CAPITOLO 19

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Can

Cosa mi succedeva? Possibile che quella ragazza mi faceva quell'effetto? Come se fossi sospeso da terra, come se tutto il mondo intorno scomparisse. Sentivo il mio cuore battere più di quanto dovesse. La cosa ancora più assurda era che non ci conoscevamo nemmeno, non sapevo nulla della sua vita se non che avrebbe tanto voluto viaggiare.

La vidi entrare in casa insieme ad un uomo che pensai essere suo padre. Misi in moto e mi allontanai da quel quartiere. Mi diressi alla scogliera, dove il rumore delle onde e l’immensa distesa del mare mi aiutavano a riflettere, a rilassarmi. Mi sedetti a terra, nel punto più distante, dal quale potevo avere la visuale di tutto il tratto che fiancheggiava gli scogli, nel caso… “Ecco che ripensi ancora a lei, Can Divit!” Sentii come una voce fuori campo parlarmi nella testa. Ci mancava solo che stessi impazzendo! Il fatto era, però, che era vero, se mai avesse deciso di venire alla scogliera l’avrei subito vista.

Spostai lo sguardo davanti a me dove, al centro di quel punto di mare, si ergeva la Torre di Leandro che col suo faro illuminava intorno a sé i piccoli pescherecci dondolanti nelle placide acque del Bosforo. In lontananza, illuminato dalle sue mille luci, si stagliava nei suoi 1510 metri il Ponte dei Martiri del 15 Luglio, più comunemente conosciuto come il “Ponte sul Bosforo”, che attraversando Istanbul congiunge Europa e Asia. Lasciai che il mio sguardo si perdesse in quelle meraviglie e nelle placide acque del mar di Marmara nel quale si rifletteva quell’astro d’argento che riportò nei miei pensieri la ragazza dalla pelle di luna. Avevo pensato a lei tutta la settimana, ogni giorno, ogni volta che la mia mente non era impegnata per lavoro. Mi ero chiesto più volte se anche lei pensava ai nostri incontri, alle mie braccia che l’avevano stretta proprio lì su quella scogliera e poi al ballo, ai nostri occhi che non riuscivano a smettere di guardarsi. Poi, mi ricordai di ciò che le avevo detto prima che lei scendesse dalla mia auto la sera della festa quando l’avevo riaccompagnata a casa: aveva frainteso le mie parole o aveva capito? Questo pensiero s’insinuò come un chiodo fisso che non mi avrebbe dato pace fino a che non l’avrei tolto e per levarlo avrei dovuto parlare con lei, spiegarle che lei era stata la cosa più bella di quella serata. E a quel ricordo mi ritrovai di nuovo a sorridere. Mi sentii vivo dopo tanto tempo, stranamente felice, avrei osato dire, se non fosse stato per un unico problema: non sapevo se lei avesse la stessa voglia di rivedermi come l’avevo io di lei.

Sospirai alzando gli occhi al cielo e poggiandomi sui gomiti all’indietro. Chiusi gli occhi per un attimo e il suo viso mi apparve in tutta la sua bellezza... «Da come ne parli sembra quasi che tu ne sia innamorato»... Le parole di quella donna che aveva affidato a me il libro di Sanem mi rimbombarono nella mente facendomi sussultare. Riaprii gli occhi e scossi la testa come a mandar via quel pensiero assurdo. Non potevo pensare di essermi innamorato di una ragazza della quale conoscevo appena il nome.

Basta, dovevo andar via di lì, capii che restare alla scogliera non mi avrebbe aiutato a rilassarmi come al solito. Feci per alzarmi quando poco distante da me la vidi. Quando era arrivata? Anche lei, come me poco prima, era intenta a scrutare quello stesso mare e lo stesso cielo, ma le vidi portarsi le mani in viso come per nascondersi. Stava piangendo? Le sue spalle sembravano infatti avere dei sussulti. Avrei voluto avvicinarmi, abbracciarla semplicemente per darle conforto. Ma non ero nessuno per lei, avrebbe potuto benissimo mandarmi via. Rimasi a guardarla da lontano sperando che quelle lacrime finissero. Avrei voluto asciugargliele una ad una e perdermi di nuovo nei suoi occhi, avvolti solo dal silenzio della sera e dal profumo di salsedine.

Persi la cognizione del tempo. Improvvisamente si voltò, forse solo per assicurarsi che nessuno stesse guardando il suo dolore, e i nostri sguardi s’incontrarono. Forse fu una svista o forse una magia, ma sembrò calmarsi. Continuammo a guardarci per istanti che parvero interminabili e avrei quasi giurato di veder comparire un sorriso sulle sue labbra, ma non ne fui sicuro.

Mi alzai e senza esitare mi avvicinai. Fu un bene che mi avesse visto, così non le sarei piombato alle spalle all’improvviso. Le sedetti accanto senza fiatare, questa volta un leggero sorriso illuminò davvero il suo dolce viso. Sembrava così indifesa. Mi chiesi cosa potevo fare, avevo paura di sbagliare, di dire qualcosa che la infastidisse.

Si voltò nuovamente verso il mare e pensai che volesse restare da sola, ma inaspettatamente poggiò la testa sulla mia spalla continuando a guardare davanti a sé. Capii che le parole giuste, in quel momento, erano proprio quel silenzio, che le bastava la mia presenza e ciò andava bene anche a me, anzi, fu più di quanto potessi aspettarmi. E quel gesto significava una cosa sola: lei si fidava di me.

Lentamente, sperando di non rompere quel sogno, passai un braccio intorno alle sue spalle e desiderai che quel momento non finisse mai.


L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora