2009 pt.5

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Roma, Venerdì 25 dicembre 2009


Dopo X Factor, la prima cosa che feci fu affittare una casa a Roma, per togliere il disturbo a Cristie, che mi aveva ospitato per un anno e poco più. Michael non riuscii più a sentirlo, nonostante gli avessi dato il mio numero e lui a me il suo. Mi sentii svenire quando mi diede quel foglietto, consumato in poco tempo, per quante volte l'avevo preso e poi rilasciato sul comodino.

Anche quel giorno, per il secondo anno di seguito, ero pronto a passare un altro compleanno in solitudine. Per quanto riguardava i miei genitori, sebbene avessero provato a riallacciare un rapporto con me, mi diedi del tempo per riflettere. Nonostante lo show mi avesse portato molte nuove conoscenze, dopo appena tre settimane, non me la sentii di passare sia Natale che compleanno insieme a degli sconosciuti.
Scesi al supermercato, molto presto, per comprare qualche birra e qualcosa da mangiare, giusto per sgranocchiare. Non ero mai stato molto ferrato in cucina, purtroppo, ed in quel momento la usai, ancora di più, come scusa per non fare niente. Ovviamente, prima di tornare a casa cercai un tabaccaio aperto, avendo finito le sigarette, poco prima.
Era vero che la mia vita era cambiata, improvvisamente, facendomi girare da una radio all'altra e quant'altro, ma dal punto di vista dei rapporti sociali non riuscivo a cambiarla per niente.
Mika era, sempre, rimasto nella mia testa. Mi mancava, e anche troppo.
Da qualche giorno, avevo un po' di pace e mi lasciai andare, facendomi crescere, leggermente, la barba, per provare un nuovo look. Almeno, questa era, ancora, un'altra scusa che mi davo, per nascondere la mia pigrizia.

Sbuffando, mi buttai sul divano ed aprii la bottiglia di birra, e me la sarei scolata in meno di dieci secondi se non fosse stato per il campanello. Sorpreso, mi alzai per andare ad aprire la porta, e la visione che si posò davanti ai miei occhi, mi stava per far perdere i sensi: un Mika, infreddolito, come la prima volta che lo vidi, si era materializzato, davanti a me, con dei grandi sacchi fra le mani.
"M-Mika, ma che..." Tentai di parlare, paralizzato.
"Happy birthday!" Esclamò, sollevando ciò che aveva.
Entrò, come un uragano in casa, posando le buste, per, poi, stringermi fra le sue braccia. Sentii il mio stomaco girarsi e rigirarsi, lentamente e le gambe farsi, sempre più, leggere. Che bella sensazione.
"Grazie. Ed a te buon Natale." Gli sorrisi, imbarazzato.
"Oh, thanks! Anche a te." Le sue fossette vennero a formarsi, perfettamente.
"Grazie." Mi portai la mano al collo, a disagio. "A-allora, c-come stai?" Balbettai.
"Bene! Ma where is the party, qui?" Mi chiese, euforico e sorpreso.
"Party? Ma di che parli? Non dovresti stare con la tua famiglia a Natale?"
"Non sei happy di vederme?" Mi chiese, con tono, leggermente, triste.
"Cosa? Certo! Solo che la tua fam..."
"My family is okay." Mi interruppe. "So... cosa stava facendo?" Domandò, col suo adorabile accento ed i suoi adorabili errori. "Ti vuole ubriacà?" Continuò, essendosi avvicinato al salotto e dopo aver visto le bottiglie di birra sul comodino, davanti alla televisione.
"Il piano era quello." Mi bloccai, immediatamente, rendendomi conto delle mie parole, solo quando mi guardò con occhi, sfumati tra sorpresa e tristezza. "Scherzavo!" Cercai di rimediare alla situazione che si era venuta a creare.
"Mh." Annuì, poco convinto. "Seriously, what were you doing, Marco?"
"Niente."
"Perché tu sta facendo niente il giorno di tuo birthday?"
Lo guardai negli occhi, ma ricordando quello che era successo l'ultima volta che l'avevo fatto, distolsi lo sguardo.
"So?" Si sedette sul divano.
Guardai il suo corpo ed il suo viso, a dir poco perfetti, e sentii l'irrefrenabile bisogno di baciare le sue labbra, anch'esse simbolo di perfezione.
Mi avvicinai, lentamente, a lui, facendo accelerare, ancora, il mio battito, sotto i suoi occhi curiosi. Ora o mai più.
Mi sedetti accanto a lui, che continuò a non proferire parola, guardandomi incuriosito ed impaziente di sapere cosa avevo in mente.
Avvicinai il mio viso al suo, sentendo il suo respiro, che percepii anch'esso, leggermente, accelerato, sulle mie labbra. Presi coraggio ed azzerai le distanze fra me e lui. Chiusi gli occhi, assaporando ogni momento e godendo del suo dolce sapore. Non sentendolo tirarsi indietro, la testa cominciò a girarmi e mi sentii come se stessi volando. Cominciò, pian piano, a ricambiarlo e la cosa mi fece impazzire, completamente. Così, ci misi più passione, avendomi lasciato il via libera per esplorare la sua bocca, così morbida e dando via ad una dolce danza. Non ci credo. Non ci credo. Lo sto baciando. Oh, santo Cielo. Merda. Merda.
Quando lo sentii staccarsi, lentamente, da me, guardarmi negli occhi, con uno sguardo, quella volta, indecifrabile, e quando lo vidi alzarsi, di scatto, dal divano, affannato, il mondo mi cadde addosso.
"Sorry." Uscì, velocemente, da casa, per, poi richiudersi la porta alle spalle.
Osservai la scena attonito. Se ne era andato, lasciandomi solo con il suo sapore sulle mie labbra. In quel momento, capii che non l'avrei mai più rivisto. Idiota, ma che ti è saltato in testa? Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e quel maledetto nodo alla gola, impedirmi di respirare bene.
Presi la bottiglia di birra, ancora fresca, e mi accesi una sigaretta per cercare di calmarmi.
Ero stato troppo imprudente ed istintivo. Mi sentivo così male. L'alcol cominciò a fare effetto sul mio corpo, dopo qualche bottiglia, scolata velocemente. Quella volta, a salvarmi non ci sarebbe stato Michael, di certo. Bel compleanno di merda. Cominciai a ridere ed a piangere, contemporaneamente, da solo: era diventato normale, ormai, per me.
Ma tanto non gliene fregava a nessuno, no? Anche se ero entrato nel mondo dello spettacolo, se così si può dire, non era mai stato un mondo che mi aveva attirato particolarmente. Per me, l'importante era fare musica. Sapevo bene com'era fatto quel mondo: ti stanno dietro o perché hai soldi o perché vogliono fare gli interessanti davanti ai loro amici. In tre ridicole settimane, era riuscito ad averne la conferma. Non era pessimismo o chissà che cosa, era realismo.
Cominciai a tormentarmi le labbra, forse, anche per cancellare quel bacio. Quello era la causa per cui io non avrei mai più rivisto Michael.
"Stupido, stupido, stupido!" Ripetei, mentre davo dei calci alle bottiglie vuote che si trovavano davanti a me. Presi tutto ciò che avevo a portata di mano e cominciai a scagliarla con rabbia, contro il muro.
Amare qualcuno ed essermi illuso che provasse le stesse cose è stata una delle mie sconfitte più grandi. Tutto quello che desideravo era essere amato da lui e fare qualcosa di davvero significativo nella mia misera vita, ed invece...
Non volevo più, solo, cantare. Volevo essere importante per qualcuno. Importante per lui. Quel ragazzo aveva stravolto la mia vita.
Quel dolore alla pancia lo conoscevo fin troppo bene, come quel fastidioso peso al petto, che non riusciva, quasi neanche, a farmi respirare. Avevo sentito la stessa sensazione quando avevo lasciato i miei genitori e quando Cristie se n'era andata, ma quella volta... quella volta il dolore aveva un'intensità disumana.
Sentii suonare alla porta, dopo un paio di ore a commiserarmi, ma non mi andava di alzarmi.
"Marco, apra!" Era la meravigliosa sua voce, ma non riuscivo ad andare lì, aprire e farmi vedere in quello stato. "Marco!" Mi chiamò, ancora una volta, urlando. "Come on!" Cominciò a bussare rumorosamente.
Fossi stato un po' più lucido, probabilmente, mi sarei precipitato da lui alla prima chiamata.
Continuò a sbattere contro la porta, finché non riuscì ad aprirla e quando lo vidi, di fronte a me, con il viso preoccupato, ed incontrando i suoi occhi, mi sembrò un angelo in pena. No, però sembrava davvero un angelo. Uh, ha le ali! Il mio stato confusionale, ormai, era alle stelle.
"Marco." Si inginocchiò, affianco a me, portando la sua mano sulla mia guancia.
Il suo tocco. Ah, era comparabile al saluto salutifero di Beatrice per il caro e vecchio Dante. Alzai lo sguardo verso di lui, e, solo in quel momento, riuscii a notare i suoi gonfi e rossi.
"Che ci fai qui?" Gli chiesi, con voce tremante.
"I wanna talk to you... de prima."
"Non c'è niente da dire. Sei stato chiaro, scusa."
"No, Mar..."
"Anzi, hai ragione. Spiegami una cosetta." Dissi, sotto il suo sguardo attonito dal tono della mia voce. "Cosa sono io per te, davvero? Spiegamelo, perché non lo capisco. Non so distinguere chi mi ama perché nessuno l'ha mai fatto e, probabilmente, ho frainteso ogni tuo gesto e non sai questa cosa come mi faccia incazzare. Io... io ti amo, Michael, e so bene che per te non è la stessa cosa, questo lo so benissimo! Ma sei così dolce e gentile con me e non mi conosci, poi, così bene. E poi, fattelo dire, sei dannatamente sexy, anche quando sorridi come un bambino." Dissi, anche se in modo più sconnesso.
Era, dannatamente, vero che l'alcol aiutava a dire parole che mai una persona avrebbe avuto il coraggio di pronunciare. Nei suoi occhi riuscii a vedere la sorpresa ed un velo di tristezza: probabilmente, non aveva il coraggio di dirmi che non provava le stesse cose.
"È meglio se parliamo later." Disse, avvolgendo le sue braccia sul mio corpo, per, poi, alzarmi delicatamente. "Deve riposare." Mi portò in camera da letto e mi fece sdraiare.
"Perché sei così gentile con me?" Domandai, una seconda volta, chiudendo gli occhi, distrutto.
"Dormi." Si sdraiò accanto a me, confondendomi, ancora di più, e nonostante volessi parlargli, sentii le forze ed ogni capacità di pensiero scomparire.

Mi svegliai qualche ora dopo, con un mal di testa insopportabile, cercando di fare mente locale. Mika non era più accanto a me. Mi sentii, nuovamente, abbandonato a me stesso. Pensavo ed avrei desiderato, così tanto, risvegliarmi accanto a lui, davanti ai suoi occhi, che riuscivano a buttarmi nel panico e farmi sentire talmente bene, allo stesso tempo.
Mi alzai, barcollando, ed avvicinandomi alla cucina cominciai a sentire un profumo che non sentivo da tanto tempo. Che un ladro stesse cucinando? Quando lo vidi con un cappello da cuoco, i guanti e quella strana tunica, che non avevo mai capito come diavolo si chiamasse, mentre girava fra i fornelli, che non avevo mai usato, restai imbambolato a guardarlo, divertito ed intenerito da tanta dolcezza. Oh, in effetti, però, è un ladro, anche se di cuori. Dimostrava una certa concentrazione ed una certa esperienza, mentre preparava qualcosa, che non riuscivo a capire.
Si girò, distrattamente, per posare sul tavolo una pirofila, appena uscita dal forno, e, solo in quel momento, si rese conto di me.
"Ehi, come sta?" Sorrisi, divertito. Non imparerà mai.
"Meglio, grazie, a parte il mal di testa." Mi sorrise di rimando, rimanendo al suo posto. "Scusa per prima." Mi sentivo, tremendamente, in imbarazzo, per quello che avevo fatto e, soprattutto, per quello che avevo detto.
"Don't worry. Importante è che you're okay, adesso." Sembrava voler prendere una certa distanza da me, e la cosa frantumò, lentamente, il mio cuore, accentuando il dolore.
"Senti, Mika, cancelliamo tutto, okay? Scusam..." Ricominciai a parlare, dopo un bel po' di silenzio.
"No!" Esclamò, avvicinandosi, di scatto, a me. "I don't want to far finta di niente, Marco." Poggiando, delicatamente, le sue mani sulle mie spalle.
"P-perché?" Incatenai il mio sguardo ai suoi occhi, per cercare di capire ciò che volesse dire.
"I mean..." Si bloccò, fissandomi. "Oh, chissene frega!" Lo guardai tra il confuso ed il terrorizzato, finché non si gettò sulle mie labbra.
LUI stava baciando ME. Sentii i pezzi del mio cuore tornare, velocemente, al loro posto e cominciare a battere insieme, in modo accelerato. Sentii la testa girare, ma quella volta era una sensazione estremamente piacevole. Aumentò lui quella volta l'intensità, facendomi mancare il respiro. Le sue labbra che si muovevano sulle mie, una sua mano sulla mia guancia, mentre l'altra l'appoggiava al mio petto. Sorrise su di esse, quando sentì la velocità dei miei battiti. Volli provare anch'io a mettergli una mano sul cuore, e quando lo feci, lo sentii così emozionato, e sentii, anche, una lacrima bagnare, lentamente, la mia guancia, che asciugò, di nuovo, con il pollice. Andai a sbattere, involontariamente, contro il frigorifero, facendo cadere i pochi magneti che lo decoravano, e lo sentii poggiarsi delicatamente sul mio corpo. Si staccò, dolcemente, da me, riaprendo gli occhi. Lo vidi sorridere felice, portando una mano fra i miei capelli.
"M-ma prima, allora, perché..." Tentai, guardandolo negli occhi, che avevano preso un colorito chiaro.
"I was scared." Rispose, fissandomi, a sua volta. "But," Sospirò, forse, in imbarazzo. "you are diverso, Marco and i like questo." Oh, cazzo, merda!
"Posso baciarti, ancora?" Gli chiesi, ingenuo, facendolo ridere.
Ricongiunse, senza rispondere, le sue labbra alle mie, muovendole con più dolcezza di prima. Avevo smesso di esistere ed avevo iniziato appena finalmente a vivere.

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