CAPITOLO 39

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Sanem

L’ora di pranzo si stava avvicinando e io non mi sentivo pronta ad uscire sola con Yiğit. Ne avevamo discusso e sia Can che mia nonna reputarono che era la soluzione migliore mentre io non ero d’accordo. Restare sola con lui mi faceva paura e per di più temevo di tradirmi, di dire qualcosa che gli facesse venire il sospetto che quella fuga era tutta una messa in scena. Can mi garantì che ci avrebbe seguiti e ci avrebbe tenuti d’occhio, facendomi sentire più sicura. Si avviò nella sua auto parcheggiata ben distante dal punto in cui quella mattina Yiğit aveva fermato la sua, sicuramente avrebbe sostato di nuovo lì.

Arrivò poco dopo mezzogiorno e venne a salutare la nonna, la quale, dalla sua sedia a dondolo, finse di essere tanto stanca. Le chiesi se davvero potessi lasciarla da sola un paio d’ore, sperando che mi chiedesse di non andarmene ma, come da accordi, disse che avrebbe riposato mentre io non c’ero e che la sua vicina sarebbe passata a trovarla come faceva ogni giorno.

Delusa ma pronta, andammo in un ristorante al centro di Bursa. Ci sedemmo e alcuni tavoli più dietro, di spalle a Yiğit, per fortuna, vidi accomodarsi Can che mi fece cenno di stare tranquilla.

Non parlammo molto durante il pranzo, piuttosto Yiğit mi anticipò che sarebbe ripartito il pomeriggio del giorno seguente, per mio gran sollievo, dovendo rientrare a lavoro, ma che sarebbe tornato a trovarmi la settimana successiva sempre per un paio di giorni. Lasciai che facesse i suoi programmi, mi bastava sapere che l’avrei visto ben poco e che non mi aveva costretta a tornare ad Istanbul.

«Sanem, io vorrei che ci sposassimo al più presto. So che può sembrarti tutto così frettoloso ma voglio averti con me e il lavoro, come sai, mi tiene lontano da Istanbul e di conseguenza da te. Che ne dici se ci sposassimo fra quattro mesi?»

Quella domanda mi spiazzò, volevo sprofondare, riuscii a malapena a chiedergli perché così in fretta. Non riuscivo più a nascondere la mia agitazione.

«Io ti voglio, Sanem, ma questa volta voglio fare le cose per bene. Non lo vuoi anche tu?» Il suo tono di voce era un misto tra l’implorante e il dubbioso.

«Io… ho bisogno di tempo» mormorai.

«Certamente, lo avrai, per questo ho deciso di aspettare quattro mesi, per darti tutto il tempo per capire che il nostro amore non è finito, Sanem, che io e te insieme possiamo essere felici come non mai.»

Perché? Perché non capiva che per lui non provavo più niente? Che non era lui che volevo al mio fianco?

Finimmo di pranzare, anche se la fame mi era completamente passata, e mi riaccompagnò. Rimase con noi per un po’, raccontò a mia nonna del suo lavoro alla clinica e le consigliò alcuni rimedi per i suoi dolori. Per fortuna non sospettò nulla. Disse che sarebbe ripassato l’indomani e che avremmo potuto pranzare di nuovo insieme prima della sua partenza.

Come quella mattina, non appena la sua auto sparì dalla nostra vista, poco dopo arrivò Can.

Trascorremmo il resto del pomeriggio in casa, avevo persino paura di passeggiare per il bosco, temevo che Yiğit potesse spiarci.

«Sanem, io dovrei andare.»

Ormai il sole era tramontato e Can doveva ritornare ad Istanbul.

«Non voglio che tu te ne vada!» piagnucolai abbracciandolo.

«Ti prego, non fare così!»

«Perché non resti qui?» Sentimmo la voce di mia nonna provenire dal piano di sopra dove c’era la mia camera. «Ho preparato i letti per entrambi. Puoi restare, se lo vuoi.»

Rimasi di sasso seppure il mio cuore stava esultando.

«Davvero può rimanere, nonna?» chiesi stupita.

«Sì che può, ci sono due letti su e può dormire in camera con te» rispose nonna Ateş lasciandomi letteralmente senza parole.

Io e Can ci guardammo. Avrei condiviso la camera con lui. Non era successo nemmeno alla fattoria, non avevamo mai dormito insieme e la cosa mi mise in imbarazzo.

«Ma… davvero non ce n’è bisogno. La ringrazio per l’ospitalità ma non mi sembra opportuno che…» anche Can sembrava imbarazzato.

«Sì che è opportuno, vuoi mica lasciare da sola mia nipote mentre quel disgraziato è ancora qui a Bursa?» lo rimproverò mia nonna.

Scoppiammo a ridere.

«Se la mette così, allora… resto!»

Lo abbracciai e gli stampai tanti piccoli baci sulla guancia, per poi fare lo stesso con mia nonna.

«Bene, ora prepariamo la cena che sto morendo di fame» disse quest’ultima.

Mentre noi due ci accingemmo a preparare, Can andò a recuperare la sua valigia dall’auto per poi insistere a darci una mano. Cucinammo fianco a fianco, sorridendo come se niente ci avesse scalfiti e nulla di ributtante ci aspettasse in futuro.

Mentre finivamo di cenare sentimmo bussare alla porta. Facemmo immediatamente silenzio e il mio respiro venne meno. Ci guardammo l’un l’altro senza fiatare.

«Sanem?» la voce di Yiğit ci raggelò.

Obbligammo Can a nascondersi di sopra mentre io e nonna, con la velocità di un missile, togliemmo il suo posto da tavola riponendo piatti e posate nel lavello.

Yiğit bussò nuovamente, aprii la porta e la faccia adirata del mio ex mi spaventò.

«Perché non aprivate?»

«Stavamo cenando e parlando e non abbiamo sentito che bussavi. E’ successo qualcosa?» Cercai di restare calma.

«No, sono passato soltanto per darti la buonanotte. Vedo che tua nonna si sente meglio!» disse affacciandosi all’interno.

«Sì, il tè al gelsomino che le hai consigliato le ha fatto bene. Ma è comunque stanca, fra poco andrà a dormire.»

«Ok, scusami se sono piombato qui all’improvviso ma… mi mancavi!»

"Tu per niente!" disse la mia Voce e quasi mi venne da sorridere.

«Come vedi stiamo cenando e…»

«Ti va di fare due passi dopo? Ti aspetto qui fuori.»

«Yiğit, sono molto stanca, è stata una giornata molto intensa e andrò a dormire anch’io. Ti chiedo scusa!»

«Va bene, piccola, allora ci vediamo domani! Potremmo fare colazione insieme. Vengo per le otto, ok?»

Mi aveva spiazzata ancora una volta ma non potei rifiutare.

Aiutai mia nonna a sistemare in cucina mentre Can approfittò per farsi una doccia. Quando entrai in camera, lui era seduto sul letto che solitamente usavo io, mentre io avrei dormito nell’altro. Mi vergognavo un po’ a condividere la stessa stanza con lui e mi ero meravigliata che mia nonna ci lasciasse dormire insieme.

Andai in bagno a cambiarmi e quando rientrai Can sembrava che dormisse.

«Sei crollato, amore!» sussurrai accarezzandogli delicatamente una guancia. Mi fermai ad osservarlo, era la prima volta che lo vedevo addormentato ed era bello, bello da togliermi il fiato. Stavo per allontanarmi, quando mi sentii tirare per la mano e improvvisamente mi ritrovai fra le sue braccia, a pochi centimetri dal suo viso e dal suo sorriso e da quelle labbra che erano per me come una calamita. Restammo così, con lo sguardo incatenato l’uno all’altra mentre la luna illuminava i nostri volti.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora