CAPITOLO 58

1.4K 148 49
                                    

Sanem

Le onde del mare s’infrangevano a riva dove io e Can passeggiavamo spensierati mano nella mano. Il vento soffiava leggero fra i miei capelli spettinandoli. Improvvisamente lui lasciò la mia mano e, come se venissi risucchiata da qualcosa, ci allontanavamo sempre più. Provavo a gridare il suo nome ma la voce non ne voleva sapere di uscire. L’unica sensazione che provavo era il terrore, accentuato dal vento ancora più forte che mi sferzava il viso.

Poi mi svegliai.

«Buongiorno, amore mio!» Sentii la voce di Can a pochi centimetri dal mio viso mentre ci soffiava su dolcemente.

«Buongiorno!» risposi solo, aprendo completamente gli occhi. «Eri tu che facevi vento!» esclamai quasi sollevata.

«Ti ho disturbata?» chiese accarezzandomi il viso.

«Non tu…» lo rassicurai, prendendo un bel respiro. «Can… ho un brutto presentimento!»

«Cosa?»

«Non lo so ma… non sono tranquilla» gli confessai, raccontandogli poi del sogno.

«Ti ho fatta stancare molto stanotte!» disse sorridendo malizioso.

«Effettivamente non mi hai fatto dormire molto» replicai buttandogli le braccia al collo. «Restiamo a letto tutto il giorno.»

L’ansia con cui mi ero svegliata, per fortuna, svanì. Probabilmente la mia era soltanto stanchezza.

«In realtà ho una sorpresa per te» disse Can.

«Che sorpresa?»

«E’ una sorpresa ma… se vuoi restare a letto non ci sono problemi. Dopo, però, non dare la colpa a me se sei stanca.»

«Ok, voglio la sorpresa» esclamai gioiosa come una bambina.

«D’accordo ma prima devo fare una cosa…» sussurrò baciandomi il collo per poi cominciare a farmi il solletico dappertutto.

«Can, basta, fermo, non lo sopporto! Caaaan» urlavo e ridevo. Amavo quei momenti a letto, tra di noi non c’era solamente passione ma anche divertimento, che fosse il solletico o una lotta coi cuscini che finiva sempre per sfinirmi e farmi affondare fra le braccia di quell’uomo meraviglioso.

Mi portò al mare. Non appena parcheggiò, il mio cuore trattenne i battiti, l’ansia si reimpossessò di me ma cercai di mandarla via, non volevo rovinarmi la giornata.

«E’ questa la sorpresa?» chiesi una volta scesi dall’auto.

«Più o meno» rispose ammiccando.

La spiaggia lì formava una specie di grande insenatura, un leggero vento cacciava via il caldo di quella giornata di fine estate. Per fortuna non era la spiaggia che avevo sognato e questo mi rincuorò. Erano presenti poche persone e noi scegliemmo un lembo di sabbia distante da tutti. Ci lasciammo cullare dalle onde per poi schizzarci come due ragazzini, rincorrendoci a perdifiato e ogni volta Can riusciva ad acchiapparmi. «Così non vale,» urlavo, «sei più veloce di me.»

Mangiammo nel delizioso ristorante che affacciava proprio su quella baia, l’azzurro del mare e del cielo s’incontravano all’orizzonte tracciando una linea perfetta separandoli.

«Ora ti porto in un posto speciale!» disse Can, una volta usciti dal locale.

Ci stavamo avviando alla macchina quando mi bloccai all’improvviso. I miei occhi si spalancarono e il presentimento che qualcosa di terribile stava per accadere mi fece ripiombare nel terrore.

«Che cosa c’è, tesoro?» mi chiese Can preoccupato.

«Yiğit… lui è lì» risposi indicando solo con lo sguardo il punto in cui avevo visto quella figura. Non riuscivo a muovermi.

Can si voltò e anche lui fu preso dal panico ma senza darlo a vedere, io me ne accorsi da come stringeva la mia mano.

«Ma guarda un po’ chi si vede! La mia futura sposa con il suo amante. Che bella sorpresa!» disse Yiğit con un sorriso sarcastico avvicinandosi e puntando su di noi una pistola. Era stata quella a farmi raggelare, più che la sua persona.

«Metti giù la pistola» lo intimò Can cercando di mantenere la calma.

«Altrimenti cosa? Credevate di incastrarmi e farla franca? A quanto pare qualcuno ha avuto una soffiata che un certo avvocato… aspetta, aspetta, com’è che si chiama?» finse di ricordare il nome. «Leyla Aydin… ah, sì, dovresti conoscerla molto bene, mia piccola Sanem! Beh, dicevo: qualcuno mi ha riferito che stavano sulle mie tracce. Ma come hai potuto dubitare di me?»

«Basta, Yiğit, vattene! Ritira le infamie che hai buttato addosso alla mia famiglia e non ti accadrà nulla» replicai, sperando di farlo ragionare.

«E perché, non è forse vero che la loro piccola Sanem ha infranto alcune tradizioni? Sentiamo… quanto ti piaceva quando…»

Accadde tutto in un attimo. Avvertii Can lasciare la mia mano ed avventarsi su Yiğit pericolosamente armato. Urlai il nome del mio amore con tutte le mie forze finché non mi sentii inghiottire da qualcosa che mi provocava un dolore lancinante allo stomaco. Mi accasciai a terra e le ultime parole che sentii urlare furono: «Dovevi essere solo mia!»

Poi il grido disperato di Can e dopodiché il buio.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora