CAPITOLO 67 - La magia del Natale

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ARIA DI FESTA

Can

Siamo in giro per la città, dove la gente frenetica si precipita ad acquistare regali per quella che, qui in Italia, è la regina delle festività. Osservo la mia famiglia camminare spesso col naso all'insù per ammirare le luminarie e le tante decorazioni appese ai balconi e fuori ai vari negozi. Effettivamente anche io resto colpito da questi addobbi e soprattutto da un odore che aleggia nell'aria che mi vien detto essere vischio.

«Sapete,» ci spiega Cassandra, in giro con noi, «il vischio è un simbolo di fortuna, amore e protezione, e la tradizione vuole che gli innamorati si bacino sotto di esso per allontanare le difficoltà e far sì che il loro amore germogli felice.»

«Davvero? Hai fatto bene a dirmelo» esclamo, camminando all'indietro davanti a tutti loro e lanciando un'occhiata maliziosa a mia moglie.

I ragazzi non si accorgono di nulla, sono talmente incantati da ciò che vedono per le strade che approfitto, in men che non si dica, per tirare Sanem verso l'arcata di un portico dalla quale pende un enorme fascio di vischio e, senza preoccuparmi di essere visti, le do un bacio da lasciarla senza fiato in un rapido casqué.

La guardo poi negli occhi e le sorrido, mentre lei è dolcemente imbarazzata.

«Tu sei pazzo!»

«Sì, di te» sussurro sulle sue labbra che da sempre sono per me come una calamita.

Raggiungiamo gli altri che non si sono accorti di noi, mentre vedo mia moglie ancora col viso in fiamme.

«Hai avuto paura che il nostro amore appassisca?» mi punzecchia lei, ridendo.

«Mai, non lo penso mai! Avevo solo voglia di baciarti» le sussurro avvicinandomi al suo orecchio e continuando a camminare mano nella mano come se nulla fosse. «Anzi, ho avuto un'idea...»

«Cosa?» mi chiede curiosa come al solito.

«Vedrai...» La lascio nella sua curiosità mentre inizio a pensare a come "sistemare" la mia pazza idea.

«Ehi, voi due, se avete finito di tubare, noi avremmo una certa fame» esclama Deniz battendosi una mano sulla fronte.

Sanem

Mi gira ancora la testa per il bacio improvviso che Can mi ha dato sotto al vischio, per strada, sotto gli sguardi della gente. Certe volte è matto, sa essere così sorprendente che mi lascia senza parole. Ed io lo amo anche per questo. Dopo vent'anni, a volte sembriamo dei ragazzini ai primi approcci, con la sola differenza che tra noi c'è già quella complicità che si instaura col tempo.

Devo ammettere che quest'aria di festa non mi dispiace per niente, l'idea di scoprire a quali tradizioni sono legati altri Paesi mi ha sempre attratta. E il Natale mi sembra davvero un evento bellissimo, per quanto noi non ne percepiamo la vera essenza a livello religioso, a quanto pare è una festa che ha diversi aspetti che, alla fine, coinvolge quasi il mondo intero.

«Stai bene?» mi chiede improvvisamente mio marito.

«Sì, perché me lo chiedi?»

«Non sei stanca?»

«Per niente!» gli rispondo guardandolo perplessa.

Si ferma e mi tira nelle sue braccia.

«Can, si può sapere che hai?» gli chiedo ormai preoccupata.

«Nulla,» mi sussurra, «mi preoccupo per te.»

«Sto bene, amore!» lo tranquillizzo, anche se continuo a non capire la sua apprensione. «Dai, raggiungiamo i ragazzi che ho fame anch'io.»

Pranziamo in una trattoria per poi passare il resto del pomeriggio anche con Vera e Bernardo.

«Il giorno di Natale non prendete impegni, sarete nostri ospiti. Per la verità noi festeggiamo anche domani sera, c'è la tradizionale cena della Vigilia di Natale. Per cui, siete invitati a stare con noi.» Quello di Cassandra sembra più un obbligo che un invito, ma che accettiamo con piacere.

Mi offro per preparare anch'io qualcosa ma lei me lo vieta, così decido che cucinerò comunque qualche specialità turca. Sono sicura che non si butterà via niente.

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Siamo stati fuori tutto il giorno. Finalmente siamo a casa. La neve fuori scende leggera ricoprendo tutto di bianco. Il fuoco nel camino scoppietta riscaldando il salotto. Ateş, seduta lì davanti, ai piedi del divano, legge un romanzo, mentre Deniz è intento a mandare messaggi col suo cellulare.

Io sono seduta ai piedi del "nostro" albero di Natale e accarezzo i capelli di Can che ha la testa poggiata sulle mie gambe. Quel gesto rilassa sia me che lui, mi piace sfiorare il suo viso, seguire con le dita il contorno del suo naso e delle sue labbra. Perdermi nella sua barba e ritornare con la mano fra i suoi capelli ancora lunghi che spesso scioglie per stare più comodo.

Di tanto in tanto apre gli occhi e cerca i miei, ed io non faccio altro che perdermi nell'immensità del suo sguardo sorridendo e innamorandomi ancora del mio sconosciuto.

Osservo i suoi lineamenti e seguo di nuovo con le dita qualche piccola ruga che solca inesorabile la sua fronte.

«Se continui così si vedranno di più. Vuoi farmi invecchiare velocemente?» scherza.

«Ma se sei già vecchio!» interviene Deniz.

«Zitto, tu!» lo ammonisce suo padre.

«Non dargli retta, papino, sei ancora bellissimo!» esclama Ateş.

«Grazie, principessa! Menomale che ci sei tu a difendermi.»

Sin da piccola ha sempre avuto un debole per il suo dolce papà, era il suo eroe preferito, e quando combinava qualche marachella, prima che io me ne accorgessi, scappava sempre fra le sue braccia, cosciente che lui non l'avrebbe rimproverata. Sorrido a quel ricordo.

«Cosa c'è? Anche tu pensi che io sia vecchio, eh?» mi chiede Can guardandomi accigliato.

«Io? Ma no...» esclamo fingendo di pensarci.

«Non mi sembri convinta» aggiunge allungando le braccia e portandole sui miei fianchi.

«No, Can, il solletico no!» lo prevengo subito afferrando le sue mani.

«Ah, no, il solletico non lo vuoi? Bene, vorrà dire che ti dimostrerò in un altro modo di non essere vecchio» bisbiglia.

«Papaaaà!» lo riprende Deniz.

Mi scappa da ridere.

«Cosa vuoi?» Can gli lancia un'occhiataccia, mentre Ateş sembra assorta nella lettura.

«Certe cose non dirle davanti a noi, ti prego! Sei stomachevole» risponde nostro figlio.

«Non posso dire che ho ancora tutta la forza per andare a correre?»

«Certo, a correre, come no!» ribatte Deniz con un ghigno, mentre continua ad usare il telefono.

Mio marito appoggia di nuovo la testa sulle mie gambe e solleva lo sguardo nel mio. Non abbiamo bisogno di parole per capirci e gli sorrido, mentre torno ad accarezzargli il viso e lui fa lo stesso sollevando una mano e posandola dolcemente sulla mia guancia. I nostri occhi parlano per noi.

Discretamente, senza che i nostri ragazzi se ne accorgano, mi chino sulle sue labbra e gli lascio un bacio carico di desiderio.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora