tenuto compagnia fino a quella sera: l’odore del pane appena sfornato e il dolce sorriso di Sanem.


L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora