CAPITOLO 51

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Can

Trovammo Leyla quello stesso pomeriggio. Ci dirigemmo all’indirizzo del suo studio. Notammo che diversi nomi apparivano sulle targhette esterne all’edificio.

«Salve, cerchiamo l’avvocato Leyla Aydin» disse Sanem alla ragazza della reception.

«L’avvocato Aydin è al momento impegnata. Ma chi devo annunciarle?» chiese la segretaria cordialmente.

«Sanem… Sanem Aydin… sono sua sorella» rispose tremante.

Ci lasciò in attesa mentre scomparve in un lungo corridoio che portava ai vari uffici. Alcuni minuti dopo ricomparve annunciandoci che Leyla era pronta a riceverci.

«Stai calma, vedrai che andrà tutto bene!» dissi nell’orecchio a Sanem in preda all’agitazione. Nonna Ateş ci seguiva, lei non sembrava per niente scossa, piuttosto mostrava una certa quiete. Almeno così apparve finché non fummo tutti davanti allo studio. Sanem bussò ed aprì lentamente la porta. Una figura alta, bionda, con due occhi azzurri immensi, in un elegante tailleur nero era in piedi al centro della stanza. Tutti trattenemmo il fiato, persino io che avevo il compito di sostenere la mia fragile ragazza. La freddezza che scaturiva da quegli occhi, che mi parve di aver già visto da qualche parte ma che non ricordavo, si sciolse pian piano fissando incessantemente lo sguardo della sorella. Come se qualcuno avesse dato il via, entrambe si precipitarono l’una incontro all’altra abbracciandosi e scoppiando a piangere.

Io rimasi a guardarle e a sorridere, mentre anche nonna Ateş si avvicinò a loro ricevendo lo stesso abbraccio da quella nipote finalmente ritrovata.

Lasciai che le tre donne rimanessero da sole a parlare e mi allontanai verso la fine del corridoio che portava su un’ampia terrazza. “Dove ho visto quegli occhi?” pensavo. E poi ricordai proprio nel momento in cui ricevetti la chiamata di mio fratello.

«Can, ho bisogno che tu mi dica una cosa. E' da ieri sera che ci penso. Qual è il cognome di Sanem?» la voce di Emre mi arrivò preoccupata.

«Non è possibile!» esclamò dopo che glielo ebbi detto. «Sanem è la sorella di Leyla… della mia Leyla!»

Ora ne ebbi la conferma. Non avevo mai conosciuto la donna della quale mio fratello si era perdutamente innamorato, ma avevo visto una foto in camera sua e ricordai quei due occhi azzurri incorniciati sul suo comodino. Mi aveva accennato qualcosa riguardo alla sua sparizione improvvisa, in seguito alla quale Emre non era riuscito più a trovare la felicità, si era fiondato a capofitto nel lavoro senza più cercare svaghi che potessero distrarlo.

«Emre, davvero non sai cosa è successo?»

«No, Can, so solo che un giorno all’improvviso è sparita senza lasciare tracce. Avevamo deciso di vivere insieme, la sua famiglia aveva scelto per lei un altro pretendente e… insomma aveva litigato con loro al punto da scappare via di casa. Il punto è che sarebbe dovuta venire da me, ma a quanto pare è fuggita da tutti.» Potevo percepire il dolore di mio fratello dalle sue parole.

«Emre… e se lei quando è corsa da te avesse visto un’altra donna?» gli chiesi cercando di aprirgli gli occhi.

«Non è possibile, io… No, Can, aspetta. Un’altra donna?» mi sembrò davvero perplesso, così gli raccontai la versione di Sanem.

«Allah! Il giorno che doveva venire da me e che poi è sparita io ero a casa ed è venuta Aicha per mostrarmi dei documenti.» Fece una pausa. «Prima di andare via mi ha abbracciato ma solo per ringraziarmi di averle affidato un incarico che le avrebbe consentito di avere delle gratifiche.»
Rimanemmo entrambi senza parole, poi gli diedi l’unico suggerimento che potevo dargli: «Vieni ad Izmir, fratello, credo che voi due abbiate molto di cui parlare.»

Non gli dissi nulla della gravidanza, non spettava a me dargli la notizia che la donna che amava, molto probabilmente, lo aveva reso padre.

Trascorsero più o meno un paio d’ore prima che Sanem venisse a cercarmi. Non le avevo disturbate e nel frattempo avevo fatto un giro nei dintorni per poi ritornare alla terrazza. Vidi la mia ragazza dalla pelle di luna tornare a splendere, un sorriso radioso le incorniciava il volto e capii, prima ancora che lei parlasse, che era andata meglio di quanto si aspettasse.

«Leyla mi aiuterà ma lo farà solo per me. Dei nostri genitori non vuol sentirne parlare. L’hanno umiliata e cacciata di casa senza preoccuparsi di lei e probabilmente non tornerà nemmeno ad Istanbul.»

«E il bambino? Come sta?» chiesi, realizzando in quel momento che era anche mio nipote.

«Il bambino non c’è» disse con tristezza. «Dopo essere arrivata qui a Izmir, la gravidanza sembrava procedere bene, nonostante le forti delusioni che aveva subito. Ma lo stress che si accumulava dentro di lei, le delusioni che l’annientavano giorno dopo giorno, il lavoro assiduo per non pensare… tutto questo le ha provocato un aborto spontaneo al quarto mese. E così, questo l’ha condannata a quella freddezza che l’ha spinta a chiudere i contatti anche con me.»

«Mi dispiace!» dissi soltanto, facendole una carezza. Poi aggiunsi: «Devo dirti anch’io una cosa che riguarda mio fratello…»

Sanem mi guardò perplessa.

«L’uomo che tua sorella amava, che lei ha pensato l’avesse tradita, è Emre.»

Il suo sguardo divenne freddo come il gelo di una notte d’inverno e sperai di non aver fatto un casino a dare ad Emre l’indirizzo dello studio di Leyla.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora