2011 pt.5

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Roma, Lunedì 4 Aprile 2011


"Stai sbagliando." Mi rimproverò Cristie osservandomi con sguardo estremamente serio, mentre tornavamo in macchina dall'aeroporto.
"Cris, per favore, non ti ci mettere anche tu." Dissi stropicciandomi distrattamente e stancamente gli occhi con una mano.
"Dovevi lasciarlo spiegare." Continuò guidando.
"Era abbastanza chiara la situazione, no? Marta diceva la verità." Risposi scocciato chiudendo, poi, gli occhi resomi conto delle parole che avevo appena pronunciato.
"Non sappiamo ancora chi gli abbia fatto del male, però." Vero. Sospirai scoraggiato. Mi sentivo così tremendamente in colpa nei suoi confronti, ma ero arrabbiato. Insomma, che ci faceva Andrew, o Andy, come lo chiama lui, a casa sua, poco dopo che ci eravamo lasciati? Anzi, poco dopo che LUI mi aveva lasciato. "Parliamo anche di quello che è successo dopo..." La guardai confuso incitandola a proseguire, ma continuò solo ad osservarmi severamente.
"Cioè?" Chiesi, a mia volta, non ricevendo alcuna risposta.
"Quando ti sei sentito male." Rispose con il viso contratto in un'espressione che vagava, ancora, tra il serio ed il preoccupato.
"Non mi sono sentito male." Dissi, a mia volta, scocciato. "È stata colpa del viaggio e tutto il resto." Continuai guardando davanti a me.
"Se, con tutto il resto, intendi non mangiare, okay." Sbuffai facendo finta di non averla sentita e girai il viso dalla parte della finestra, osservando l'oscurità della notte, illuminata solo dalla luce dei lampioni. Non si vedeva bene neanche la luna. "Non hai niente da dire, eh?" Continuò.
"Lasciamo perdere." Dissi semplicemente cercando di scappare al discorso.
"Non puoi continuare così. Sei un fottuto idiota se ti ostini a comportarti in questo modo." Mi rimproverò ancora.
"Ho detto basta, Cris." Mi imposi rigirandomi a guardarla leggermente arrabbiato. Vidi il suo viso rilassarsi in un'espressione delusa e girarsi di nuovo a guardare la strada. Sospirai. "Scusami." Non sono più io.
"Io capisco che tu stia male, davvero. Succede, è anche normale, ma non bisogna esagerare e far prendere alle tue emozioni il controllo delle tue decisioni. Devi imparare che ciò che fai e che dici ha un effetto sulle persone che ti circondano, e che non è come credi tu. Non sei invisibile, né tanto meno inutile. Quello che hai deciso di fare, ha un effetto su Mika, su di me, sul tuo lavoro, su tanta altra gente e, soprattutto, su te stesso. E quando l'hai accusato di aver usato le ferite come scusa, ho letto nei suoi occhi la delusione e la paura più grande. Era uno sguardo che non gli apparteneva, e non gli era mai appartenuto, così come questo tuo comportamento. E per quanto lui sbagli a tenersi tutto dentro, tu non devi fare errori di questo genere." Stetti ad ascoltare attentamente le sue parole. Aveva ragione, fottutamente ragione. Cazzo, io amavo Michael e come l'avevo trattato?! Come una zeppa su cui pulirsi le scarpe. Dio...
Le parole di Cris mi avevano colpito nel profondo, mi erano entrate dentro e non volevo se ne andassero, per il semplice fatto che forse avrebbero potuto far tornare il Marco felice, quello privo di dolore, quello che aveva cominciato a vivere sul serio. Non volevo tornare quel Marco che ero riuscito a seppellire, non molto tempo prima.
"Mi dispiace." Dissi sospirando mentre lei parcheggiava.
"Dai, scendi." Mi aprì la portiera ed uscii gettandomi fra le sue braccia. Senza rendermene conto, le lacrime cominciarono a scendere lentamente, come fossero realmente appesantite dal dolore che sentivo, in quel momento. Cercai di controllarmi, ma il mio corpo non riusciva a stare fermo, a causa dei singhiozzi che lo scuotevano leggermente. "Ehi." Prese ad accarezzarmi delicatamente i capelli per calmarmi.
"S-scusami." Cercai di dire, facendo uscire però qualcosa di più simile ad un lamento.
"Ssh, tranquillo. Andiamo." Chiuse a chiave la macchina e mi trascinò a casa. Era tutto così tetro ed il mal testa non ne voleva sapere di lasciarmi in pace. Quando accese la luce del salone, chiusi gli occhi istintivamente, contraendo il viso in una smorfia di dolore. Cazzo. "Marco, sarebbe meglio se mettessi qualcosa sotto i denti. Da quanto non mangi?" Domandò sorreggendomi. Boh. Sei, sette giorni?
"Non lo so." Risposi confuso tenendomi a lei.
"Sei una piuma, diamine." Continuò a trascinarmi senza problemi fino alla camera da letto, sul quale mi adagiò delicatamente. Mi girai, a pancia sotto, abbracciando il cuscino per evitare di avere il fastidio della luce, e sentii la mano di Cris accarezzarmi la schiena. "Vado a prepararti qualcosa." Disse, poco dopo.
"No." Quasi esclamai e la fermai prendendole la mano. "Resta qui." La pregai indicandole il posto accanto a me.
"Dopo." Rispose semplicemente sorridendo premurosa e lasciandomi, uscendo dalla stanza.
Ero a pezzi. Davvero. Non pensavo di poter toccare il fondo in quel modo. Il mio fisico non reggeva più niente, ancora meno la mia mente. Qualsiasi cosa riusciva a buttarmi giù ed a farmi rifugiare nei miei peggiori vizi.
Continuai a tenere gli occhi chiusi svuotando la mente, finché sentii il letto abbassarsi e vidi Cris, che sorrideva mentre mi porgeva un panino.
"G-grazie." Balbettai guardandolo, per un attimo titubante per, poi, prenderlo ed addentarlo. Sorrisi lievemente riconoscendo il formaggio che con cui l'aveva farcito.
"Era il tuo preferito, da piccolo." Continuò a sorridere abbassando lo sguardo, cominciando a fare, con un dito, dei piccoli cerchi sul materasso. Tuttavia, riuscii a distinguere uno dei suoi sorrisi amari, di quelli che le facevano male. La guardai, in modo quasi inespressivo, continuando a masticare lentamente. "Forza," Cambiò discorso facendo un altro sorriso forzato. "ce ne sono altri tre." Spalancai gli occhi, quasi terrorizzato.
"M-ma veramente, io..." Tentai di iniziare a dare delle scuse, inutilmente.
"Per favore." Mi pregò guardandomi dritto negli occhi, e non riuscii a contestarla più. Semplicemente, sospirai arrendendomi.
"Tu non mangi?" Le chiesi, dopo un po'.
"Già fatto, prima." Sorrise ancora, sinceramente quella volta.
Al secondo panino, però, cominciai a sentire una leggera nausea infastidirmi lo stomaco. Cercai di tirare avanti a mangiare, per lei, ma stava diventando complicato, estremamente complicato. Era come se qualcuno stesse stringendo con troppa forza il mio stomaco e lo stesse girando come una trottola, in continuazione.
"Cris. C-Cris, aiutami." La chiamai alzandomi leggermente ed alzando le braccia, facendomi avvolgere dalle sue, subito dopo.
"Marco, che succede?" Mi domandò preoccupata sostenendomi. "Ehi, che hai?" Seguì i miei passi aiutando ad andare verso il bagno. Mi dovetti accasciare a terra vicino alla tazza, cominciando poi a rimettere ciò che avevo mangiato, poco prima, insieme a fin troppi succhi gastrici. "Marco." Mi richiamò accarezzandomi i capelli dolcemente, cercando di tranquillizzarmi. Chiusi gli occhi riprendendo fiato, nel tentativo di far andare via quel maledetto mal di testa, senza realmente riuscirci mai. La testa mi pulsava come mai aveva fatto e cominciai seriamente a preoccuparmi. Sentivo che sarei potuto morire da un momento all'altro, che qualcosa sarebbe potuto esplodere improvvisamente al mio interno, non lo so... Presi un altro respiro e, con il suo aiuto, mi alzai, per lavarmi il viso ed i denti, e me ne tornai in camera. "Sarebbe meglio ti facessi vedere da qualcuno." Esordì, dopo un interminabile silenzio, mentre si sdraiava accanto a me accarezzandomi il braccio.
"Devo solo stare a letto, per un po'. Piuttosto, tu riposa." Dissi voltandomi verso di lei, ma sentii le tempie cominciare a pulsare più velocemente, in quella posizione. Così, prima di richiudere gli occhi, riuscii a distinguere l'espressione preoccupata che aveva assunto il suo viso. La sto facendo soffrire. "Scusa." Mi provai a sistemare, con le ultime forze che riuscivo ad avere. La sentii dire qualcosa, ma non riuscii più a capire cosa: ero già bello che andato.

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