2009 pt.2

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Milano, Sabato 3 Ottobre 2009

Appena sveglio, non riuscii a non pensare agli occhi di Mika. Ogni volta, me li immaginavo di un colore diverso. Era complicato: alcune volte sembravano di un colore verdognolo, mentre altre sembravano color cioccolato. E le adorabili fossette che si venivano a creare ogni volta che sfoggiava uno dei suoi incantevoli sorrisi? Ah, ti prego. Per non parlare dei suoi riccioli, nei quali avrei voluto tanto affondare delicatamente le mie mani. La ragione più plausibile era che ogni parte del suo corpo fosse in competizione per vincere il titolo di perfezione.

Avrei tanto desiderato svegliarmi come il pomeriggio precedente: il suo viso, che mi estasiava al sol pensarci, e la sua voce, fin troppo angelica, per appartenere ad un essere umano.

Mi alzai e diventai ancora più euforico quando realizzai che di lì a poche ore avrei passato un altro po' di tempo con lui: avevo il permesso della direzione di aiutarlo con l'italiano e la cosa mi faceva impazzire. Prima però, avrei dovuto concentrarmi un po' di più sull'assegnazione di Morgan, provando e riprovando insieme a lui.

Così, mi diressi verso la cucina, più attivo che mai, per fare colazione. Vidi, poco dopo, fare la sua comparsa un assonnato Silver, che si stropicciava gli occhi, come un bambino. Alla fine, l'unica cosa che gli mancava, era un orsacchiotto da trascinarsi dietro, in pigiama.

"Buongiorno, eh." Lo salutai, divertito.

"'Giorno." Farfugliò, facendo un cenno col capo e dirigendosi verso il frigo.

"Quanta voglia di iniziare la giornata!" Dissi, ironico, alzandomi dal bancone, per lavare la tazza.

"Mi sa che mi hai attaccato il raffreddore, infame." Mi mostrò il naso rosso.

"Oh, scusa. Però, almeno, non me ne ero accorto dalla voce, quindi presto ti sentirai meglio, dai."

"E chi te l'ha detto?" Mi chiese, assonnato, sedendosi.

"Esperienza personale."

"Pf... capirai."

"Dai, su con la vita, ciccio!" Lo presi per le spalle, scuotendolo.

"Fermo! Mi scoppia la testa." Disse, bloccandomi. "Ti faccio notare il tuo cambio d'umore pazzoide. Cos'è tutta questa allegria?"

"Mi sono alzato col piede giusto, questa mattina."

"Te stai fuori. Indipendentemente dall'umore, come fai ad essere così energico di prima mattina." Mi chiese, per, poi, bere il suo succo d'arancia.

"Chiamami pure Re Matto." Gli sorrisi, per scomparire, subito dopo, ed andare a cambiarmi, per una delle giornate più importanti della mia vita. "Buongiorno." Urlai, ancora, agli assonnati Mario e Chiara, che mi fecero un segno col capo in risposta. Che mosceria. Ma io ero troppo elettrizzato. Ormai, la paura di non rivederlo più era sparita, perché sapevo che almeno un'altra volta l'avrei rivisto. Probabilmente, dopo, mi sarei sentito, di nuovo, male, ma in quel momento non potevo che stare bene.

Con una canzone di Nina Simone si può salire sul carro dei favoriti, se non del vincitore, come ci si può benissimo scavare la fossa. Ecco, io ero più vicino a quest'ultima possibilità. Volevo farla mia, ma si rischiava e non poco. Morgan voleva farla "come un fumetto" e mi continuai a scervellare su cosa intendesse con una cosa del genere. Dovevo far finta di ignorare la ballerina che cercava di "eccitarmi", come aveva detto lui, ma su questo lato non c'erano problemi: potevo assicurargli che non ci sarebbe riuscita. Vocalmente, mi voleva potente all'inizio. Poteva sembrare facile, ma non lo era affatto.

Dopo ore ed ore di prove, finalmente fui congedato dallo staff per fare queste brevi lezioni a Mika, che, nonostante gli avessero detto e ridetto che potevano benissimo pagare un altro insegnante qualificato, aveva richiesto esplicitamente me, e la cosa mi fece venire una sottospecie di orgasmo cerebrale.

Ed era lì, in tutto il suo splendore. Pantaloni beige ed una camicia blue, che risaltava il suo fisico, anche se asciutto, perfetto.

"Marco!" Venne verso di me, dopo avermi chiamato ed aver sbagliato accento, ma piuttosto che dirglielo, mi sarei fatto ribattezzare. "Come sta?" Iniziamo bene.

"Bene, tu?" Gli chiesi, a mia volta, con un sorriso da ebete stampato in faccia.

"Bene, gr... grazie?" Disse, interrogativo.

"Esatto."

"Yes!" Alzò il pugno in alto, in segno di vittoria.

"Ah, ma ti devo dire che si dice 'come stai'."

"Oh... Come ha detto?"

"Si dice "come stai'." Ripetei.

"No, me, me." Si indicò con entrambe le mani.

"Ah, come hai detto! 'Come sta'. Ah, e un'altra cosa è 'come ho detto'." Dissi, ancora più divertito.

"Ah!" Di nuovo, quel suono gutturale. Cazzo. "Shit!"Bene.

"Imparerai, vedrai."

"I hope so."

Ci sistemammo sul divanetto, dove il giorno prima mi ero addormentato, per iniziare.

"Mh, allora, da dove possiamo cominciare..." Cominciai a sfogliare il libro di grammatica, che mi aveva portato. Ha anche un quadernino ed una penna. Ah, è semplicemente adorabile.

"It's like to go back to school." Disse, arricciando il naso.

"Già." Concordai, ridendo. "Dai, ripeti il verbo essere." Mi guardò con occhi da cane bastonato. "Ce la puoi fare, Michael. Io credo in te." Lo guardai, a mia volta, negli occhi, provocandomi un brivido lungo la schiena.

Mi guardò serio, per, poi, far comparire i suoi due dentoni, riconoscente.

"Okay. Ehm. Io sono. Tu sei. Egli è. Noi si... siamo. Voi s... siete. Fuck off!" Urlò, facendomi ridere. "Damn!"

"Stavi andando bene, davvero." Affermai, dopo essermi calmato. "Ma dovremmo lavorare anche sugli accenti, mio caro." Posai la mano sulla sua spalla, ed il mio sorriso scomparve, quando mi resi conto che mi stava guardando, di nuovo, serio.

I miei occhi non ne volevano sapere di staccarsi dai suoi, che in quel momento avevano preso un colorito leggermente più scuro del solito. Non so come, e non so perché, ma il mio amore nei suoi confronti mi cominciò a guidare, lentamente, verso di lui, che non sembrava volersi tirare indietro.

"Mengoni!" Ci girammo di scatto, io colto in fragrante e terrorizzato, da quello che avrebbero potuto dire. Merda. Ma perché? Perché proprio adesso? "Il signor Penniman deve andare, lo stanno aspettando." Non sembrava essersi accorto di niente.

Mi rigirai verso Mika, che si era già alzato, pronto a seguire l'uomo che mi aveva appena tagliato il biglietto per il paradiso.

"Grazie, Marco. See you, tomorrow." Mi sorrise e se ne andò, come se niente fosse accaduto.

Forse, mi ero semplicemente immaginato tutto. Forse, ero più lontano dalle sue labbra di quanto pensassi. Forse, era solo stata un'illusione.

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