CAPITOLO 12

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Can

Non capivo cosa mi stesse accadendo. Dentro di me sentivo come uno tzunami pronto a travolgermi. Quegli occhi mi fissarono per poco ma bastò a leggervi delusione.

«Perdonami, Aicha, ma devo andare!» E senza esitare mi allontanai, lasciandola nuovamente da sola in mezzo ad altra gente.

«Can, eccoti qui, finalmente!» disse mio fratello apparendo dal nulla.

Non mi ero accorto di essermi avvicinato ad Emre e a mio padre, i miei occhi stavano cercando di nuovo lei avendola persa di vista.

«Allora, fratello, ti stai divertendo? Hai visto che l'idea di venire qui non era poi così male?» continuò Emre sorridendo maliziosamente.

«Can, stai un po' con noi, figliolo. Vieni, sediamoci, raccontami come stai.» Per fortuna mio padre mi tolse dall'imbarazzo di rispondere ad Emre.

«Sto bene, papà, un po' stanco ma va meglio!» risposi sorridendogli.

«Mi dispiace così tanto per tua nonna Yıldız. Se lo avessi saputo prima avrei cercato di tornare per starti vicino» disse poggiando una mano sulla mia spalla come gesto d'affetto.

«Tranquillo, papà, sono tornato solo questa mattina dall'Italia. Mi ha fatto comunque piacere incontrarti, sono venuto qui a posta.»

«Lo so, so quanto ti annoiano queste serate e ti ringrazio davvero tanto. Ci tenevo troppo a vederti. Purtroppo domani devo ripartire per Ankara, non posso trattenermi qui ad Istanbul.»

Sapevo quanto fosse impegnato mio padre e da quando avevo intrapreso la mia strada si era sentito meno in colpa nei suoi viaggi di lavoro. Non era più costretto a tornare a casa nell'immediato per stare insieme al suo bambino ormai cresciuto, fargli sentire la sua presenza e tutto l'affetto che un padre potesse riversare in doppia quantità a causa dell'assenza di una madre. Nonostante non avessi vissuto con lui quotidianamente, ogni volta che tornava a casa mi dedicava ogni singolo istante. Spesso lasciava persino che saltassi la scuola per portarmi con lui in gita fuori. Queste attenzioni avevano permesso di non minare il nostro rapporto, per quanto mi mancasse, il suo ritorno era sempre una festa per entrambi.

Trascorsi la successiva mezz'ora in sua compagnia, ricordando alcuni aneddoti del passato, mentre i miei occhi, di tanto in tanto, vagavano per la sala alla ricerca di quella ragazza ma senza mai trovarla.

Alcuni clienti importanti dell'agenzia si avvicinarono a noi e intrapresero una conversazione "professionale" con mio padre. Si aggiunsero sempre più persone e capii che il nostro incontro era già finito.

«Scusatemi!» li interruppi. «Papà, io vado via. Sono contento di averti rivisto.» Non aggiunsi altro e lo abbracciai. Mi diede una pacca sulle spalle.

«Abbi cura di te, Can. E se ti trovi a passare da Ankara non esitare a venirmi a trovare.»

«Sarà fatto!»

Dopo aver salutato mio padre ed Emre, decisi di lasciare la festa e tornarmene a casa. Ma prima di andar via, mi voltai intorno un'ultima volta. Di lei non c'era traccia.

Sanem

Non lasciai subito la festa, volevo salutare Guliz e gli altri impiegati che avevo conosciuto. Mi sembrava scortese andare via così. Distolsi gli occhi dallo sconosciuto e da quella sanguisuga che gli stava incollata addosso, pensando che lui era come tutti gli altri. Bastava che una donna avesse due belle gambe, che fosse provocante e che respirasse per caderci ai piedi come un salame, tipico della maggior parte degli uomini.

Rimasi alla festa ancora un po' chiacchierando con Ayhan e Guliz, finché entrambe dovettero allontanarsi per incontrare, insieme ad altri colleghi, non so quale importante cliente che avrebbe collaborato con l'agenzia. Approfittai di quell'occasione e mi congedai, promettendo a Guliz che ci saremmo riviste presto.

Prima di lasciare la sala, il mio sguardo vagò alla ricerca dello sconosciuto ma senza trovarlo. "Sicuramente sarà andato via con la sanguisuga!" pensai.

Presi l'ascensore, per fortuna nessuno s'intrufolò all'interno e mi lasciai andare ad un gran sospiro.

«Cosa fai, dormi? Non mi dici niente, ora?» dissi, parlando alla mia voce interiore.

"Cosa vuoi che ti dica? Ti sei risposta da sola."

«E' tutto quello che hai da dirmi? Complimenti! Quando servi te ne stai zitta, quando devi lanciare frecciatine, invece, sei sempre presente» esclamai arrabbiata.

"Se parlo, tu mi aggredisci. Però una cosa devo dirla" rispose la voce.

«Sì, avanti, parla!»

"Come ti guardava... sembrava perso nei tuoi occhi!"

«Per poi perdersi nelle braccia di quella, però!» ribattei delusa.

"Allora ci siamo sbagliate. Basta, finiscila qui!"

«Cosa dovrei finire? Non è mai iniziato niente» dissi spazientita.

"Meglio così. Il pollo che fa il galletto meglio notarlo subito."

«E questa frase da dov'è uscita?»

Le porte dell'ascensore si aprirono al piano terra e nello stesso istante la mia voce si dileguò. Attraversai la reception e uscii fuori, chiamai il servizio dei taxi e mi dissero che il primo sarebbe arrivato entro dieci minuti.

Mi poggiai al muretto che percorreva il marciapiede all'ingresso dell'agenzia e attesi con le braccia conserte. L'aria si era leggermente rinfrescata e non avevo pensato di portare con me un coprispalle.

Trascorsero più di dieci minuti e stavo iniziando a spazientirmi, inoltre non facevo altro che ripensare a quelle braccia possenti che mi avevano avvolta, prima alla scogliera, poi mentre ballavamo.

«Uffa, Sanem, dacci un taglio, smettila di sognare» ripetevo a me stessa come una litania.

All'improvviso, qualcuno alle mie spalle si schiarì la voce e mi voltai.

L'odore del paneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora