Can
Avevo avvisato Akif che avrei allungato la mia permanenza a Konya più del previsto, ossia per tutta la settimana. Il servizio fotografico sarebbe durato due giorni, di cui avrei impegnato solo le mattine. Akif non aveva fiatato ma dal tono di voce avevo avvertito che avrebbe voluto strozzarmi.
La mattina dopo il nostro arrivo, Melo ci accolse con una colazione da far invidia al miglior bistrot parigino: sulla tavola facevano bella mostra di sé anche un vassoio di simit e un baklava al miele e frutta secca che mi riportarono alla mente le colazioni con Sanem.
«Buongiorno, Melo! Quando hai preparato tutto questo? E' spettacolare» mi complimentai.
«Buongiorno a te, Can! Non sapendo cosa vi piacesse ho esagerato un po'. Mi piace far sentire a proprio agio i miei ospiti» rispose sfoderando uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
«Beh, di sicuro non scapperebbero!» esclamai.
«Hai dormito bene? Spero che il letto era comodo. Ho preferito dare la stanza degli ospiti a Sanem per farla stare meglio.»
«Hai fatto benissimo. Ha bisogno di distrarsi e rilassarsi il più possibile. Io posso accontentarmi della stalla.»
Melo ruppe in una risata che coinvolse anche me. «Metin te l'ha detto?! Era il vecchio granaio che non usavamo più, visto che abbiamo ampliato la fattoria sul lato est, e così abbiamo pensato di ricavarne un'altra stanza per le emergenze. Sei il primo che la occupa.»
«Che onore! Allora, grazie» dissi scherzoso.
Continuammo a parlare della fattoria e di quanto quel luogo tenesse lontano lo stress e i problemi che gravavano sulla vita di tutti i giorni.
«Buongiorno!» La voce di Sanem mi giunse come il suono più melodioso che avessi mai sentito. Indossava dei pantaloncini di jeans e una canotta gialla, i capelli erano raccolti in una coda non completamente ordinata, ma nonostante ciò la sua bellezza non era pari a nulla.
«Buongiorno, cara, vieni, accomodiamoci e iniziamo la colazione. Metin dormirà ancora per un po'; per lui la domenica significa riposo assoluto» disse Melo, iniziando a servire ogni pietanza che Sanem le indicasse.
Io sembravo aver perso le parole, non smettevo di portare lo sguardo sul suo viso.
«Hai riposato bene?» le chiesi chinandomi leggermente verso di lei.
«Meravigliosamente!» esclamò con un sorriso che mi mozzò il fiato e che non potei che ricambiare.
«Assaggia questo baklava, Sanem, e dimmi com'è» s'intromise Melo, porgendogliene una porzione.
I suoi occhi fissarono prima il dolce e poi me. Non ci fu bisogno di chiederle a cosa stava pensando.
Dopo colazione dovetti abbandonare la compagnia per recarmi al Bazar di Konya dove avrei passato l'intera mattina ad inveire fra tappeti e sete pregiate.
Rientrai alla fattoria che stavano pranzando. «Scusate il ritardo ma... mi sono perso!»
«Credevamo fossi rimasto avvolto in qualche tappeto,» disse Metin ridendo, «o che qualche Sultano ti avesse proposto di trasferirti al proprio cospetto.»
«Metin...» lo richiamai lanciandogli un'occhiata furiosa.
«Dai, siediti con noi e mangia!» disse Melo.
Rivolsi il mio sguardo a Sanem che mi sorrideva. «Non vedevo l'ora che tornassi!» disse spiazzandomi ma riempendomi di gioia.
Dopo pranzo, le prestai il mio telefono per chiamare Mihriban mentre io approfittai per una doccia veloce.
«Melo, dov'è Sanem?» chiesi entrando in cucina, non trovandola da nessuna parte.
«Credo sia andata al molo.»
Ed infatti la trovai lì, era seduta sul pontile con le mani poggiate sulle assi e le gambe penzolanti sulla sporgenza.
«Cosa fai?» le chiesi sedendomi accanto.
«Pensavo!» disse guardandomi attraverso le fessure dei suoi occhi socchiusi a causa della luce. «In realtà... aspettavo che mi raggiungessi.»
«E tu eri sicura che l'avrei fatto!»
Fece cenno di sì con la testa. Continuammo a fissarci e mi resi conto che se entrambi fossimo ancora rimasti in silenzio, non avrei più resistito e l'avrei baciata.
«Si sta davvero bene qui!» esclamai.
“Ma cosa fai?” Sentii di nuovo quella voce fastidiosa.
«Ah, Can, non sai quanto! Mi sentivo morire segregata in casa, credevo che non avessi più via di scampo. Menomale mia madre si è fidata di Mihriban o a quest'ora... Non ci voglio nemmeno pensare!» disse alzandosi e mandando all'aria ogni mia speranza di avvicinarmi alle sue labbra.
“Sei uno stupido. Ti sta bene!” mi rimproverò la "voce".
«Qui è come respirare, mi sento libera come un uccello che può volare in alto...» continuò Sanem girando su se stessa con le braccia spalancate, sembrava che improvvisamente si fosse messa a ballare un valzer pazzo.
Mi alzai anch'io. «Sanem, attenta che puoi scivolare!» Ma fu come parlare al vento, lei continuava a volteggiare e a ridere spensierata, felice. E poi, improvvisamente, me la ritrovai fra le braccia, ansimante e accaldata.
La tenni stretta mentre le sue mani si aggrapparono alla mia maglia.«Stai un po' ferma!» le suggerii quasi in un sussurro. In realtà, non volevo altro che tenerla fra le mie braccia.
I nostri respiri si fusero, mentre poggiai la mia fronte alla sua. Potevo sentire il suo cuore battere accelerato, probabilmente per la foga di poco prima. Feci sfiorare i nostri nasi e potei sentire il suo respiro cambiare, non era più affannato bensì sembrava rincorrere il mio. Non esitai ancora e feci sfiorare anche le nostre labbra ma senza fare pressione. Avrei atteso una sua "risposta". Non mi mossi, continuavo a muovere il mio viso sfiorandola, finché non avvertii le sue labbra far pressione sulle mie. E allora non ebbi più dubbi, con cautela le schiusi leggermente e subito avvertii Sanem fare lo stesso. Sentii la sua mano fra i miei capelli sfiorarmi la nuca mentre io la strinsi ancora più forte fra le mie braccia e finalmente ci lasciammo andare ad un bacio dolce, delicato, sensuale, senza più nascondere ciò che i nostri cuori reclamavano da tanto... troppo tempo.
STAI LEGGENDO
L'odore del pane
RomanceUna storia dolce, semplice, dalle sfumature romantiche. Una serie di incontri casuali che fanno pensare sia opera del destino ma che regaleranno a Can e Sanem emozioni mai provate prima. S'innamoreranno al primo sguardo? Chissà...