CAPITOLO 36

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Sanem

Mia nonna ci aspettava sveglia. Quando mi vide arrivare avanzò verso me tendendomi le braccia e io mi ci buttai scoppiando in lacrime. Durante il viaggio ero stata abbastanza tranquilla, non ero riuscita a chiudere occhio nonostante Can mi incitasse a riposare e i miei occhi tendevano, di tanto in tanto, a chiudersi. Ci eravamo tenuti la mano per l’intero viaggio, la sua presenza mi faceva sentire più sicura.

Prima di entrare in casa, presentai Can a nonna Ateş che, senza troppe cerimonie, volle stringerlo come se lo conoscesse da tempo. Ci fece sedere intorno alla piccola tavola mentre lei preparò il tè che ci servì accompagnato da deliziosi biscotti alla marmellata.

Lì mi sentivo sempre a casa, la tranquillità di quel luogo e la compagnia di mia nonna mi donavano tanta pace.

«Per prima cosa,» disse nonna Ateş, «voglio sapere di questo bel giovanotto che fa brillare gli occhi della mia dolce nipote. Come vi siete conosciuti?»

A quelle parole avvampai e guardai Can che sorrideva.

«Avanti, raccontatemi!» ci esortò mia nonna.

E così potei finalmente parlarle di chi, da ormai un mese, era costantemente presente nei miei pensieri e mi aveva rubato il cuore. Io e Can ci scambiavamo sguardi dolci e talvolta divertiti; lui parlò poco, ma quel poco fu tutto, e bastarono i suoi occhi a parlare per lui, a far capire a mia nonna quanto fosse innamorato di me.

La luce del mattino che avanzava aveva rischiarato la piccola cucina e dalla finestra si riusciva a vedere già la vecchia magnolia distante diversi metri dalla casa. Stava facendo giorno e non potevo perdere altro tempo.

«Nonna, cosa sai di Yiğit?» chiesi all’improvviso, interrompendo la chiacchierata fra lei e Can. Io mi ero alzata per fare dell’altro tè perdendomi poi con lo sguardo oltre i vetri della finestra, la quale sembrava far da cornice agli alberi sempreverdi al di là di essa.

«Dimmi prima cosa è successo» mi sollecitò mia nonna.

Mi sedetti nuovamente e le raccontai di ciò che stava succedendo nella mia vita.

«Quello che mi fa rabbia, che non riesco proprio a capire, è il comportamento di mamma e papà. Perché vogliono che io sposi Yiğit? Perché non pensano alla mia felicità?»

«Immagino che non sanno di Can.»

«E come potevo parlargliene? E poi… stiamo insieme da pochi giorni» le rivelai.

«Ora dobbiamo innanzitutto pensare a cosa fare quando Yiğit verrà qui. Sono sicura che sospetti già di qualcosa» disse mia nonna.

«Beh… potresti dire di aver bisogno di me… che non stai tanto bene e che non posso lasciarti sola.» Il mio sguardo e la mia proposta dovettero apparirle imploranti. Prima fece una risatina e poi tornò ad essere seria.

«Sei furba, lo sai? Ma va bene, penso possa essere una scusa valida. Spero solo che tua madre non decida di venire ad assistermi o il piano fallirebbe.»

«Le dirai che vuoi me e io le farò capire che ho bisogno di tranquillità e tu mi aiuterai» dissi tutto d’un fiato.

«Bene, ora però abbiamo un altro problema. Dove nascondiamo il Colosso?»

«Il Colosso?!» feci eco.

«Eh beh… grande e grosso com’è, il giovanotto qui non passa di certo inosservato» asserì mia nonna facendoci sciogliere in una risata.

«Non preoccupatevi per me, andrò in città alla ricerca di un albergo.»

«Sempre che tu riesca a trovare una camera libera. In questa stagione pare che il mondo intero venga a Bursa» disse mia nonna.

«Ci proverò! Anzi, forse è meglio che mi muova.» Can si alzò.

«Tornerai da me, non è vero?» gli chiesi sulla soglia della porta.

«Certo che torno! Ma dovremo stare attenti» rispose accarezzandomi una guancia.

Gli sorrisi e prima che andasse via mi sollevai sulle punte e gli lasciai un bacio sulle labbra.

Tornai dentro casa dove mia nonna era rimasta seduta con la tazza di tè fra le mani.

«Tu sapevi tutto?» le chiesi, aspettando trepidante di capire perché non mi avesse mai detto nulla.

«Tempo fa, tua madre mi accennò di aver incontrato Yiğit per strada. In un primo momento aveva finto di non averlo notato ma quando lui la chiamò per nome lei non poté fare a meno di salutarlo. Le chiese scusa per averti fatta soffrire e le disse che non eri mai sparita dal suo cuore.»

Intanto che nonna Ateş raccontava, mi sentivo soffocare, e ancora non era arrivata alla parte cruciale.

«Tua madre gli disse che era a te che doveva chiedere scusa semmai e che sia lei che tuo padre avrebbero accettato qualsiasi tua decisione. Ma lui, ben sapendo che tu sicuramente ormai avevi messo una pietra sopra quella storia, giocò la sua carta, che a tua madre fece venire un colpo.»

«Cosa ha fatto?» chiesi tremante.

«Disse che tu e lui… che tra voi due c’era stato molto di più… insomma Sanem, ha fatto capire a tua madre che tu non sei più pura.»

Il cuore mi balzò letteralmente in gola, gli occhi mi si riempirono di lacrime, mi mancava il respiro.

«Con-continua» balbettai.

«Tu sai quanto i tuoi genitori ci tengano a questo, ma nonostante ciò tua madre non gli credette. A te non disse nulla per non metterti in imbarazzo e per non forzarti a rivedere quel ragazzo. Quando me ne parlò, le consigliai di lasciarti stare, che se anche fosse stata la verità avevi comunque il diritto di scegliere da sola. Ovviamente lei non fu d’accordo e i giorni seguenti tornò sul posto dove aveva incontrato Yiğit sperando di rivederlo. Voleva la prova che ciò che avesse detto fosse la verità.»

Io continuavo a piangere coprendomi il viso con le mani. La vergogna si stava impossessando di me.

«Lo rivide poco prima che tu facessi ritorno da Bursa, quando sei venuta a trovarmi il mese scorso, e gli chiese, appunto, la verità. Lui ammise di conoscere quello strano neo a forma di mezzaluna che hai nell’inguine e che per vederlo non basta indossare nemmeno un costume. A tua madre non servì sentire altro, Yiğit approfittò dicendole che ti avrebbe sposata ma che aveva bisogno del loro aiuto. Fu così che acconsentirono, nonostante le mie proteste. Ma tua madre non ha voluto sentir ragioni.»

Ero senza parole. Mi sentivo annientata.

«Quindi anche mio padre… sa…» furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.

«Sì, tua madre gliel’ha detto. Ma il punto è un altro, Sanem… E’ vero?»

Non risposi subito ma poi annuii. Mi vergognavo, non solo perché i miei genitori sapevano… ma perché mi ero pentita di essermi concessa a chi non mi aveva meritata.

«Io non ti giudico, Sanem, e farò di tutto per aiutarti!» concluse mia nonna venendo verso di me e abbracciandomi.

Scoppiai in singhiozzi e pensai che, in quel momento, fosse un bene che Can non fosse presente. Era l’unica cosa di cui non gli avevo parlato e poi stavamo insieme da pochi giorni. Al momento opportuno gliel’avrei detto.

«Devo prendere aria. Ho bisogno di respirare» dissi sciogliendomi dall’abbraccio di mia nonna e correndo fuori, sperando di calmarmi.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora