Amore Proibito

37. Un giorno da dimenticare.

Un anno prima...

Fuori piove. Piove da giorni e non sembra voler smettere. Piove, non solo dalle nuvole, ma anche dal mio cuore. Piove e non c'è modo di fermarlo. Non riesco a farlo smettere.

Le gocce battono contro la finestra, fanno rumore, i tuoni le seguono e fanno tremare tutta la stanza, mentre i lampi illuminano la stanza al buio. È così da svariati minuti, forse ore, non lo so più. Ho perso la cognizione del tempo non appena il mio corpo ha deciso che era meglio così ma, temo di essere in queste condizioni da svariato tempo, solo che non riesco ad uscirne. Le gambe mi fanno male e non sento più le natiche. Però riesco a sentire il legno alle mie spalle, non so a cosa appartenga, ma la superficie ruvida di scontra con la mia pelle candida e la fa rabbrividire accompagnata da un lieve sussulto.

"Perché?" rimbomba nella mia testa. "Perché hai aspettato tutto questo tempo?"

Stringo più forte le braccia al petto e mi cullo, proprio come farebbe mia madre, appoggio il mento sul ginocchio e qualcosa di caldo e bagnato scivola sulla porzione di pelle nuda ed esposta, non la fermo, così come non fermo quelle che la seguono e rigano il mio volto indolenzito.

"Perché hai permesso questo?"

«Io-» La mia voce è quasi inesistente, non riesco a percepire neanche una sillaba e l'unico rumore presente sono i singhiozzi. Non riesco a trattenerli. Neanche i lamenti che fanno tremare le mie corde vocali. Vorrei urlare, pregare la mia testa di smetterla con le domande, vorrei far sentire al resto del mondo la mia frustrazione e far uscire quel dolore lancinante che sento ovunque, principalmente al cuore. Sempre che io ce l'abbia ancora. Posso giurare di averlo sentito andare in frantumi, solo non so quantificare il tempo.

Porto una mano sul collo umido e caldo, con i polpastrelli traccio e disegno il passaggio di altre mani. Stringo le labbra incapace di far uscire qualsiasi verso.

"Morirò qui, da sola?"

"Basta." Lascio stare il collo e appoggio entrambe le mani sulle orecchie. Non voglio sentire nulla, deve smetterla, quella stupida voce deve lasciarmi stare. Deve smetterla.

Mi sfugge un altro singhiozzo, il mio corpo vibra e la stanza si illumina di nuovo mettendo in risalto il mio corpo rannicchiato e marchiato a segni sparsi. Rabbrividisco permettendo nuovamente alle lacrime di scivolare sul mio viso, proprio come la pioggia, loro non sono in grado di fermarsi. Al momento sono l'unica modo per sfogarmi e non voglio privarmene. Non voglio più privarmi di niente.

Urlo, probabilmente piano, ma la disperazione è così evidente da farmi imprecare mentalmente.

Quando mi sono ridotta così? Quando ho permesso tutto questo? Dio... Chiudo le palpebre, con molta probabilità non lo facevo da un po' perché mi bruciano, ma solo una volta riaperti inizio a realizzare ciò che è successo prima, il dolore che mi tormenta. Sto crollando. Il pavimento sotto di me sta crollando, sto precipitando in un dirupo e non so se riuscirò ad uscire. Mi manca l'aria, lo sento, tremo da capo a piedi, i polmoni iniziano a bruciare, ho la gola secca e non riesco a reagire. Non ce la faccio. Provo ad alzarmi, vorrei solo aprire la finestra per far entrare l'aria fredda, oppure, potrei andare in bagno, ma al posto delle gambe ho delle gelatine che non riescono a reggere il peso.

Cosa farò adesso?

Mi ha provato di tutto, ha portato via un pezzo di me, ha marchiato il mio corpo e la mia anima, ha violato la mia mente affinché fossi devota a lui, mi ha illusa ed io l'ho permesso. Lui era l'uomo perfetto sotto ogni punto, mi faceva stare bene e, anche quando non lo faceva, non gliene facevo una colpa. Come avrei potuto? Era la cosa migliore che avessi mai potuto desiderare, con il suo fascino, con una carriera perfetta, amato dai miei genitori e invidiato da chiunque lo conoscesse, era perfetto. Ma lo sappiamo tutti, le cose perfette non durano mai poco, solo che io l'ho capito troppo tardi e ci ho rimesso tutta me stessa. Corpo e anima. Mi ha spezzata. Ha distrutto le speranze e la felicità.