2011 pt.3

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Roma, Lunedì 8 Marzo 2011

Poco dopo l'incontro con mia madre, Michael era stato costretto ad andare a Londra per qualche giorno, ma da quando era tornato aveva assunto un comportamento ancora più strano di quello di prima. A parte il fatto che si stava lasciando andare un po' di più a dei pianti, cosa forse in parte positiva, stava diventando sempre più freddo, ed anche quasi terrorizzato da qualunque cosa accadesse attorno a noi, ma oggi...
Rimasi ad aspettarlo, per parlare un po', guardando il soffitto portando le braccia sotto la testa, per sollevarmi leggermente ed avere una visione di insieme migliore della stanza, mentre aspettavo che Mika si infilasse sotto le coperte con me. Ero stato praticamente tutto il giorno nello studio a scrivere e comporre, ed effettivamente l'avevo un po' trascurato, e sembrava, ancora più, giù di corda. Appena sarebbe arrivato, mi sarei scusato. Almeno, quello era ciò che volevo fare. Portai il mio sguardo su di lui, quando lo vidi entrare, con la coda dell'occhio. Gli sorrisi dolcemente, ma lui mi rispose facendo uno dei suoi sorrisi forzati per, poi, asciugarsi il viso con il colletto del pigiama. Ma che ha. Sospirai e mi misi a sedere osservando i suoi movimenti meccanici. Continuai così, fino a quando si portò lentamente sul letto, sembrando quasi in difficoltà, e si sdraiò dandomi le spalle. Ero confuso. Dovevo farmi perdonare, ma sussultò leggermente, quando poggiai una mano sul suo fianco.
"Michael, amore, è tutto okay?" Gli domandai incerto rompendo il silenzio.
"Sure." Disse senza girarsi. Certo.
"A me non sembra." Continuai accarezzandogli la schiena, ma, quando lo sentii muoversi leggermente, quasi infastidito, sotto il mio tocco, mi fermai. "Senti, mi dispiace per oggi, ma ho dovuto buttare, per forza, giù qualche idea per il disco. Dobbiamo ultimarlo entro settembre, capisci?" Tentai, senza ricevere alcuna risposta, se non un altro piccolo movimento meccanico, quasi impercettibile, della testa. "Andiamo." Avvolsi i suoi fianchi con le mie mani e lo abbracciai da dietro, sentendolo poi quasi tremare. Allentai la presa e mi sollevai, per lasciargli semplicemente qualche bacio sul collo, ma, non vedendo alcuna reazione da lui, mi staccai e lo guardai: teneva gli occhi bassi e muoveva nervosamente le dita sul materasso. "Michael." Lo richiamai girandogli il viso delicatamente verso di me, per vedere meglio i suoi occhi. "Scusami." Ripetei dispiaciuto. Mi prese la mano e la cominciò ad accarezzare sorridendo, senza però mostrare i suoi incisivi, che tanto amavo.
"It's okay. Good night." Disse semplicemente sistemandosi meglio e chiudendo gli occhi.
"Buona notte." Dissi, a mia volta, deluso spegnendo la luce.
Era così dannatamente strano quel giorno. Mi sentivo male ripensando a quello che era successo pochi attimi prima. Non ha senso. È vero, sei stato uno stronzo a lasciarlo solo per tutte quelle ore, però... Oh, uffa, mi farò perdonare domani. Ma avevo sbagliato così tanto? Mah. Buttai un occhio su di lui, un'ultima volta, e cercai di dormire, senza realmente riuscirci.

Martedì, 16 Marzo


Okay, in questi lunghi, e fottutissimi, giorni, è sempre più strano. Non si fa toccare e mi sembra così distaccato. Continuai ad osservarlo mentre dormiva. Però, nonostante tutto quello che era successo, come al solito era adorabile con i suoi capelli arruffati, gli occhioni chiusi e le labbra schiuse, che facevano intravedere i suoi dentoni. Sì, non mi stancherò mai di chiamarli così. Non avrei saputo dire esattamente perché mi avessero preso così tanto, sinceramente. Forse per l'aspetto ancora più bambino che gli davano. O forse perché quando sorrideva erano la prima cosa che mostrava. O ancora, forse perché riuscivano a fargli fare certe faccine incredibilmente divertenti. Non lo so, ma che importa? È perfetto così. Gli scostai con un dito delicatamente un ciuffo, che gli cadeva sul naso. Potrebbe dargli fastidio. La mattina, spesso, cercavo di svegliarmi presto, o comunque prima di lui, per guardarlo dormire. Anche se negli ultimi giorni, sinceramente avevo un po' paura che potesse fare altri incubi, ma per fortuna non fu più così, se non si contava qualche lamento o frase strana. Di solito, non solo durante la giornata, era sicuro sarebbe stato un maledettissimo innocente orsacchiotto pestifero e combina guai, ma continuava ad esserlo anche durante la notte. Guardarlo per me, non era solo un meraviglioso spettacolo, ma anche una tentazione continua a svegliarlo improvvisamente, sussurragli che lo amavo, rimpossessarmi di quelle labbra a forma di cuoricino e, perché no, farci l'amore. Soprattutto, perché in quelle ultime settimane non si era fatto amare in quel modo. Sviava sempre un po', e non riuscivo a capirne il motivo, ma cercai di non farglielo pesare più di tanto. Tuttavia, ero deluso e disorientato dal suo comportamento ed il suo cambiamento improvviso.
Solo quando si mosse leggermente, abbracciando il cuscino ed assumendo poi un'espressione imbronciata, schiacciando la guancia contro esso, fui riportato alla realtà. Sospirai incantato, ancora una volta, scacciando via quei pensieri. Lo vidi muoversi lentamente verso di me e posare pesantemente il suo braccio sul mio fianco per, poi, tirarmi a sé, riservando al mio collo lo stesso trattamento, avuto poco prima dal cuscino: vi poggiò il suo viso solleticandolo con i riccioli, che mi preoccupai di sistemare ed accarezzare. Vorrei fermare il tempo. Vorrei non dover partire tra pochi giorni, separandomi ancora una volta da lui. Gli accarezzai con il tocco delicato di uno dito il braccio, stranamente coperto. Non gli piaceva dormire senza maglietta, per carità, ma usava di solito una canottiera, invece quella volta ce l'aveva a maniche lunghe. Effettivamente, è un po' che dorme così. Strano. Gli presi la mano e cominciai a giocherellare lentamente con le sue dita, ma osservandole bene vidi qualcosa di rosso sotto le unghie e dei graffietti appena accennati, a cui non avevo mai fatto caso sinceramente. Strano. Rimasi ad osservarlo attonito e preoccupato. Gliela accarezzai lentamente e vidi il suo viso assumere un'espressione infastidita. La maglietta. Sgattaiolai velocemente da sotto di lui mettendomi sulle ginocchia e lo scoprii leggermente, il giusto per alzarla e controllare una cosa. Nelle ultime settimane non si lascia abbracciare molto e se ci provo sussulta sempre. Forse però non avrei dovuto farlo. Mi si bloccò il respiro vedendo ciò che aveva nascosto per tutto quel tempo. E lì, tutti i miei dubbi trovarono un loro perché, anche se sarebbe stato meglio non scoprirlo, da un lato. Aveva un segno, abbastanza esteso, giallognolo verdognolo, e sapevo troppo bene di cosa si trattasse. Lo continuai ad osservare e, poi, spostai il mio sguardo su di lui, che continuava a dormire beato.
"Mika." Cominciai a scuoterlo per un braccio, nel tentativo di svegliarlo, dopo avergli riabbassato la maglietta. "Mika, avanti, svegliati." Continuai, senza avere grossi risultati. "Michael!" Alzai la voce per, poi, vederlo contrarre il viso chiudendo di più gli occhi.
"Mmh..." Si lamentò girandosi. Eh, no. Mi portai anche io, allora, dall'altra parte.
"Mika, forza, svegliati." Ricominciai a muoverlo, più bruscamente.
"Mh, oh, come on, Marco. What are you doing? Stop it." Mi disse assonnato portando il cuscino sopra la testa, che mi occupai di levare subito. "Ma che te prende?" Aveva un'espressione confusa e disorientata, mentre io lo guardavo con sguardo estremamente serio. "Ti senta bene?" Chiese poggiando le mani sul materasso e tirandosi su.
"Non lo so, dimmelo tu." Continuai ad osservarlo in modo grave.
"Che ha fatto?" Si stropicciò gli occhi, ma poco dopo gli presi il braccio e gli mostrai ciò che io avevo visto, poco prima.
Mi guardò con espressione sorpresa, di chi sa di essere stato beccato in fragrante.
"Cosa sono questi, Michael?" Gli chiesi con tono gelido.
"I-I Me... yes, Mel!" Esclamò improvvisamente, in modo altamente poco credibile.
"Pensi che sia stupido?!" Gli domandai alzandogli la maglietta per, poi, allontanarmi da lui. Forse se non avessi visto quel livido e gli altri segni, ci sarei cascato, ma pensandoci bene Mel è troppo buona per fare una cosa del genere. Lo osservai in silenzio cercando di capire e carpire qualcosa dai suoi occhi, che sembravano così smarriti, in quel momento. Quando però li vidi diventare lucidi e riempirsi di lacrime lentamente ed il suo labbro cominciare a tremolare velocemente, mi riavvicinai a lui ed avvolsi le mie braccia al suo collo. "Scusami." Sussurrai stringendolo a me. Lo sentii respirare rumorosamente sulla mia spalla e stringermi a sua volta. Chiusi gli occhi cercando di capire cosa stesse succedendo, ma niente. Non volevo arrabbiarmi con lui, né tanto meno turbarlo in qualche modo. "Che è successo?" Soffiai sul suo collo con voce quasi rotta. Sentivo che sarei potuto crollare da un momento all'altro, ma non volevo e non dovevo farlo, semplicemente per lui. Mi staccai e vidi il suo naso leggermente arrossato e le sue guance rigate dalle lacrime, che mi preoccupai di asciugare con i palmi mettendomi a sedere accanto a lui. "Allora?" Non rispose. Abbassò semplicemente il viso tirando su col naso e prendendo la mia mano.
Forse avevo capito il perché di quell'incubo e di quel suo comportamento strano e, spesso, disorientato e distaccato, ma non volevo crederci. Era assurdo, completamente assurdo. Qualcosa dentro di lui si era spezzato. Sicurezze, in parte la sincerità, tutto... spezzato.
"It was an accident." Disse a bassa voce, dopo un po'.
"Di che genere?" Lo incitai a continuare senza staccare i miei occhi dal suo corpo. Volevo capirci qualcosa, ma sembrava solo impaurito, mentre guardava un punto fisso sul materasso senza dire niente. Non c'era niente da fare: mai come in quegli attimi sembrava un bambino distrutto dal dolore, ma incapace di esternare e spiegare ciò che provava a parole. Era così che me lo ero sempre immaginato alle prese con dei bulli, e così era in quel momento. L'unica differenza era che io non ero uno di quegli animali, ero il suo ragazzo, e non capivo perché si ostinasse, ancora una volta, a tenersi tutto dentro. "Mika, non posso aiutarti se non mi dici che succede." Rimase in silenzio. "Che è successo a Londra?" Mi avvicinai a lui prendendogli anche l'altra mano, cercando il suo sguardo.
"Listen," Finalmente riuscii ad incontrare i suoi occhi. "this is my problem, not yours, okay?" Lo guardai con espressione tra il confuso e l'arrabbiato. Come può dire una cosa del genere?
"I tuoi problemi sono anche miei." Dissi serio.
"Se sistemerà tuto, Marco." Abbassò di nuovo la testa. Neanche lui ne è convinto.
"Che ti succede negli ultimi tempi." Era più un affermazione che una domanda, però non ricevetti risposta, e lì, esplosi davvero di rabbia, che continuava a ribollirmi dentro. "Che cazzo succede?!" Urlai alzandomi dal letto, sotto i suoi occhi smarriti. "Me lo devi dire, Michael. Sono il tuo ragazzo, me lo devi." Dissi, quando ormai le lacrime scendevano copiose sul mio viso. Mi osservava con espressione come per dirmi di rassegnarmi e che non me l'avrebbe mai detto. Si avvicinò a me, mi avvolse con le sue braccia ed io mi aggrappai al suo pigiama poggiando la testa sul suo petto, nel quale riuscii a sentire il suo cuore battere all'impazzata. "Dimmelo, ti prego." Lo supplicai. Sentivo un tale peso dentro di me, un tale dolore, che era lo stesso che stava provando lui.
"Marco, io ti deve protegere." Che significa? Alzai la testa rincontrando i suoi occhi, e mi fece un sorriso forzato ed amaro.
"Non puoi dirmi una cosa del genere e pretendere di non dirmi niente."
"Io ti amo." Sta sviando.
"A-anch'io ti amo, ma non cambia niente questo. Dimmi, c'entra qualcosa con quell'incubo?" Tentai per, poi, vedere quel finto sorriso tramutarsi in una vera smorfia sofferta. Oh, no. "C'entra qualcosa Marta?" Gli domandai titubante e lo vidi chiudere gli occhi ed una lacrima ricomparire sulla sua guancia, ancora umida.
"Marco, io ti deve lasciare." Cosa?
"Cosa?" Mi staccai rapidamente da lui, che indietreggiò e si buttò di peso sul letto. "Che cosa vuoi dire?" Ritentai facendo finta di non aver capito. Non può averlo detto sul serio.
"Io crede sarebbe melio così." Continuò poggiando le braccia sulle ginocchia, ed affondandoci la testa.
"Ma che... Michael, qualche settimana fa eravamo in quel letto e mi supplicavi di non lasciarti, ed ora lo fai tu?!" Gli domandai incredulo per, poi, vederlo stringere gli occhi e muovere la testa da una parte all'altra, come quella notte, come se avesse voluto svuotare la testa completamente, da ogni pensiero. "Mika." Lo richiamai avvicinandomi ed inginocchiandomi davanti a lui. "Non c'è bisogno di fare una cosa del genere, okay? Basterà dirmi cosa è successo." Cercai i suoi occhi, che però non ne volevano sapere di incontrare i miei. Allungai la mano verso il suo viso, ma quando vi entrai in contatto la scansò con un leggero movimento. "Adesso basta. Non fare il bambino, e spiegami." Mi imposi, ma mi ignorò e si alzò dirigendosi verso la porta. E lì, non ci vidi più, nuovamente: lo raggiunsi e lo spinsi violentemente contro il muro per fermarlo. "Non puoi pretendere che io faccia finta di niente." Digrignai i denti, sotto il suo sguardo quasi sconvolto, mentre si massaggiava il braccio con cui era andato a sbattere. Ma poco dopo i suoi occhi, oh, i suoi occhi, mi guardarono con una tale delusione e smarrimento, che mi resi conto di quello che avevo appena fatto. Rilassai leggermente il viso, aprendo poi la bocca nel tentativo di far proferire qualche parola, inutilmente. In silenzio, uscì dalla camera e si chiuse in bagno, per un tempo infinito. "Michael, apri." Dissi dall'altra parte. "Per favore." Ritentai senza ricevere risposta. Preso ancora una volta dalla rabbia tirai un pugno allo stipite della porta e tornai in camera, sedendomi sul letto rannicchiandomi, affondando il viso tra le ginocchia. È ridicolo.

Lo vidi finalmente uscire e riuscii a notare i suoi occhi, per l'ennesima volta in così poco tempo, gonfi e rossi. Non riuscivo più muovere un muscolo, era come se avere davanti un Mika così, che mai mi sarei immaginato di poter vedere, mi avesse risucchiato via ogni forza. Ma quando, riuscii ad uscire da quella specie di trance, mi alzai subito da letto e gli andai incontro.
"Mika, scusami per prima, io..." Tentai di iniziare a parlare.
"It's okay." Mi interruppe facendo un altro finto sorriso. "But, I gotta go." Eh?
"Cosa? E dove?" Mi affrettai a domandargli.
"A London. Deve." Rispose senza alzare la testa.
"Perché?" Ritentai.
"Listen, tu ti deve concentrare su tua carriera and..."
"Questo è il problema?!" Lo interruppi. "Sai che me ne frega della carriera se non ci sei tu." Mi imposi di non ricominciare a piangere.
"It non può funzionare."
"Prima funzionava, fino a ieri funzionava." Cercai di convincerlo continuando ad osservarlo, mentre guardava il pavimento. "Ti prego." Mi gettai su di lui avvolgendo il suo corpo con le mie braccia, nel tentativo di tenerlo con me, ma mi allontanò portando le sue mani sui miei polsi.
"Sorry." Disse semplicemente uscendo dalla stanza.
"Hai detto di amarmi!" Gli urlai, poco dopo, pieno di rancore sbattendo la porta.
Avrei voluto rincorrerlo, in quel momento, fermarlo e pregarlo ancora di restare con me, perché quello che aveva detto e ciò che stava facendo non aveva alcun senso, ma ero paralizzato. Completamente paralizzato. Quello che era appena successo che diamine di senso aveva, insomma? Nessuno. Mi aveva detto qualche ora prima di amarmi. No, non aveva senso. Un'altra pugnalata al cuore dall'uomo che amo, e per cosa? Per niente. E quella lama continuava a salire, insieme alle lacrime, lungo la gola, creandomi una sensazione così pesante e dolorosa, impossibile da sopportare. Devo andare da Marta.

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