Montalto di Castro, Martedì 20 Marzo 2012
Mi alzai di scatto col busto ritrovandomi, da subito, nel calore delle braccia di Michael, che continuava a stringermi a sé. Ci risiamo. Come quasi tutte le notti, in quel periodo, mi ritrovavo a fare i conti con quelle circostanze che andavano ormai contro la mia volontà. Sì, perché io non volevo svegliarmi improvvisamente, durante la notte, col fiato corto ed il mio cuore che minacciava di andarsene via dalla gabbia toracica. Erano quei momenti in cui era il mio corpo a richiedere qualcosa, che però non poteva avere e che io, ormai, non volevo più. Sapevo sarebbe stata ancora lunga e difficile, ma non ci volevo avere più niente a che fare.
"It's okay, it's okay." Cominciò a ripetermi quella piccola frase, che forse un po' troppo stavo sentendo ed un po' troppo spesso lui stava pronunciando, soprattutto con quel tono rassicurante, ma pur sempre preoccupato.
"M-Michael, aiutami." Lo implorai aggrappandomi alla sua maglietta e lui sapeva che quando lo dicevo era perché, improvvisamente, come se fossi tornato ai primi giorni di quell'agonia, non riuscivo a muovermi più come avrei voluto ed avevo bisogno del suo ausilio per arrivare anche solo in bagno.
Se avessi saputo quello che avrei passato ed avrei fatto passare a Mika iniziando a bere, non avrei mai incominciato. Eppure, era diventato qualcosa di così importante per me nei momenti più difficili. Una sottospecie di amica, che amica propriamente non si poteva definire. Mi aveva pugnalato alle spalle, in un certo senso. Ma, nonostante fosse diventata importante per me, Michael era diventato essenziale per cominciare a vivere. E l'essenziale è molto più di importante.
Ogni volta che sentivo le sue braccia avvolgere il mio corpo, era l'ennesima conferma che lui era ancora lì, insieme a me, e non mi aveva mai abbandonato lasciando che cadessi, di nuovo. La mia ingratitudine non l'aveva portato via e mi resi conto anche che, probabilmente, mi amava più di quanto io effettivamente, ed ingiustamente, pensassi.
La cosa che, forse, mi faceva stare peggio, però, era il fatto che i primi tempi, prima ancora di tornare lui stesso a dormire, aspettava ogni volta che io mi addormentassi, cosa che, tuttavia, non succedeva spesso, ma in quelle ultime due settimane, forse fortunatamente, crollava appena il suo corpo entrava in contatto con il letto. Quindi la sua stanchezza era talmente forte da riuscire a passare sopra le preoccupazioni. Per me, era decisamente meglio che lui riuscisse a chiudere occhio, ma mi rendevo conto di quanto fosse esausto da quella situazione.
Sapevo che non potevo permettermi di fare altri errori con Michael, perché, anche se fosse restato per sempre al mio fianco, sapevo che avrebbe sofferto ancora, e non volevo mai più che ciò accadesse.Mi risvegliai lentamente e leggermente infastidito, quando sentii qualcosa di bagnato ed appiccicoso entrare, più e più volte, in contatto con la mia mano. Cercando di mettere a fuoco ciò che avevo davanti, vidi un grande ammasso di peli color miele, che mi fissava con quei suoi occhietti adorabili. Mel.
"Ciao, bella." Farfugliai richiudendo gli occhi ed accarezzandogli dolcemente quel suo musetto. "Grazie per avermi svegliato. Ti assumerò come mia sveglia personale." Continuai sentendola scodinzolare più velocemente, così tornai a guardarla. "Che c'è? Vuoi salire qui?" Le domandai divertito, ma neanche il tempo di battere una mano sul letto una seconda volta che già era lì, fra le mie gambe, schiacciandomi sotto il suo peso. Mi lasciai scappare alcuni lievi colpi di tosse, che, però, si trasformarono, non molto tempo dopo, in delle piccole risate. "Ah, Mel, ho trattato malissimo tuo padre, sai." La ricominciai ad accarezzare, ma mi bloccai rendendomi conto di quella penultima parola che avevo pronunciato. Padre. Ma sì, alla fine, per Melachi, Mika era come un padre. Insomma, si prendeva cura di lei, la amava alla follia, la coccolava e la viziava appena poteva. Da quando lo avevo conosciuto, ero convinto del fatto che sarebbe stato un ottimo padre, e non credevo affatto di sbagliarmi. Che pensieri che te fai di prima mattina, ciccio. "Ma tu... ieri eri in casa? Sì, beh, sai, quando io e Mika... Sì, dai, hai capito." Mi continuò a guardare chinando appena la testa di lato, confusa probabilmente. Ma mi capisce, sul serio? "Non mi sembra di averti vista. Forse, eri in giardino. Beh, scusami, ma meglio così, sarebbe stato abbastanza imbarazzante. Molto probabilmente, non mi sarei potuto concentrare con i tuoi occhietti vispi ad osservarci." Fece un piccolo verso, molto simile ad un lamento, poggiando il suo muso sulla mia gamba, come ad ignorare ciò che le avevo detto. "Nun ce stavi, giusto?" Domandai, di nuovo, accigliando lo sguardo, per prenderla in giro. Tanto non mi risponderà.
Mi stiracchiai distendendomi un po' di più e sbadigliando, ma mi bloccai quando andai a colpire, senza essermene reso conto prima, il volto di Michael, al quale forse ero troppo vicino. Prima che potessi scusarmi, però, lo vidi aprire gli occhi di scatto ed alzarsi immediatamente dal letto.
"D-don't touch me!" Urlò improvvisamente cominciando, poi, a respirare più velocemente e più affannosamente.
Mi spaventai vedendolo così confuso e disorientato, ma mi affrettai a raggiungerlo mettendomi in ginocchio sul materasso, per far sì che mi guardasse bene e cercasse di riconoscermi, uscendo da quella sua fase di smarrimento, quasi totale.
"Mika, ehi." Tentai di attirare la sua attenzione, ma i suoi occhi vagavano per la stanza impauriti, come se stessero cercando qualcosa. "Amore, guardami." Presi il suo viso fra le mani. "Non è successo niente. Sono stato io, scusami." Gli spiegai velocemente passando una mia mano fra i suoi riccioli.
Il suo petto non faceva altro che andare avanti ed indietro continuamente, con una rapidità che cominciò, piano piano, a diminuire quando lo strinsi fra le mie braccia e gli feci posare delicatamente la testa sulla mia spalla, aspettando che si regolarizzasse e si calmasse. Di certo, il fatto che Mel stesse abbaiando accanto a noi, non migliorava la situazione, ma cercai di non pensarci facendole semplicemente un cenno di mano che la tranquillizzasse. Avevo paura che stesse facendo un altro incubo su quello che gli era successo prima di tornare a Londra. D'altronde, era già capitato, di rado, ma era già capitato.
"Sorry." Mugugnò affondando il viso nell'incavo del mio collo ed io ne approfittai per chinarmi appena e lasciargli un piccolo bacio sulla guancia.
"Non devi scusarti." Sussurrai sdraiandomi sul letto e facendolo adagiare sopra di me. Si accoccolò contro il mio petto prendendomi per mano e cominciando a giochicchiare con le dita. "Stavi..." Sospirai bloccandomi, per un attimo, indeciso se fargli quella domanda o meno. "Stavi facendo qualche brutto sogno?" Gli chiesi infine stringendolo, ancora di più.
"No, me sono spaventato a basta." Rispose alzando lo sguardo verso di me, rivolgendomi un sorriso forzato.
"Mi dispiace." Avvicinai il mio viso al suo lasciandogli un bacio fior di labbra. "Ti ho fatto male?" Passai un dito dove l'avevo erroneamente colpito, e mi resi conto che era proprio poco sotto quella piccola cicatrice, che ormai fortunatamente stava diventando sempre meno visibile.
"No." Sussurrò scuotendo la testa a destra e sinistra, lasciando un altro bacio sul mio collo per, poi, accoccolarsi nuovamente contro il mio torace.
Anche se non stava facendo un incubo, sapevo bene che la storia di Matteo non l'aveva ancora del tutto digerita ed i sensi di colpa non poterono che accentuarsi ulteriormente. Non volevo vivesse nella paura che, in qualsiasi momento, le persone avrebbero potuto fargli del male e che qualsiasi movimento potesse risultare motivo di incertezza e, appunto, di paura. Era anche per quello se volevo scoprire dove si trovasse quel delinquente e fargliela pagare: per farlo sentire un po' di più al sicuro. Non poteva essere sparito nel nulla.
Vidi, non molto tempo dopo, la sua schiena alzarsi ed abbassarsi sempre più frequentemente ed il suo respiro farsi sempre più pesante. Mi chinai appena, per vedere se si fosse addormentato o meno, e mi fu dato l'onore di rivedere il suo viso mentre era nel suo stato più innocente dell'intera giornata. Sì, perché ci sono volte in cui è davvero tremendo. I suoi occhioni chiusi, coperti da qualcuno dei suoi ciuffetti ribelli, e quella sua bocca perfetta semiaperta, che permetteva di far intravedere i suoi adorabili dentoni, che spesso si erano ritrovati a mordicchiare dolcemente la mia pelle, proprio come il giorno precedente. Non potei fare a meno di sorridere ricordando quei meravigliosi attimi, avvenuti solo qualche ora prima, in cui avevamo fatto l'amore. Avrei potuto rifarlo in quel preciso istante, se non fosse stato così distrutto. Infilai le mani sotto la sua maglietta sentendolo, poco dopo, rabbrividire leggermente e vedendo il suo viso contrarsi in un'espressione quasi infastidita. Quando si sistemò meglio su di me, ne approfittai per coprirlo ancora. Posai una mano sulla sua fronte rendendomi conto che aveva ancora un po' di febbre. Eravamo stati in contatto, in quell'intero mese, solo la notte effettivamente, ma non riuscivo a non pensare da quanto tempo sapeva di averla e da quando la stava completamente ignorando. Quando glielo avevo fatto notare il giorno prima, non ne era rimasto poi così sorpreso. Lo sapeva già.
"Sei proprio un testone, Michael." Affermai quasi divertito.
Ed era la verità. Era un vero e proprio testone. Se si metteva una cosa o un'idea in testa, era impossibile smuoverlo e fargliela cambiare. Era testardo proprio come un mulo.
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Love Never Fails
Fanfiction[MIKA & Marco Mengoni] Marco incontrò per la prima volta Mika, nel 2008, quando lavorava ancora nel bar di Frascati; molto prima di raggiungere il successo, poco più di un anno e mezzo dopo. Iniziò ad apprezzarlo come cantante, ma soprattutto come l...