CAPITOLO 16

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Sanem

Ero seduta al mio posto nella carrozza centrale in attesa che il treno partisse. Pensavo alla scogliera rimasta deserta, nonostante, di tanto in tanto, qualcuno si fermasse ad ammirare il Bosforo da lì.

"Stupida che non sei altro! Ti aspettavi davvero che lui potesse raggiungerti?" Questa volta non fu la mia "cara" Voce a darmi addosso, bensì io stessa. "E poi, come poteva immaginare che io fossi andata lì? Ah, smettila, Sanem!"

Cercai di distrarmi osservando il via vai di persone intente a salutarsi per intraprendere chissà quale viaggio, genitori che abbracciavano i figli, innamorati che si baciavano con le lacrime agli occhi. Qualcuno che invece, come me, partiva senza che nessuno li accompagnasse. In realtà lo avevo impedito a mio padre, anche se sarei stata via solo una settimana, avrei sicuramente pianto per quella breve separazione. Avevo preferito chiamare un taxi che mi portasse alla stazione. Mentre ero persa ad immaginare la vita di tutta quella gente, vidi una figura che mi fece balzare il cuore dal petto. Era lui, il mio sconosciuto. Poco dopo vidi avvicinarglisi un uomo dai capelli quasi del tutto bianchi che lo incitava, inutilmente, a lasciargli il manico del trolley. Li vidi dirigersi verso il sottopassaggio e poco dopo far capolino sul marciapiede dove era fermo il mio treno. Il cuore mi salì in gola mentre i miei occhi non riuscivano a smettere di fissarli. Le loro figure avanzarono proprio sotto il vagone dov'ero io. Sentii il fischio di partenza e il treno mettersi in moto. Mi buttai all'indietro sul sedile chiudendo gli occhi e mettendomi una mano sul petto all'altezza del cuore. Pochi istanti dopo, il trambusto di alcuni passeggeri saliti all'ultimo momento mi riscosse. Ritornai a guardare fuori dal finestrino ma non vidi nessuno. "E se anche lui è su questo treno?" Quel pensiero mi agitò ancora di più, pensare di essere così vicini mi fece accelerare il battito del cuore e un lieve sorriso affiorò sulle mie labbra.

«Salve!» Mi voltai in direzione della voce. Davanti a me c'era l'uomo coi capelli bianchi. «Quello sarebbe il mio posto» disse sorridendo indicando il sedile dove ero seduta.

«Oh, mi scusi, non conosco bene la predisposizione.»

Feci per alzarmi e spostarmi sul sedile interno ma l'uomo mi bloccò allungando gentilmente il braccio e facendo di no con la testa.

«Stia pure seduta lì, il mio viaggio durerà solo una mezz'ora poi dovrò scendere per cambiare treno.»

Gli sorrisi e prima di risedermi allungai lo sguardo oltre le sue spalle... ma di lui nemmeno l'ombra. Ci accomodammo, avvertii il treno muoversi molto lentamente. L'uomo accanto a me si sporse di poco per salutare qualcuno oltre il finestrino. Mi voltai automaticamente e i miei occhi incontrarono i suoi. Il respiro si fermò, sentivo il mio cuore battere all'impazzata, mentre la mano del mio sconosciuto rimase ferma a mezz'aria. Fui sicura che il suo ultimo sguardo fu per me.

Can

Avevo insistito con mio padre affinché lo accompagnassi alla stazione. Aveva preferito partire in treno e non in aereo...

«Preferisco rilassarmi e godermi il paesaggio. Il volo durerebbe giusto il tempo di un battito di ciglia e mi ritroverei già invaso dallo stress» aveva detto quella mattina.

Attesi che il treno partisse. Mio padre mi aveva impedito di salirci per portargli il trolley che avevo trascinato io fino alla porta del vagone. Mi disse che non era ancora così vecchio da non farcela ad alzare una valigia. Ci salutammo con un rapido abbraccio non appena sentimmo il fischio di partenza del treno. Seguii la sua figura finché non si fermò davanti al posto che aveva prenotato. Lo intravidi scambiare qualche parola con una ragazza per poi sedersi e sporgersi per salutarmi. Il treno si mosse lentamente e, mentre salutavo mio padre, i suoi occhi scivolarono nei miei facendomi perdere un colpo. Rimasi col braccio alzato e deglutii. Sapevo che quel pomeriggio sarebbe partita ma mai avrei immaginato una scena del genere. L'ultima persona che vidi scomparire dalla mia vista non fu mio padre ma la ragazza dalla pelle di luna e i suoi occhi profondi fissi nei miei.

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Quella mattina, dopo aver raggiunto mio padre ed Emre sul lungomare, avevo fatto in modo che la nostra passeggiata arrivasse alla scogliera. Con la scusa di godere del paesaggio che si apriva davanti a noi, li avevo costretti a restare lì per quasi un'ora. Ci eravamo seduti a terra sugli scogli, nonostante fosse restio, mio fratello alla fine era stato costretto da nostro padre a "sporcarsi" i pantaloni come noi.

Per tutto il tempo non avevo fatto altro che sperare di rivedere... Sanem. Certo, con mio padre ed Emre non mi sarebbe stato facile avvicinarmi se mai fosse venuta lì prima di partire, ma in qualche modo mi sarei avvicinato o quanto meno avrei puntato gli occhi nei suoi pur di avere un contatto con lei. Purtroppo, la mia speranza si era spenta nel momento in cui eravamo andati via.

"Chissà quando ti rivedrò!" avevo pensato malinconico.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora