21. RITORNO A CASA

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RITORNO A CASA

Dopo quel attimo di passione così intenso non vollero staccarsi l' uno dall'altra.

Lui la fece stendere nel letto e si coricò accanto a lei.

Non passò molto tempo prima che si addormentassero, incollati e uniti, uno all'altra.

La mattina dopo, prima del sorgere del sole, Jud era già in piedi che trafficava per casa, sbrigando le faccende quotidiane.

Quando si alzò anche Jacob, il sole già faceva il suo ingresso dalle finestre.

Entrò in cucina e vide Judith seduta al tavolo mentre faceva colazione sfogliando una rivista.

Quando si accorse che il marito era finalmente in piedi, gli versò una tazza di caffè fumante dalla caffettiera.

"Finalmente. Buongiorno pelandrone. Era ora che ti alzassi!"

Jacob le rispose, stropicciandosi la faccia ancora assonnata.

"Jud, per l' amore del cielo! È sabato! Almeno oggi possiamo permetterci di rallentare un pochino, non ti pare?"

Judith lo guardò come un predicatore di chiesa, ma non disse nulla, passandogli la tazza appena versata.

"Strano a quest'ora è sempre in piedi da un pezzo! Credi che dormano ancora?"

Jacob portandosi la tazza alla bocca, le replicò.

"Dimentichi che non dorme più da solo stavolta e poi è ancora in forze il giovanotto: ha ancora colpi in canna da sparare. Appena vorranno, usciranno dalla camera, vedrai."

"Diamine. Sei il solito pervertito, per essere educati."

Disse Judith.

"Lo so, lo sono per forza Jud. Ho sposato te!"

A quella risposta Judith emise un grugnito di disappunto, dando un sbuffetto al braccio del consorte.

Nel frattempo, la camera degli ospiti si accendeva sempre più per il sole che vi entrava.

Lei dormiva beatamente sul suo petto, con il sonno accompagnato dal ritmico battito del suo cuore sotto l'orecchio.

Lui non riuscì a dormire molto, dopo che tornarono a letto.

Era soddisfatto di averla finalmente convinta a demolire le ultime barriere che li separavano.

Non lo era altrettanto riguardo a sé stesso, in quanto per la prima volta dopo il suo incidente, rimpianse davvero di non avere più il controllo del suo corpo.

Avrebbe voluto condurla con tutto se stesso in quella danza di corpi vogliosi di passione carnale.

Avrebbe voluto possederla in ogni vero e proprio senso.

Invece aveva dovuto accontentarsi di darle piacere con mezzi che gli erano rimasti, anche se lei sembrava esserne comunque soddisfatta.

Si ripromise di sorprenderla non con la carne, ma con il cuore e con la mente.

Quando si sarebbe concessa di nuovo a lui, avrebbe cercato di conquistare anche la ragazza dolce di cui si era invaghito, che albergava ancora assediata dietro le mura di cinta dentro se stessa e che aspettava di essere espugnata come un castello, fremendo per uscire allo scoperto.

Aveva avuto il suo corpo, ma non possedeva ancora la sua anima.

Aveva accolto quel giorno che stava nascendo senza distogliere gli occhi da lei, accarezzandole il viso e districandole i capelli con le dita.

COME NELLE FAVOLE, PER SEMPRE. SIR E FENICEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora