17. Biondina.

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Robert

Mesi prima...

Viviamo in un mondo che lentamente ci porta a consumarci, a stancarci e, soprattutto, ad abbassare le nostre aspettative. Siamo nati sulla base di dover fare, per forza, qualcosa per essere qualcuno, per portare con fierezza il cognome, ma quando ciò non avviene, chi ci rimette?
Non è il mio caso però, ho avuto la fortuna, nella sfortuna, di nascere in una famiglia che il cognome, e non solo, lo portano avanti con estrema facilità e fierezza. Ma non è stato tutto merito dei miei genitori, no, a loro volta erano stati fortunati e si sono dovuti rimboccare di poco le maniche.

Mio padre, Alan Martin, è stato in grado di far alzare i profitti di alcuni alberghi ormai morti, ne ha acquistati alcuni, ma ormai si occupa solo di gestire le azioni, di incassare e basta. Nella sua vita non si è mai dato troppo da fare, ha vissuto per un lungo periodo con la mentalità chiusa, peggio di mia nonna, e questo, l'ha portato a stringere alleanze davvero poco carine. Mia madre, invece, la dolce Margaret, figlia di alta società, si occupa per lo più di alta società. All'inizio non lo reputavo un vero lavoro, era quasi sempre a casa circondata da persone che l'aiutavano a scegliere il tema, i colori, e cazzate simili, stipulavano una lista -lunga - di persone da invitare, queste sì e queste no, tutto in base al loro cognome. Devo ammettere però, che mia madre, sa come farsi i nemici, d'altronde basta non invitarli ad uno dei suoi ricevimenti. Quella piccola donna ci mette tutto il suo impegno per mandare avanti questa sua passione, l'ho visto con i miei occhi e mi sono dovuto ricredere. Non l'avrei mai detto, in quanto difficilmente abbandono una mia teoria.

Come quella che porto avanti su mio fratello: è un bambino viziato.
Sapete, è difficile dover essere il primo, anche se non sembra, portiamo sulle spalle un peso elevato e ci viene data la fiducia di tutti, non bisogna sbagliare. Benché mio padre non l'abbia detto espressamente, in questo momento sto portando io avanti il mio progetto, ciò che lui dice di aver sudato, ma non è così. La catena di alberghi che porto avanti con professionalità e competenza, è una delle migliori solo grazie alle mie abilità, non certo per i suoi soldi. Fin da piccolo ha sempre buttato su di me la responsabilità, di qualsiasi cosa, pure di badare a mio fratello, e non potevo certo dire di no. Assolutamente no. Mi ha sempre visto come la figura responsabile, quello che da piccolo maneggiava come voleva fino a farmi diventare come lui, quasi, ed io, non ho mai detto niente. Sono certo che il pensiero di Jacob sia uguale, se non peggio, al mio.

Quando si è più di uno, si entra in una sorta di conflitto, non in modo diretto, magari sono i genitori stessi a farlo, ma accade ed è la cosa peggiore. Non mi sono mai sentito in competizione con lui, il nostro legame era quasi normale, nutrivo un forte sentimento nei suoi confronti, ma crescendo si cambia, si prendono strade diverse e lui ha fatto la sua scelta. Si è isolato da tutti noi, addossando tutta la colpa a nostro padre. Ha smesso di venire a cena, provocando un dispiacere a nostra madre, ha smesso di parlare a tutti dopo che Alan, aveva ben deciso di trattarlo male e di non farlo più lavorare con noi. Un po' lo capisco e mi dispiace, di certo non era questo che volevo per noi, per il nostro futuro e per tutto quello che sognavamo. Ho permesso a mio padre di dividerci, di tagliare il legame che ci univa e me ne pento, anche se non sembra. Parlavamo spesso di come avremmo gestito gli alberghi, sognavamo entrambi di acquistare il Plaza e di viverci dentro. Avremmo preso una suite, ognuno la sua, ci saremmo sposati lì dentro e fatto dei figli, assurdo, se penso a come sono andate le cose. Però io ci provo, nel mio piccolo, provo a combattere per il nostro sogno mentre lui, da quanto so, lavora da Starbucks in fondo alla strada.
Mi è capitato di passare qualche volta da lì, ma non ci mettevo mai la faccia, mi nascondevo dietro alla giacca o sotto ad un cappello ridicolo, ma non sono mai entrato. Forse doveva andare così, forse le nostre strade erano destinate a separarsi.

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