2012 pt.2

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Londra, Venerdì 20 Gennaio 2012


Quando ero arrivato tutto sembrava girare intorno a noi. Eravamo riusciti perfino ad uscire un paio di volte, senza troppi problemi. Ma quel piccolo paradiso che eravamo riusciti a creare, improvvisamente sparì dopo a malapena una settimana. Michael si era rinchiuso, così, nel suo studio, e se ne stava o al computer, senza scrivere, oppure al pianoforte, senza neanche suonare. Per carità, io non mi aspettavo che passasse ventiquattr'ore su ventiquattro con me, però ero andato a stare con lui, per un breve periodo di tempo, per cercare non solo di avere un po' di meritato riposo, ma soprattutto per aiutarlo a distrarsi un pochino, soltanto un pochino. Invece, niente. Sembravo non esistere proprio più per lui. Non veniva a dormire prima delle tre, e lo sapevo perché lo aspettavo, pur facendo finta di essermi addormentato. Eppure, la prima settimana era stato così affettuoso con me, così dolce. Era come se improvvisamente fosse ricaduto nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni senza riuscire ad uscirne, e mi faceva dannatamente male vederlo così. Ma era anche così testone ed impulsivo, che forse neanche si rendeva conto dell'effetto che aveva su se stesso, ed anche su di me, per dirla tutta, e di conseguenza sulla nostra relazione. Davvero, in quelle due ultime settimane vederlo era diventato un privilegio.
Il 21 io dovevo ripartire. Era la sera del 20 e, con mio grande dispiacere, avevo finito di rifare le valigie. Le stavo portando in soggiorno, per averle pronte la mattina seguente, per andare in aeroporto. Tuttavia, mentre facevo avanti ed indietro per il corridoio, decisi di aprire leggermente la porta del suo studio, per accertarmi che stesse bene. Ma lo vidi seduto vicino al pianoforte, con lo sguardo rivolto verso il basso e le dita che si muovevano sui suoi tasti, senza realmente suonarli. L'espressione del suo viso era contratta in una smorfia quasi di dolore, e Dio solo sapeva che peso sentivo al cuore vedendolo così. Come al solito, non ero abbastanza per alleviare le sue sofferenze, e forse quella era la cosa che più faceva soffrire me, perché a me, alla fine, bastava un suo sorriso per sentirmi meglio, per lui no.
"Michael, amore, è tutto okay?" Gli domandai preoccupato avvicinandomi a lui, che alzò la testa di scatto facendo incontrare i suoi occhi, nei quali riuscii a leggere addirittura dell'angoscia, con i miei. "Ehi, che hai?" Proseguii poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla ed inginocchiandomi al suo fianco. Lo sai cos'ha che non va.
"Please, Marco, leave me alone." Rispose riabbassando lo sguardo e levando le mani dai tasti.
Quelle parole, dette con quel tono supplichevole, per giunta, furono una vera e propria pugnalata al cuore. Era come se improvvisamente fosse ritornato il vecchio Mika. Quello che non si fidava del tutto di me e che si ostinava a tenersi tutto dentro. Sentii una strana sensazione alla gola, come se tutto ad un tratto qualcosa volesse bloccare ogni mia possibilità di respirare, unita ad una fastidiosa fitta al petto ed ad una sensazione di calore fin troppo alto dal collo in su.
"P-perché?" Gli chiesi titubante cercando di controllare le mie emozioni.
"Perché sì. Io ha bisogno di stare alone." Disse semplicemente privandomi ancora dei suoi occhi.
"M-ma..." Tentai di iniziare a parlare chiedendogli un'ulteriore spiegazione.
"No ha capito cosa io ti ha chiesto?!" Domandò interrompendomi, contraendo il viso in un'espressione scocciata ed arrabbiata.
"Ma Mika, io..." Non potevo vederlo in quello stato.
"Ora me arabia, Marco. Quale part tu no capisce when io dice di lasciarme alone? Te deve dire di andartene? Così capisce melio?" Disse con tono fin troppo strafottente. Non è Michael.
Mi stava ferendo, sempre di più, con quelle parole. Era come se avesse preso un coltello, me l'avesse piantato nel petto e lo stesse rigirando, più e più volte, a suo piacimento, più sadico che mai.
"I-io veramente volevo dirti che domani ho l'aereo per Roma, dato che devo ricominciare i preparativi per il concerto, con un po' di anticipo. Volevo solo passare un po' di tempo con te. Tutto qui." Spiegai velocemente portandomi una mano sul braccio, massaggiandolo imbarazzato, mentre tentavo di reprimere le lacrime.
"What? Io pensava che te ne andava il primo de febraio." Affermò confuso alzandosi immediatamente dallo sgabello.
"Ecco, lo avresti potuto sapere se mi avessi ascoltato almeno una volta, in quelle rare occasioni in cui siamo stati insieme in queste ultime due settimane." Dissi abbassando la testa deluso.
"Tu invece non me lo ha mai deto!" Alzò la voce improvvisamente dando un pugno contro il pianoforte, facendomi sussultare.
"Sì, invece!" Alzai il tono, a mia volta, indispettito.
"Tu mente." Continuò puntando i suoi occhi accusatori ed arrabbiati su di me. Ma perché fa così...
"Ah, davvero? E che ci guadagnerei a mentirti, eh? Dimmelo, per favore, perché io evidentemente non capisco neanche questo." Ero infastidito e, soprattutto, deluso. Come può pensare una cosa del genere.
"I don't know, but io no me ricorda questa cosa." Disse con tono più pacato incrociando le braccia al petto.
"Se tu non sei capace di ascoltare o non possiedi la memoria sufficiente per ricordarti certe cose, allora di certo la colpa non è la mia, ma non azzardarti più a darmi del bugiardo!" Urlai pieno di rabbia uscendo e sbattendo violentemente la porta.
Lo avevo continuato a sopportare, sul serio, ma che mi accusasse di mentire proprio non potevo reggerlo. Insinuare che volessi fregarlo era davvero troppo. Ormai le lacrime avevano fatto la loro lenta e dolorosa salita verso i miei occhi, che cercavano tuttavia di reprimerle, in un qualche modo.
"No, Marco, wait..." Sentii la sua voce improvvisamente raggiungermi e la sua mano afferrare la mia girandomi verso di lui.
"Lasciami, per favore." Gli chiesi sul punto di piangere cercando di sfilarla dalla sua presa.
"No, please, listen to me." Disse con tono supplichevole tenendomi stretto.
"No, ascoltami tu. Sono stanco di non essere abbastanza per te, Michael. Io ci ho provato, ci provo ogni santissimo fottuto giorno, ma niente. Non sono niente evidentemente e non puoi neanche lontanamente immaginare quanto questo faccia male." Sputai fuori, quando ormai i miei occhi non riuscivano a vedere chiaramente niente, impedendomi di capire cosa stesse pensando o provando.
"No, Marco, io ti amo, sor..." Cercò di iniziare a parlare, ma erano sempre le solite scuse.
"Sorry di là, sorry di qua. Marco, ti amo. Non dici altro, Mika." Chiusi gli occhi cercando di ripulirmi almeno un po' la vista, e tutto quello che riuscii a vedere era lui che gesticolava, senza sapere cosa dire esattamente, dopo che mi ebbe lasciato la mano.
"Because it is the truth." Disse, dopo un po', con tono di certo più tranquillo di quello di pochi attimi prima.
"Scusa, ma adesso sono io a non avere voglia di parlare con te." Sussurrai appena dirigendomi verso la cucina.
"Plea..." Sentii la sua mano afferrare il mio braccio, per fermarmi, ma sfuggii alla sua presa immediatamente, quando ormai anche la sua voce era spezzata.
"Per favore te lo chiedo io, Mika. Non voglio dirti cose che potrebbero ferirti o di cui io potrei pentirmi. Io almeno a queste cose ci penso." Aggiunsi per, poi, andarmene e lasciarlo lì da solo in corridoio.
Detestavo discutere o litigare con lui, ma quella volta davvero non ero più riuscito a controllarmi. Per quanto io lo amassi, non capiva quanto alcune parole e determinati atteggiamenti potessero ferirmi. Sapevo che lui fosse troppo per me e che forse facevo troppo poco per lui, per riuscire a colmare le sue mancanze o comunque a tranquillizzarlo, ne ero consapevole. E però non capivo proprio perché, così, da un momento all'altro, tutto fosse cambiato nuovamente, e lui dovesse rovinare quel piccolo periodo di tempo che potevamo passare finalmente insieme, prima che io partissi. È vero, sarei tornato quasi subito per altri due mesi, per riprendere dopo un tour teatrale ad Aprile, però era chiedere tanto passare del tempo in santa pace, senza problemi, col proprio ragazzo? Beh, evidentemente sì. Forse era solo colpa mia, ma ciò non cambiava l'intensità del dolore che provavo.
Me ne andai in cucina sperando che, quella volta, non mi seguisse. Sentivo il bisogno di bere e, quando ne sentivo il bisogno, automaticamente dovevo fumare. Così, presi quello che mi serviva ed uscii fuori, per prendere una boccata d'aria, sedendomi sui primi scalini, consumando quella bottiglia ed accedendomi una sigaretta. Alla fine, di fatto, io non avevo mai smesso né di bere ed ancora meno di fumare. Avevo di certo ridotto il loro consumo, ma non l'avevo azzerato del tutto. Se non c'era Mika, per fortuna c'erano solo a consolarmi, quindi ne sentivo un dannatissimo bisogno. Inalare quel fumo e sentire l'alcol invadere il mio corpo, mi dava quella piccola sensazione di libertà che, di fatto, non avevo. Mi davano la possibilità di piangere senza sentirmi in colpa e di fregarmene se la gente, come in quel momento, mi fissava, chi preoccupato, chi scandalizzato. Se volevo ridere, lo facevo. Se volevo piangermi addosso, lo facevo. Se volevo dare un calcio alla bottiglia, lo facevo. Semplice.
Sentii la porta alle mie spalle aprirsi improvvisamente ed ovviamente non poteva che essere lui, per parlare e chiarire la situazione, ma non sapevo se sarei stato disposto a farlo quella volta. Almeno, non subito.
"Marco, entra?" Chiese rimanendo dietro di me.
"No, fra un po', magari." Cercai di rispondere con tono pacato giocando con la bottiglia di birra che avevo in mano.
"Please." Sussurrò non volendo stare fuori a quell'ora probabilmente, senza però avere nessuna risposta da parte mia. "Oh, e va bena." Lo vidi con la coda dell'occhio sedersi accanto a me sulle scale, mentre mi continuava ad osservare. "Tu no dovresta fumare" Mi rimproverò togliendo dalle mie labbra la sigaretta, che avevo acceso poco prima. "e neanche bere."
"Senti, non cominciare a fare il paparino apprensivo. Mi da sui nervi." Dissi francamente e riprendendogliela dalle mani.
"Marco, please, non me piace quando fai così." Affermò con tono preoccupato, mentre cercava il mio sguardo, facendomi fare un piccolo sorriso amaro.
"Sapessi quante cose non piacciono a me." Affermai, a mia volta, rimettendomi la sigaretta in bocca.
"Listen, I'm really sorry. Sa di no essere il massimo, okay? I'm a fucking disastre e sono antipatico quando diventa così, ma no ce poso fare niente. Io poso cercare di cambiare for you, Marco, but at the moment, io sono così." Cambiare per me? Volsi il mio sguardo verso di lui fregandomene se avrebbe visto le lacrime, incontrando i suoi occhi tormentati. Io non volevo che cambiasse per me, lui era perfetto così com'era, ma mi faceva comunque male vederlo così e sentirmi impotente. "Okay?" Ritentò avvicinandosi leggermente a me.
"Io non ti chiederei mai di cambiare. Non voglio che tu lo faccia, Michael." Dissi per, poi, portarmi la bottiglia alla bocca, ma vidi la sua mano fermarmi ed afferrarla. "Ehi, ma che fai." Farfugliai contrariato.
"No beve quando tu è con me." Replicò con tono e sguardo severo.
"Ti devo ricordare cosa è successo l'ultima volta che ti sei ubriacato tu?" Domandai con espressione vittoriosa sapendo che l'avevo colpito nel profondo. "E se non vuoi vedermi bere, vattene." Aggiunsi senza pensare più di tanto.
Vidi il suo viso quasi rilassarsi per, poi, contrarsi diventando sofferente. Socchiuse gli occhi, che riuscii a vedere diventare rapidamente, sempre più, lucidi ed aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse, poco dopo, per alzarsi ed entrare in casa sbattendo la porta.
Ripresi la bottiglia e ripensai a quello che avevo appena visto. E lì, in quel momento, mi resi conto di aver fatto una cazzata immane. Come potevo avergli rinfacciato una cosa del genere, sapendo quanto ci avesse sofferto? Sei un dannatissimo stronzo. Ero passato dalla parte del torto. Alla fine, ce l'aveva fatta. Aveva vinto lui venendo da me e facendomi dire quelle cose, senza che io pensassi realmente alle conseguenze.
Spensi velocemente la sigaretta ed entrando in casa sentii una piccola melodia provenire dal suo studio, così mi diressi lì. In realtà, non era una piccola melodia, erano semplicemente le sue mani poggiate pesantemente sui tasti del pianoforte, mentre si dondolava leggermente nel tentativo di calmare inutilmente le lacrime tenendo gli occhi strettamente chiusi. Prese improvvisamente tutti i fogli bianchi che aveva, le penne ed i pennarelli e li gettò per terra, con un gesto deciso, facendo uscire da quelle sue labbra perfette un piccolo lamento. Il suo torace si muoveva velocemente avanti ed indietro, assecondando il suo respiro fin troppo accelerato dalla rabbia e dal dolore. Si poggiò al muro strisciando su esso, fino a finire per terra, portandosi al petto le ginocchia, affondandoci il viso, contratto ancora in quella espressione, che avrei tanto voluto non aver mai visto.
"Stupid, stupid, stupid." Lo sentii lamentarsi sussurrando, mentre si dava dei colpetti sulla testa e, in quel momento, capii che non potevo davvero più sopportare di vederlo così.
"Michael." Richiamai la sua attenzione spalancando la porta completamente e sedendomi accanto a lui, facendolo smettere. "Per favore, basta." Lo pregai guardandolo in quei suoi occhi coperti da un evidente velo di delusione e malinconia. "Mi dispiace. Scusami, non avrei dovuto. Capisci perché ti avevo detto di lasciarmi solo adesso? Non volevo ferirti." Gli spiegai velocemente.
"Io ha fato stesa cosa. But, you know, io no credeva che tu aveva dimenticato, ma sperava almeno che mi aveva perdonato."
"Ma io l'ho fatto. L'ho fatto il giorno stesso. Amore, guardami." Sentendomi chiamarlo in quel modo alzò la testa di scatto. "Per favore, perdonami." Mi guardò ancora una volta col viso rigato dalle lacrime per, poi, nasconderlo nel mio collo.
"Sorry." Farfugliò stringendomi.
"Ssh." Cercai di tranquillizzarlo avvolgendolo, a mia volta, fra le mie braccia ed accarezzandogli delicatamente i capelli.
"Sorry per questi days, per prima e per tuto il resto." Disse con voce ovattata e spezzata dal pianto, mentre io cercavo di cullarlo, ma, ancora una volta, le sue lacrime si scagliavano come lame affilate contro la mia pelle, e facevano ancora più male sapendo che ero stato io stesso a provocarle.
Dovevo smetterla davvero di bere. Anche se non mi ero ubriacato, farlo potrebbe essere per sempre stata un'arma a doppio taglio. Per quanto potesse farmi liberare, poteva farmi dire cose che lo potevano ferire seriamente. Era vero, lui aveva sbagliato a comportarsi in quel modo, ma io non ero stato da meno. Nel mentre, però, nella mia testa giravano troppe domande. Se non fossi davvero stato quello giusto per lui? Se l'avessi fatto continuare a soffrire al mio fianco? E se fosse stato meglio senza di me? Eppure, io una vita senza di lui non riuscivo più ad immaginarmela e risultava alquanto ridicola ai miei occhi. Anche perché ciò che c'era stato prima di lui non potevo di certo definirla vita.
In tutto ciò, non sapevo che ore fossero, ma sapevo per certo che fosse decisamente tardi, infatti non molto tempo dopo, Mika si era addormentato fra le mie braccia, ed io ne approfittai per asciugargli velocemente il viso. Non molto tempo più tardi sarei partito, e non avevo speso le ultime ore di quella giornata con lui come speravo. Ed in più, mi chiedevo se le cose sarebbero rimaste le stesse, se non avesse avuto rancore nei miei confronti per ciò che gli avevo rinfacciato, e soprattutto se mi avrebbe amato allo stesso modo. La situazione, di suo, era già molto complicata da parte sua, ora questa cosa l'avrebbe resa ancora più difficile.

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