CAPITOLO 26

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Sanem

Mia madre aveva scoperto che non ero a casa di Ayhan. La mia amica aveva inventato la scusa che ero andata in farmacia per comprarle qualche farmaco che facesse più effetto ma mia madre non se l'era bevuta e una volta tornata mi aveva obbligata a rientrare a casa e a non uscire fin quando non lo avesse ritenuto opportuno.
Avevo protestato, non poteva rinchiudermi in casa come fossi una prigioniera, ma ogni volta che provavo ad aprire bocca mi zittiva. Era impossibile parlare con lei, farla ragionare. Ma cosa era accaduto? Perché lei e mio padre erano improvvisamente cambiati? Doveva essere successo qualcosa e c'entrava Yiğit, ne ero più che sicura.

"Scappa dalla finestra" mi suggerì Ayhan.

"Se scappo non posso più tornare e ovunque io vada mi troverebbero. Meglio pensare a come posso risolvere la situazione" risposi.

Feci in tempo a mandare anche un ultimo messaggio a Can prima che mia madre mi sequestrasse il telefono. Per fortuna fui previdente e lo spensi, così che nessuno potesse controllare chiamate o messaggi.

Uscivo dalla mia camera solo per andare in bagno e per raggiungere la cucina dove, in silenzio, pranzavo insieme a mia madre, che non usciva nemmeno per andare al negozio, per tenermi d'occhio, a mio padre e ad Yiğit, la cui presenza per cena divenne fissa.

Una sera provai a parlare con lui, cercando di capire qualcosa, ma fu inutile, non smetteva di ripetere quanto ancora mi amasse e che insieme avremmo ritrovato la felicità. Tentai di parlare anche con i miei genitori, ma separatamente, perché mi ero resa conto che dei due mio padre era quello più debole, come me anche lui a cena parlava ben poco. Ma non ottenni nulla se non un: «Questo è quello che è meglio per te, figlia mia!», nonostante vedessi nei suoi occhi una malinconia e una rassegnazione che non comprendevo.
Con mia madre invece era come parlare al muro, per cui mi rassegnai in attesa di una soluzione che non riuscivo a trovare.

Il giovedì, dopo quattro giorni di reclusione, in cui temetti che sarei impazzita, bussarono alla porta. Mi affacciai dalla mia camera per curiosare chi potesse essere. Dalle scale, sentii la voce di Mihriban. Che ci faceva a casa nostra? Andò in cucina con mia madre e provai ad origliare senza farmi scoprire, trattenendo persino il fiato.

«Mevkibe, ho bisogno di chiederti un favore. Non lo farei se non fosse davvero importante ma, vedi, avrei bisogno che mi presti Sanem per qualche giorno. Lo so che i preparativi del matrimonio la tengono molto impegnata ma davvero ho bisogno del suo aiuto.»

"Cos'è questa storia del matrimonio? Quali preparativi?" Rabbrividii.

«Di cosa si tratta, Mihriban?» chiese mia madre.

«Ecco, mia figlia Aylin vorrebbe aprire un panificio a Komurluk, dove vive, e ha bisogno di una persona che le avvii quest'attività. Ho pensato che Sanem possa davvero esserle utile. Cosa ne pensi? Credi che Sanem possa trovare del tempo per lei?»

"Sì, sì, sì, ti prego, Mihriban, fammi uscire da questa gabbia!" urlai dentro di me.

«Non saprei, dovrei parlarne con Yiğit. Se per lui va bene, allora farò andare Sanem a Komurluk.»

"Cosa c'entra Yiğit? Perché mia madre deve chiedere a lui il permesso?" pensai. "E se... fossero sotto ricatto? Non è possibile! O sì?"

Tornai in camera mia e attesi la sera, dove a cena mia madre chiese il permesso a Yiğit di farmi star via qualche giorno. In un primo momento non accettò, non gli andava che mi allontanassi dal quartiere ma improvvisamente mi balenò un'idea della quale subito mi pentii ma che in quel momento era la mia unica via d'uscita: «Dai, Yiğit, ti prego, quando ci sposeremo non potrò più andare da nessuna parte se non con te. E poi, conosciamo Aylin da quando era bambina, non è vero, mamma?»

Tutti mi osservarono sconcertati. Improvvisamente avevo accettato l'idea del matrimonio. Fatto sta che Yiğit si emozionò e non poté rifiutarmi quella richiesta, per di più, aggiunse, che sarebbe dovuto ritornare a Maslak per lavorare.

Finalmente avrei potuto respirare un po' di libertà e nel frattempo decidere come far continuare la mia vita.

Partii due giorni dopo insieme a Mihriban con un taxi che ci condusse alla stazione.

Can

Ero sconvolto. Non riuscivo a contattare Sanem da due giorni, da quando eravamo tornati dal rifugio. Il suo telefono era sempre irraggiungibile, spento probabilmente. Non sapevo che fare, alla panetteria non sapevano nulla se non che era molto impegnata con i preparativi del matrimonio. Mi sentii mancare. Poi mi venne in mente la sua migliore amica, quella che lavorava nell'agenzia di mio fratello, forse lei sapeva qualcosa. Mi precipitai lì e Ayhan mi disse della "prigionia" a cui era costretta Sanem.

«Troveremo una soluzione, Can!» cercò di rincuorarmi, ma mi sentii impotente e sconfortato.

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Tre giorni dopo, il venerdì, entrai come una furia nell'ufficio di Akif sbattendo la porta contro la parete. «Voglio quell'incarico per Konya.»

«Ehi, calma, che ti prende?» chiese Akif alterandosi più di me.

«Ho bisogno di distrarmi. Chiama Alì e digli che il servizio fotografico lo faccio io. Questo è tutto.»

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora