Prologo

8.6K 261 80
                                    

Fin da piccola, nelle giornate più buie, mia nonna mi permetteva di aiutarla con i suoi abiti.

Giorgia Wilson, da sposata, era solita isolarsi nel suo mondo pieno di fili, tessuti, stoffe e aghi, un mondo non chiaro a tutti. Diceva sempre che se non c'era passione, era impossibile comprendere un mondo così vasto e pieno di soddisfazione.

All'epoca, con i miei sei anni in croce, mi era davvero difficile comprendere i suoi bisogno, i suoi sogni e le sue esigenze di moda. Per me erano solo tanti vestiti uguali, con le stesse caratteristiche e gli stessi tessuti. Anche quelli che indossavo io fatti su misura.

Ero molto invidiata per questo a tal punto che venivo messa sempre in disparte perché, secondo le mie "amiche", ero troppo esibizionista e per questo indossavo i vestiti che mia nonna, stilista famosa è molto richiesta, cuciva per me.

La verità era che non ne capivo niente di alta moda, io mi limitavo controvoglia ad indossare ciò che sceglieva mia madre.

Era sbagliato?

Certo che no, ma ai loro occhi io non ero mai degna di indossare tale bene solo perché tendevo ad essere diversa da loro. Io vivevo nel mio mondo, nei miei sogni da bambina, nel mondo della barbie e dei bambolotti, dei cartoni animati e di Disney Channel, non sprecavo di certo tempo dietro a loro e alle loro stupide insinuazioni. Anche se, mi capiva spesso, di partecipare a cene con loro, data l'amicizia con i miei genitori. Brooke e Charlie.

Brooke Moore, da nubile, studiava moda presso la Parsons New School of Fashion Design. Non ho mai avuto troppe informazioni sul suo percorso di studio, mi diceva solo di essere stata sempre la migliore di tutti e, con il passare del tempo, posso solo che confermare le sue parole. Mentre studiava, si è sposata con mio padre, Charlie Wilson, all'età di vent'anni. Nonostante la giovane età, nessuno dei due se ne stava con le mani in mano, studiavano per diventare qualcuno. Mentre Brooke si dedicava alla moda, lui studiava economia a Yale.

Mia nonna però, prima di volare verso miglior vita, ha sempre voluto tramandare a qualcuno la sua passione, il suo sapere così, prendendo mia madre come cavia, è riuscita ad insegnarle ogni suo segreto e mia madre, fiera del suo sapere e delle sue abilità, è riuscita ad insegnarlo a me. Inutile dire che sono andata anch'io alla Parsons New School of Fashion Design, una delle scuole migliori presenti a New York che mi ha dato molte più conoscenze e, mentre io studiavo per poter avere un futuro brillante e pieno di successo, mia madre apriva la sua prima atelier in pieno centro a New York. Era piccola, elegante e adatta a tutti. Si occupava perlopiù di abiti da sposa, anche se possedeva abiti da cerimonia oppure eleganti adatti ad altre situazioni. Nella sua vetrina, ogni giorno, si poteva ammirare una creazione nuova. Era davvero orgogliosa del suo lavoro, di aver ereditato qualcosa da nonna Giorgia e soprattutto di poter continuare a fare ciò che più amava. Dopo di me, ovviamente.

Una volta finito gli studi ho iniziato ad aiutarla, provavo sempre a rendermi utile nel mio piccolo. Nonostante avessi studiato tanto, non volevo di certo rovinare le sue opere ma non sono mai rimasta ferma a guardare. Ogni giorno, ogni attimo della giornata, lei mi insegnava qualcosa. Quando entrava una cliente, mia madre si muniva di centimetro, il metro da sarta, di un taccuino e di una penna, preferibilmente quella blu con le stelle tutte disegnate sopra. Mi faceva vedere come prendere le misure, mi ricordava sempre di lasciare due centimetri in più e di soprattutto mi raccomandava di non pungere la cliente ed io ascoltavo tutto, osservavo ogni suo movimento e provavo a memorizzarlo perché sapevo che, prima o poi, mi sarebbe servito.

E così è stato...

Anni dopo, con una chiave scintillante in mano, mi trovai davanti alla porta della mia atelier. Avevo le gambe molli, il cuore a mille che pensavo di avere da lì a poco un arresto cardiaco dalla troppa emozione per non parlare delle mani tutte tremanti che non riuscivano neanche ad aprire la porta con i dettagli bianchi. Per fortuna però, c'era mia madre con me.

«Avanti Grace, ce la puoi fare!» mi incitava di continuo. «Vuoi che faccia io?»

Annui consegnandole le chiavi.

Era un'emozione troppo forte, unica ed importante. Da lì a poco sarei entrata nel mio mondo, avrei avuto un posto mio in cui ricevere clienti, dei camerini in cui avrei posizionato scatoline di fazzoletti perché si sa, la prova dell'abito porta sempre lacrime. Stavo finalmente per compiere il mio sogno, avrei tenuto viva la passione di mia nonna per sempre.

"Wilson, l'abito che fa la differenza" citava l'insegna lampeggiante. E ci speravo davvero, perché mi impegnavo sempre e questa volta non sarebbe stato diverso.

«Tesoro entra.» La voce ovattata di mia madre, mi richiamò all'interno dell'atelier.

Era vuota, spoglia, priva di qualsiasi cosa ma nella mia testa avevo già riempito ogni angolo di quel paradiso.

Camminai lungo tutta la stanza accarezzando il muro ancora bianco, mi soffermai poi sulla grande vetrata che dava su Central Park. Mi hanno sempre detto che, il posto giusto, fa la differenza e questo diamine se lo era. Era bellezza pura agli occhi, era semplicemente la postazione perfetta per vendere abiti da sposa. O almeno lo sperai.

«Cosa ne pensi tesoro?» domandò mia madre alle mie spalle.

«È perfetto mamma, è semplicemente perfetto» dissi, con voce emozionata e con le lacrime agli occhi.

Non ero solita emozionarmi, anzi, tutt'altro, ma in quella situazione ne valeva la pena e avrei continuato se non fosse stato per un paio di occhi scuri, non uno qualsiasi, erano diversi e rari, quasi unici. Per un istante, i nostri sguardi si sono incontrati. Era stato un attimo e forse manco stava guardando me ma la figura immobile piazzata davanti al vetro, ma io le sue iridi le ho viste, le ho studiate e memorizzate, ma quella, non fu l'ultima volta.

Quel giorno era stato importante, era stata la prima volta in cui ha preso vita il nostro amore proibito.

Amore ProibitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora