2011 pt.4

617 23 3
                                    

Roma, Sabato 2 Aprile 2011


Se ne era andato, così, improvvisamente, senza darmi una spiegazione od una ragione precisa e valida. "Ti devo proteggere", aveva detto. Sì, ma da cosa? E, poi, quello che aveva bisogno di protezione era proprio lui, non ero io. Ecco, si ostinava a dover fare il padre protettivo, ed a farmi passare per il bambino in difficoltà, e non era assolutamente giusto. Se credeva di proteggermi, per non farmi soffrire, beh, si sbaglia. Sto soffrendo adesso. Quello che aveva deciso di fare, mi faceva male più di qualunque altra cosa. Ma che senso ha? Lui soffre. Io soffro. Andava tutto così bene, ma poi qualcosa si era spezzato, dentro di lui. Eravamo riusciti ad andare avanti insieme, nonostante impegni, difficoltà e quant'altro, ma poi tutto era finito, senza motivo apparente. Volevo capire cosa gli avevano fatto e perché, ma non ci sarei riuscito senza il suo aiuto o quello di qualcuno che sa qualcosa. Quando gli avevo chiesto se l'incubo c'entrasse, non aveva risposto. Poi, quando gli avevo chiesto se Marta fosse coinvolta, ho visto una lacrima solcargli il viso e le sue labbra pronunciare quelle parole così dolorose: "Io ti devo lasciare." Ed in quel momento, sentii il mio cuore frantumarsi in mille pezzettini, che appuntiti graffiavano e laceravano tutto ciò che avevo dentro: amore.
Quei segni. Quel dolore che stavamo condividendo, non volevo fosse condiviso: non potevo accettare che lui stesse soffrendo in quel modo. Non potevo accettare di non essermi riuscito ad accorgere di niente. Non potevo accettare di essere io la causa di quel male, di quelle lacrime. Cosa gli avevano fatto? Avrei ammazzato chiunque si fosse azzardato a fare una cosa del genere. Avevo una voglia matta di massacrare l'artefice, sì, perché tanto io ero la causa, e mi sarei già ammazzato se ne avessi avuto il coraggio. Aveva una tale rabbia repressa, in quel momento, che non sapevo cosa rompere o distruggere. Chiunque fosse stato, l'avrebbe pagata. È una promessa.
Non avevo avuto il coraggio di mettermi in contatto con Marta. Faceva male, troppo male. Mi ero chiuso in casa, senza rispondere al telefono, senza aprire a nessuno che si presentasse fuori dalla porta. Non risposi neanche una volta neanche a Cris. Sono uno stronzo, ma chissene frega. Chissene frega del disco. Chissene frega di tutto. Ricadere, nuovamente, in quel vortice di tristezza e solitudine, mi faceva dannatamente paura, perché non sapevo se sarei riuscito a sopravvivere lì dentro, ancora per molto. Forse non ero fatto, per essere felice. Forse non ero fatto, per amare e per essere amato.
E mi ritrovavo, di nuovo, lì, sul divano, da solo, con una bottiglia di birra in mano ed una sigaretta tra le dita. Era semplice cercare di alleviare il dolore in quel modo, per un po', ma tanto sarebbe tornato a galla, e questo io lo sapevo bene. Nella mia mente, c'erano solo le lacrime ed il viso distrutto di Michael, che cercavo di scacciare via inutilmente, con il suo sorriso, ma niente. Mentre tentavo di accendere l'ennesima sigaretta, il mio corpo scosso, dagli spasmi dei singhiozzi, ed i grandi sospiri, che facevo nel tentativo di controllarmi, mi impedivano di farlo. Preso, ancora una volta, dalla rabbia, gettai via l'accendino e la sigaretta, tirando un calcio al tavolino, davanti a me.
"Marco, apri!" Sentii la voce di Cris risuonare nel palazzo. Era incazzata. Faceva quella voce squillante, solo quando era davvero nera come una biscia. In tutti quei giorni, l'avevo ignorata, e anche se non era il giusto trattamento da riservargli, come ho detto, chissene frega. Mi ricordai del giorno del mio compleanno del 2009: mi ritrovavo, più o meno, nella stessa situazione, solo che quella volta ero più ubriaco, per terra, e dall'altra parte c'era Mika, che aveva deciso di rompermi la porta. Sorrisi amaramente a quel ricordo. "Marco, per favore!" Urlò ancora dando dei colpi. Sbuffai, pensandoci bene: se le avessi aperto, mi avrebbe mangiato vivo, ma se non lo avessi fatto, mi sarei ritrovato anche senza di lei. Sbarrai gli occhi a quel pensiero, tornando per un attimo lucido. No. Mi alzai con leggera difficoltà, e mi precipitai alla porta, spalancandola violentemente per, poi, trovarmi una Cris più furiosa che mai. Aveva il viso rosso, contratto in un'espressione arrabbiata e preoccupata, allo stesso tempo.
"S-scu..." Tentai di iniziare reggendomi allo stipite della porta.
"Ma io dico, che cazzo ti è saltato in mente?!" Mi interruppe furibonda entrando in casa. "Non rispondi al telefono, non mi apri, non ti fai sentire. Come cazzo hai potuto farmi morire così?!" Mi urlò ancora puntando un dito sul mio petto e guardandomi dritta negli occhi, che stavano diventando sempre più lucidi.
"I-io..." Ritentai di giustificarmi, sotto il suo sguardo inquisitorio, ma non riuscii a dire niente. "Cris..." Cercai di avvicinarmi a lei, ma si allontanò andando a sedersi sul divano, portandosi le mani fra i capelli.
"N-non avresti dovuto." Si lamentò con voce strozzata. Mi avvicinai, di nuovo, sedendomi accanto a lei e le accarezzai la testa per, poi, avvicinarla al mio petto, sentendola singhiozzare contro esso. "Ho pensato ti fosse successo qual..." Non riuscì a finire la frase e si aggrappò alla mia maglietta, cominciando a piangere più rumorosamente.
"Cris, scusami. Mi dispiace." La strinsi, ancora di più, a me chiudendo gli occhi, lasciando che le lacrime dipingessero anche il mio viso. "Ti prego, perdonami." La cullai lentamente cercando di farla calmare.
"Fai così solo quando succede qualcosa con Mika." Affermò, dopo un po', senza muoversi, rimanendo in quella posizione. "Ho provato a chiamarlo, ma non mi ha risposto."
"Mi ha lasciato." Sorrisi amaramente, ancora, a quelle parole, così vere, ma così dolorose.
"Cosa?" Domandò sbalordita staccandosi da me, ed io annuii semplicemente. "E perché?" Le raccontai quello che era accaduto, senza tralasciare niente. Partendo dall'incubo al suo comportamento strano, fino a finire a quei segni. Mi osservava con attenzione, mentre mi sforzato, forse anche un po' inutilmente, di non scoppiare a piangere, di nuovo. "Non hai idea di cosa gli possa essere successo?" Mi chiese, dopo che ebbi finito.
"No. Come ti ho detto, la faccia che ha fatto quando ho nominato Marta, mi ha turbato, tuttavia non voglio fare conclusioni affrettate. Insomma, è arrogante, stronza, quello che vuoi, ma non farebbe mai, e poi mai, una cosa del genere. Non ci credo e non ci voglio credere."
"E allora, come spieghi quella reazione? E poi... io ricordo che tremava, quando l'ha vista arrivare al pranzo con i tuoi." La guardai confuso, dopo quell'affermazione. È vero. E non mi ero mai curato di chiedergli il perché, di quella paura... Cazzo. Mi alzai di scatto dal divano, prendendo il cellulare, pronto ad uscire. "Ehi, ma che fai." Mi chiese disorientata.
"Vado da quella." Dissi dirigendomi verso la porta, ma quando sentii la sua mano prendere la mia, mi bloccai, per un attimo.
"Vengo con te." Le sorrisi riconoscente e ci avviammo velocemente verso la casa di Marta.

Love Never FailsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora