CAPITOLO 33

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Sanem

Indossai un vestitino bianco semplice che mi scopriva appena le spalle e un paio di stivaletti non troppo alti per potermi sentire a mio agio. Avevo acquistato tutto al Bazar quella mattina quando mi ero recata con Melo, la quale mi aveva invogliata a comprare tante altre cose: eravamo tornate a casa con le braccia stracolme di borse. Con me non avevo portato vestiti che potessero servirmi per delle occasioni speciali, pensando che avrei passato il mio tempo ad aiutare Aylin e Mihriban nella panetteria.

«Sanem, sei bellissima!» esclamò Melo appena mi vide. «Vieni con me, ti sistemo i capelli e sarai perfetta.»

Mi trascinò nel suo bagno dove col ferro mi avvolse i capelli lasciandoli poi scendere in morbide onde. «Can rimarrà a bocca aperta» disse eccitata.

Avvampai. «Non… lo faccio mica per lui!» mentii. Sì, perché era per lui e solo per lui che volevo essere bella.

«Suvvia, Sanem, si vede lontano un miglio che siete persi l’uno dell’altra. Credi che io e Metin non l’abbiamo capito?» confessò Melo continuando a sistemarmi. «Questa ciocca proprio non ne vuole sapere» imprecò.

«Si nota così tanto?» chiesi imbarazzata.

«Se non riesco ad arricciarla te la sistemo diversamente.»

«Non dicevo i capelli…» dissi a voce bassa.

«Aaah, di voi due? E’ evidente! Da quanto siete innamorati?» mi chiese sfoderando uno di quei sorrisi che riuscivano a mettermi a mio agio.

«Innam…» mi bloccai. Mi resi conto che Melo aveva ragione, solo che io ancora non riuscivo ad ammetterlo a me stessa, avevo paura, temevo che anche questa volta potessi sbagliarmi e credere che fosse quello giusto, con la differenza che Can mi faceva stare bene davvero e provare emozioni che non avevo mai provato prima. Ma finora la nostra era stata soltanto una dolce amicizia. Cosa sarebbe successo adesso?

Per fortuna Melo non fece altre domande e mi tolse dall’imbarazzo di risponderle.

Can mi stava aspettando in giardino. Non appena mi vide sembrò davvero rimanere senza fiato.

«Ciao» lo salutai.

«Sei… stupenda» disse sorridendomi.

«E’ solo un semplice vestito» dissi emozionata per il complimento.

«Sei tu che sei perfetta!»

Ricambiai il suo sorriso e ci avviammo alla macchina.

Il ristorante che aveva scelto aveva all’esterno un ampio giardino ricoperto in parte da piccole aiuole, intorno alle quali erano poste piccole lampade che con i loro fasci di luce illuminavano tutto intorno. Su ogni tavolo vi erano, invece, delle candele che rendevano l’atmosfera ancora più romantica.

Gli raccontai di come avevo trascorso la giornata, gli dissi di quanto Melo mi facesse sentire a mio agio da farmi dimenticare ogni cosa.

«L’ho notato… Oggi ho dovuto selezionare da solo le foto tutte uguali di quei tappeti.»

«Non avevi detto che te la sapevi cavare da solo?» gli ricordai guardandolo di sottecchi.

«Hai ragione tu! Ma…» continuò, poggiando il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano per poi fissarmi.

«Ma…?» feci eco io.

«Cos’hai fatto di così importante da dimenticarti di me?»

«Ho aiutato Melo a dar da mangiare alle galline, alle mucche. L’ho aiutata a strigliare un cavallo e poi a sistemare tutto il mangime per gli animali» risposi elencando con le dita tutto ciò.

«Quindi le galline sono più importanti di me!» disse fingendo di rabbuiarsi.

«No, ma non potevo lasciare Melo da sola e poi…»

«Poi…?»

«Non mi sono dimenticata di te… Non potrei!» ammisi accarezzandogli una guancia.

«Quindi mi hai pensato?» chiese sorridendo, portando una mano sulla mia poggiata sul suo viso.

Annuii.

«Anch’io ti ho pensato e volevo dirti che… quello che è successo ieri ed anche stamattina… lo desideravo da tanto!»

Le sue parole mi provocarono un brivido.

«Anch'io!» ammisi.

Si guardò intorno furtivamente e poi lo vidi allungarsi verso me per lasciarmi un bacio sulle labbra.

«Sai cosa vorrei?» sussurrò.

«Cosa?» domandai curiosa.

«Vorrei baciarti.»

«L’hai appena fatto.»

«Come ieri… al molo…» disse guardandomi intensamente negli occhi e facendomi arrossire.

Un cameriere c’interruppe per prendere le ordinazioni togliendomi dall’imbarazzo. La scena di quel bacio diventato improvvisamente impetuoso era fissa nella mia mente. Can dovette accorgersene perché cambiò argomento parlandomi del suo lavoro.

«A proposito,» disse poi, «devo ancora restituirti il tuo libro.»

«Puoi tenerlo, anche se non serve più come scusa.»

«Quale scusa?» domandò sorridendo.

«Quella di potermi incontrare ogni sera alla scogliera.»

«L’avevi capito?»

«Dopo qualche sera.»

«Quindi venivi lì solo per incontrare me?»

«Sì» ammisi.

«E perché non me l’hai più chiesto? Il libro, intendo. So che ci tieni tanto!»

«Perché… dopo un po’, volevo che lo leggessi anche tu.»

«Io? E perché?»

Per fortuna fummo interrotti dal cameriere che ci servì la cena. Non potevo dirgli il motivo per cui non avevo voluto il libro indietro, perché era qualcosa che ancora non riuscivo ad ammettere a me stessa.
Di nuovo Can non pretese una risposta e durante la cena mi raccontò di alcuni aneddoti della sua adolescenza con Metin e Akif, facendomi ridere quasi fino alle lacrime.

Quando tornammo alla fattoria, mano nella mano, non ci avviammo verso la casa ma, senza accenno da parte di nessuno dei due, ci dirigemmo al molo.

«Ora mi dici perché volevi che leggessi quel libro?» mi chiese sfiorandomi l’orecchio mentre le sue braccia mi circondarono da dietro.

“E ora come glielo dico?!” pensai, mentre il cuore iniziò la sua corsa che sembrava volesse uscirmi fuori dal petto.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora