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Milano, Venerdì 20 Aprile 2012


Alla fine, Mika aveva deciso di venire con me a Milano per la prima data del tour teatrale, che sarebbe terminato a Roma a fine Maggio. Da quello che avevo capito, lui si sarebbe fermato lì per un po' per, poi, eventualmente andare e tornare da Londra, viste le pressioni, forse più che giuste, della sua casa discografica. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto affatto se fosse venuto con me per tutte le tappe, sapevo che non poteva non concentrarsi sul suo lavoro. Ormai, era anche giunto il momento di farlo. Durante quel mese, però, le sue condizioni erano diventate non poco instabili, e sinceramente stavo cominciando a preoccuparmi sempre di più, nonostante lui dicesse di stare bene e che fosse più che normale avere un po' di febbre. Sì, effettivamente forse sarebbe stato normale, se fosse durata qualche giorno, ma ormai erano più di trenta giorni che andava e veniva, alcune volte in modo più intenso, altre invece meno. Ma ciò non toglieva il fatto che non stesse bene. A tutto ciò, inoltre, si aggiungevano una strana agitazione ed un'estrema stanchezza. Quindi, non mi poteva venire a dire fosse tutto normale, perché non lo era e volevo capirci assolutamente qualcosa.

Quando rientrai, accompagnato da Marta, dopo il primo concerto, la casa era stranamente avvolta nel più completo silenzio e non potei che bloccarmi alla porta, per sentire meglio un qualsiasi rumore.
"Forse si è addormentato." Affermò poggiando una mano sulla mia spalla, avendo probabilmente notato il fatto che fossi in pensiero.
Volsi il mio sguardo verso di lei leggermente preoccupato. Avevo parlato con Michael al telefono nemmeno dieci minuti prima. Credevo fosse già andato a dormire a quell'ora, ma mi aveva chiamato lui stesso, per chiedermi come fosse andata. Dopo un attimo di esitazione, mi affrettai ad andare in camera, per accertarmi che stesse bene. Tirai un sospiro di sollievo vedendolo dormire, con Melachi ai piedi del letto.
"Che fai? Vegli sui sogni di papà?" Domandai scherzoso, ormai quasi rilassato, accarezzandole la testolina pelosa.
"Vedi? Sta bene. È normale che si sia addormentato a quest'ora, è tardi." Mi rassicurò rimanendo appoggiata allo stipite della porta.
"Sì, però, come ti ho detto, mi sto preoccupando. La febbre va e viene in continuazione, e poi, è spesso nervoso e molto stanco." Replicai passandogli delicatamente un dito sulla guancia, avendo paura di poterlo svegliare da un momento all'altro, spaventandolo.
"L'ho notata anche io questa agitazione." Disse rivolgendomi, però anche lei, un'occhiata preoccupata. Allora, non sono solo io.
Come se non fosse bastato, la sua testardaggine non aveva paragoni. Non ne voleva sapere affatto di chiamare un medico, riuscendo a convincermi talaltro, rifilandomi la storia del "ma poi ci scoprirebbero". Così, ho chiamato Cristie, per farmi dare il numero di suo cugino, che, giusto per sottolineare il suo essere testone, lui stesso non mi voleva dare. Tuttavia, neanche Sebastiano aveva saputo dire molto, dopo averlo visitato, se non di fargli prendere alcuni antibiotici e di tenerlo semplicemente sott'occhio. Ma ciò che aggiungeva ansia all'ansia, era il fatto che io non avrei potuto farlo per via dei concerti. Ecco spiegato perché lo avessi incitato a tornare a Londra, dove aveva più conoscenze ed amici, o almeno di restare a Roma, dove aveva Cris, ma ovviamente è un fottutissimo zuccone. Comunque, mi aveva spiegato che sarebbe potuta essere febbre da stress. Sì, era stato così nervoso da ammalarsi, e tutto per colpa mia.
Un suo piccolo lamento attirò l'attenzione di entrambi. Lo vidi contrarre il viso in un'espressione infastidita e sofferta per, poi, rilassarsi appena affondandolo nel cuscino. Sorrisi guardandolo: sembrava proprio un bambino malato, un po' troppo cresciuto, tutto rannicchiato su sé stesso.
"Guarda, vieni." Le sussurrai facendole un cenno di mano, invitandola ad avvicinarsi al letto, mentre tenevo una mano leggermente poggiata sul suo petto. Venne verso di noi e titubante fece la stessa cosa sgranando, poi, gli occhi sorpresa. "Senti? Non è normale avere un battito così irregolare, soprattutto quando si dorme." Cercai di convincerla del fatto che le mie preoccupazioni non fossero del tutto infondate, ed avevano le proprie ragioni.
"Effettivamente..." Disse allontanandosi e raggiungendo il posto di prima.
"Possiamo chiamare un medico di qui, Marta? Per favore, è da troppo tempo che sta così. Ho paura che possa essere qualcosa di grave. Gli antibiotici non gli fanno più di tanto. All'inizio sembrano funzionare per qualche ora o qualche giorno, ma poi niente, ritorna tutto al punto di partenza." La pregai sperando che capisse. Sospirò guardandomi comprensiva per, poi, annuire. "Grazie." Le dissi sollevato.
"Più tardi lo chiameremo, ma adesso vai a letto e riposati. E ricordati, però, che non ci potrai essere durante la visita e su questo non voglio sentire obbiezioni."
"M-ma..." Cercai di oppormi, ma un suo piccolo cenno mi fece capire che non potevo proprio starci.
Non era giusto, però. Michael era stato sempre al mio fianco, quando ero stato male, perché io non potevo fare lo stesso? Volevo e dovevo stare accanto a lui. Ma perché non siamo a Roma...
"Notte." Disse semplicemente andandosene.
"Aspetta, prendi le chiavi." Si bloccò e mi guardò confusa mentre gliele porgevo. "Non si sa mai, nel caso tu venissi direttamente con questa persona, io non potrei venirti ad aprire e Mika... non so, tu prendile e basta." Le spiegai ricevendo un altro sorriso da parte sua.
"A più tardi." Le sorrisi, a mia volta, riconoscente.
Riportai i miei occhi su di lui, che continuava ad abbracciare il cuscino, rannicchiato. Posai una mano sulla sua fronte facendo attenzione a non essere brusco, e la sentii ancora lievemente calda, ma non in modo eccessivo.
Tutta quella situazione lo aveva portato ad un tale nervosismo da fargli salire la temperatura e causargli qualche altro problema e mi sembrava estremamente strano, in quel momento, perché non sapevo e non credevo, nella mia ignoranza, forse, in campo medico, fosse possibile una cosa del genere. Mi ricordai, però, che gli era già successo qualche anno prima, quando eravamo stati a Londra, ma non fino a quel punto, almeno. Non così tanto. Mi ripromisi che, in quei quattro giorni prima di ripartire, avrei scoperto e risolto ciò che lo faceva stare così. Potevo capire lo stress tra quello che avevamo passato e le pressioni sul disco, ma tutto ciò doveva avere una soluzione, anche perché, dopo così tanto tempo, doveva stare tranquillo. Inoltre, ero convinto del fatto che, nonostante volesse farmi credere di non essere per niente preoccupato delle sue condizioni, forse per non far inutilmente stare in pensiero proprio me, anche lui lo era, e la cosa non faceva che aggiungere, di conseguenza, altro stress.

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